Processo al monopolio della ricerca di Google, tra le ipotersi anche la vendita di Chrome
Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) ha iniziato lunedì un processo antitrust storico contro Alphabet, società madre di Google, accusata di sfruttare il suo monopolio nella ricerca online per consolidare ulteriormente la propria posizione dominante attraverso l’intelligenza artificiale (AI).
Durante l’apertura del processo, come raccontato da Jody Godoy sulla Reuters, il procuratore del DoJ David Dahlquist ha sostenuto la necessità di imporre “forti restrizioni su Google per impedirle di estendere il suo dominio tramite prodotti basati sull’AI, come Gemini”, che la società farà installare a pagamento sui dispositivi Samsung fino al 2028, un accordo descritto come “una somma enorme”, anche se per il momento non ne sono stati resi pubblici i dettagli economici.
La causa potrebbe portare alla vendita obbligata del browser Chrome, oltre alla fine degli accordi esclusivi che Google ha stretto con produttori di smartphone e tablet come Apple e Samsung per impostare Google come motore di ricerca predefinito.
Lo scorso mese è stata l’Antitrust Ue ad accusare Google di violazione delle regole europee sul digitale, ordinando nel contempo ad Apple di aumentare l’interoperabilità dei dispositivi iPhone e iPad per i concorrenti. La Commissione europea ha agito nonostante le minacce del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di imporre dazi contro i Paesi che sanzionano le aziende statunitensi.
Nei giorni scorsi nel Regno Unito è stata avviata una class action contro Google da 6 miliardi di euro con l’accusa di abuso di posizione dominante nel mercato della pubblicità online.
Il Dipartimento di Giustizia (DoJ) chiede misure radicali
Il DoJ chiede misure radicali: tra queste, l’obbligo per Google di concedere licenze sui risultati di ricerca ai concorrenti e, nel caso in cui le altre misure risultassero inefficaci, la possibile vendita del sistema operativo Android.
Google, rappresentata dall’avvocato John Schmidtlein, ha respinto le accuse definendo le richieste del DoJ una “lista dei desideri dei concorrenti” e ha dichiarato che tali restrizioni danneggerebbero l’innovazione americana in un momento cruciale.
L’azienda sostiene inoltre che eliminare i pagamenti ai produttori di dispositivi aumenterebbe il costo degli smartphone e metterebbe a rischio la sopravvivenza di società come Mozilla.
Il giudice distrettuale Amit Mehta aveva già in precedenza stabilito che gli accordi esclusivi di Google con i produttori di dispositivi hanno contribuito a mantenere intatto ed accrescere il suo monopolio.
Tra i testimoni previsti figura Nick Turley, capo prodotto dell’app concorrente di AI, ChatGPT di OpenAI, chiamato a testimoniare martedì. Google, da parte sua, ha annunciato che chiamerà a testimoniare rappresentanti di Mozilla, Verizon e Apple.
Il processo è parte di una più ampia stretta antitrust contro i giganti tecnologici iniziata sotto la presidenza Trump e proseguita con Biden, in quello che il DoJ definisce un approccio “nonpartisan”.
Un recente caso antitrust contro Google relativo alla pubblicità online ha già visto una vittoria del Dipartimento di Giustizia giovedì scorso, rafforzando l’immagine di un fronte governativo compatto contro gli abusi di mercato.
Il processo potrebbe dunque segnare una svolta epocale nel settore digitale, con conseguenze potenzialmente rivoluzionarie per il panorama tecnologico globale.
Come risolvere l’annosa questione?
La questione in aula questa volta, che sarà discussa nelle prossime due settimane, è cosa fare per risolvere la situazione . E secondo Dahlquist, il processo deve iniziare interrompendo ogni fase del “circolo vizioso”: Google paga miliardi di dollari per essere il motore di ricerca predefinito praticamente ovunque, quindi riceve più query di ricerca, quindi ottiene dati migliori, quindi è in grado di migliorare i suoi risultati, quindi guadagna di più, quindi può permettersi più motori predefiniti su una miriade di famiglie di smartphone e tablet.
Il Dipartimento di Giustizia chiede tre cose, come ben illustrato su The Verge, David Pierce, redattore capo e co-conduttore di Vergecast. In primo luogo, vuole impedire a Google di concludere praticamente qualsiasi tipo di accordo per il posizionamento sui motori di ricerca di prima fascia, poi vuole che Google ceda Chrome, quindi come terzo punto obbligare Google a concedere in licenza praticamente tutti i suoi dati di ricerca, dall’indice di ricerca ai risultati, a qualsiasi concorrente che li richieda. Finora, questa sembra essere la disposizione che preoccupa maggiormente Google.
Gemini sul banco degli imputati
Durante il processo del 2023, il mercato dell’intelligenza artificiale è stato menzionato solo occasionalmente, ma ora sembra essere al centro dell’attenzione per entrambe le parti . I rimedi proposti dal Dipartimento di Giustizia sono così severi, ha sostenuto Dahlquist, perché “Google sta usando la stessa strategia che ha usato per la ricerca e la sta applicando a Gemini”. Ma è stato anche attento a precisare che non ritiene che l’intelligenza artificiale e la ricerca siano la stessa cosa.
Il dibattito sull’intelligenza artificiale sarà un appuntamento fisso in aula nelle prossime due settimane. Sissie Hsiao, che in precedenza ha guidato il team Gemini, sarà sul banco dei testimoni.
Lo stesso faranno i dirigenti di OpenAI e Perplexity, e una serie di esperti che cercheranno di spiegare come l’intelligenza artificiale possa integrarsi e rivoluzionare il settore della ricerca. È significativo che il primo testimone del processo sia stato un esperto di intelligenza artificiale, Greg Durrett, che ha dedicato gran parte della sua testimonianza semplicemente a spiegare il funzionamento della tecnologia.