Google si appresta a chiudere il servizio di News in Spagna. Lo ha annunciato il gruppo con una nota, spiegando che le ragioni sono legate alla nuova legge, adottata lo scorso ottobre, che obbliga gli aggregatori di contenuti a pagare agli editori le royalties per gli articoli indicizzati.
Il Sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, intervenuto stamani al Maxxi di Roma per l’evento “Eccellenze in digitale” , non ha voluto rilasciare dichiarazioni sulle scelte del Governo spagnolo “perché non tocca a chi esercita il ruolo della Presidenza del semestre commentare le decisioni degli altri Governi: tra qualche settimane ci sentiremo più liberi di esprimere la posizione del Governo italiano”.
“I problemi ci sono – ha però aggiunto Giacomelli – e ho visto che il nuovo Garante europeo ha promesso la riforma della privacy entro il prossimo anno. Però fuori da un nuovo dialogo tra Europa e Stati Uniti non c’è futuro… L’accesso adeguato alla rete deve essere garantito come un servizio universale e un diritto fondamentale al quale devono contribuire tutti, anche gli Over the top, in condizioni di parità di concorrenza. Quando sento che qualcuno è contento perché con il ritardo sulla banda ultralarga non arriva Netflix provo un po’ di tristezza”.
Tornando alla Spagna, Google si è opposta da subito alla nuova norma, spiegando che “servizi come Google News aiutano gli editori a portare traffico ai loro siti web”.
Ma se prima il gruppo americano aveva solo ventilato la chiusura del servizio, adesso è passato ai fatti.
Secondo Luca Bolognini, Presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy e la Valorizzazione dei Dati, Google ha fatto una “scelta giusta e condivisibile, seppur terribile per gli utenti”.
E ha precisato che “Leggi come quella spagnola o anche come quella italiana, che impone di includere nei mercati SIC regolati da Agcom anche i motori di ricerca, sono irragionevoli perché trattano i motori al pari degli editori, quando in realtà essi sono solo abilitatori e “incrementatori” di pluralismo e di accesso all’informazione”.
Dal prossimo martedì 16 dicembre, quindi, Google News non sarà più disponibile in Spagna col rischio di un effetto domino anche in altri Paesi.
Google è, infatti, nel mirino delle Autorità Ue e non solo per la querelle con gli editori, ma anche per quanto riguarda i sistemi di ottimizzazione fiscale, il diritto all’oblio, la privacy e l’antitrust.
Il Parlamento Ue ha recentemente approvato una risoluzione che chiede lo spacchettamento in due dell’azienda, da un lato le attività di ricerca e dall’altro quelle commerciali, per risolvere i problemi di eventuale abuso di posizione dominante sul mercato della web search.
E mentre Francia e Germania sono in prima linea in questa battaglia contro Big G (hanno anche chiesto alla Ue una consultazione pubblicazione, ndr) anche la Gran Bretagna ha preso una posizione molto forte con l’impegno a varare entro il 2015 una nuova legge che costringe le multinazionali a pagare le tasse nel Paese, senza ricorrere ad astrusi marchingegni che permettono di bypassare il fisco.
L’Italia non si è ancora mossa sebbene il premier Renzi avesse promesso che la cosiddetta Web Tax, voluta dall’on. Francesco Boccia, sarebbe stato argomento centrale del semestre di presidenza Ue. Ma così non è stato.
E sempre in Italia la Fieg, così come dichiarato dal presidente Maurizio Costa nell’intervista a Key4biz, chiede una legge per definire la situazione tra editori e Google.
Ma l’azienda non ci sta e la decisione presa in Spagna potrebbe innescare l’effetto domino in tutta Europa.
Le parole di Richard Gingras, responsabile di Google News, sono molto chiare. Sul blog ufficiale dell’azienda in un post scrive: “Purtroppo a causa di una nuova legge spagnola, dovremo presto chiudere Google News“.
“La nuova norma – spiega Gingras – obbliga a pagare per ogni pubblicazione su Google News, anche se si tratta di piccoli stralci di notizia”.
Il top manager sottolinea che il gruppo non guadagna alcunché da queste pubblicazioni, visto che il sito non prevede pubblicità, quindi “questo nuovo approccio non è semplicemente sostenibile”.
Giorgia Abeltino, Responsabile Relazioni Istituzioni di Google Italy, ha fornito alcuni numeri per far capire che gli editori hanno grandi vantaggi da questo servizio: “A livello globale, su Google News sono presenti 50 mila editori e vengono indicizzate circa 60 mila pubblicazioni”, ha sottolineato la manager, aggiungendo: “Ogni mese Google Search indirizza 10 miliardi di click verso gli editori e 1 miliardo di click da Google News, dove non è presente alcuna forma di pubblicità e quindi di monetizzazione”.
“Nel 2013 – ha concluso – i ricavi derivati agli editori da AdSense sono stati a livello mondiale di 9 miliardi di dollari”.
Il gruppo ha quindi deciso di chiudere il servizio spagnolo prima che entri in vigore la legge, il 1° gennaio 2015.
La situazione in Spagna è molto diversa da quella della Germania, perché non c’è alcun modo per gli editori o i fornitori di contenuti di rinunciare al pagamento delle royalties.
Gli editori tedeschi, infatti, dopo essere andati allo scontro diretto con Google, hanno dovuto capitolare, Axel Springer in primis, dopo aver notato che la loro scomparsa da Google News gli arrecava un grave danno in termini di accessi ai loro siti.
La norma spagnola prevede sanzioni fino a 600 mila euro per le pagine web che faciliteranno l’accesso specifico e di massa a contenuti offerti illecitamente, eludendo le richieste di ritiro di quelli che contravvengono la legge.
“In Europa – ha spiegato Luca Bolognini – abbiamo legislazioni obsolete, assai analogiche e ben poco digitali, che non tengono conto del ruolo cruciale svolto da motori di ricerca e aggregatori a favore del pluralismo dell’informazione“.
“Google – ha concluso Bolognini – chiude un servizio utilissimo perché costretta a farlo da regole d’altri tempi, tutti gli utenti spagnoli saranno più poveri di idee e di notizie. E speriamo non sia la prima di una serie di chiusure del servizio in altri Stati Ue.”
Proprio oggi, l’Istituto Italiano per la Privacy e la Valorizzazione dei Dati pubblica uno studio internazionale – ‘Effetti dei motori di ricerca sul pluralismo dell’informazione‘ – nel quale si cerca di dimostrare che i search engines e gli aggregatori di notizie sono formidabili abilitatori del pluralismo, specialmente a favore dei piccoli editori.