Sarà un autunno rovente per Google sul fronte antitrust: la Commissione europea sarebbe infatti determinata ad aprire un’indagine formale sui presunti metodi anticompetitivi con cui la società avrebbe supportato la diffusione del sistema operativo mobile Android, presente nell’80% degli smartphone venduti nel mondo, e dei servizi a esso associati, dalle mappe alla ricerca.
In base alla denuncia presentata ad aprile dello scorso anno da un gruppo di concorrenti riuniti nel gruppo Fairsearch Europe, la società utilizzerebbe Android come un ‘cavallo di Troia’ per monopolizzare il mercato mobile, dare un illecito vantaggio competitivo alle proprie app e rafforzare il controllo sui dati degli utenti. In sostanza, Google imporrebbe ai produttori di smartphone che vogliono includere nei propri dispositivi le app Google più gettonate, come Maps, YouTube o Play, di precaricare nel dispositivo una suite completa di servizi mobili targati Mountain View e dare loro un posizionamento di primo piano: questo, dicono, pone loro in condizione di svantaggio e Android nella posizione di controllare i dati della maggioranza degli utenti mobili.
Nelle scorse settimane, pertanto, la Commissione ha inviato dei questionari alle aziende concorrenti domandando ulteriori dettagli rispetto a quanto già richiesto negli anni scorsi sull’argomento. Già nel 2011 e nel 2013, infatti, la Ue aveva chiesto lumi ai competitor di Google su questo sistema di imposizioni che, oltre a contraddire la natura ‘aperta’ e pro-competitiva di Android, contravverrebbe alle regole antitrust in vigore in Europa.
In una delle domande, secondo quanto reso noto da Reuters, viene chiesto specificamente se ci sia stata richiesta, scritta o non scritta, da parte di Google circa l’obbligo di non installare nei dispositivi app, prodotti o servizi – tipo mappe, motori di ricerca o app store – in diretta concorrenza con quelli di Mountain View.
Alle aziende che hanno ricevuto il questionario è stato quindi chiesto di fornire qualunque prova in loro possesso – email, fax, lettere, appunti presi nel corso di telefonate o meeting – che dimostri l’esistenza di simili richieste a partire dal 2007, ossia l’anno di nascita di Android.
La Ue chiede ancora di sapere se Google abbia mai comunicato alle aziende in questione “di non essere d’accordo sulla produzione, il marketing o il lancio di un dispositivo mobile con integrate le vostre applicazioni o quelle di terze parti”. Un’altra richiesta è quella di fornire dettagli sulle difficoltà incontrate dagli app store concorrenti a Google Play e sugli accordi di condivisione dei guadagni.
I riceventi hanno tempo fino all’inizio di settembre per rispondere alle oltre 40 domande del questionario.
L’indagine su Android potrebbe essere aperta appena si insedierà il nuovo Commissario antitrust Ue e andrebbe ad aggiungersi alla lunga lista di dossier già sul tavolo della Commissione europea, che starebbe anche valutando la possibilità di riaprire il fascicolo relativo alle accuse di manipolazione dei risultati sul motore di ricerca dopo le critiche piovute sull’accordo siglato a febbraio fra Joaquin Almunia, attuale commissario Ue alla Concorrenza (in scadenza a novembre) e Google.
Un altro fronte caldo è quello di YouTube: la Ue potrebbe decidere di aprire un’indagine qualora fosse confermata la minaccia di togliere dal sito i video degli artisti le cui case discografiche hanno deciso di non firmare nuovi contratti non negoziabili dalle condizioni giudicate anti-competitive, come denunciato da diverse etichette musicali indipendenti.
Al momento, il grosso dei ricavi di Google proviene dalla pubblicità ma secondo l’analista Ross Sandler di Deutsche Bank la società sta spostando con successo il suo business dal pc al mobile, e senza dubbio si trova meglio posizionata sul secondo piuttosto che sul primo, “il che si potrà tradurre in multipli maggiori”.
Android rappresenta quindi il canale principale per realizzare questo traghettamento da Pc a mobile e la sua quota di diffusione, pari all’80% del mercato, è molto simile a quella del sistema operativo Windows di Microsoft, anch’esso finito al centro di diverse indagini antitrust concluse con sanzioni complessive per oltre 2 miliardi di euro.