C’è un dominatore assoluto nella “corsa” delle lobby fra gli Over the Top: secondo un’analisi effettuata da Statista.com, Google è in testa – e per distacco – tra le maggiori compagnie hi tech, con 21,1 milioni di dollari spesi in attività lobbistiche negli Usa. Posizione dominante che Google – come risulta dai dati presenti sul Lobbying Disclosure Act Database – ha registrato anche nei due anni precedenti. Il primo “inseguitore” è Amazon, che nel 2018 si è però “accontentato” di spendere 14,2 milioni di dollari, un terzo in meno rispetto a Big G. Il podio è completato da Facebook con 12,6 milioni, mentre chiudono la lista Microsoft (9,5 milioni) ed Apple (6,6 milioni). L’altro dato che risalta nell’analisi della spesa lobbistica delle aziende, è che tutte – tranne Apple – hanno incrementato il totale di quanto investito in queste attività rispetto all’anno precedente.
Google, dall’advertising ai cervelli in fuga
In base alla “lista della spesa” consultabile nel database governativo, trovano conferma le attività preferite dalle singole aziende nel fare pressione o indirizzare l’agenda politica. Google ha indirizzato gli oltre 21 milioni di dollari su tematiche come l’advertising online, le politiche fiscali e commerciali e quelle sull’immigrazione. In particolare quest’ultima tematica sarebbe legata ai tanti “cervelli in fuga” da altri Paesi, individui con alte competenze professionali e tecnologiche utilizzati per espandere e mantenere alta la competitività dell’azienda.
Amazon, zero tasse per due anni di fila
Amazon, invece, come risulta da un altro report stilato nei giorni scorsi da vpnMentor – ha indirizzato gran parte della sua spesa lobbistica da 14,2 milioni di dollari sulle politiche fiscali: il 59% dei documenti presentati dai lobbisti legati all’azienda di Jeff Bezos hanno avuto al centro le tasse. E se per il secondo anno di fila Amazon è riuscita a non pagare neanche un dollaro in tasse federali (grazie a meccanismi di sgravi e compensazioni) qualche merito lo avranno avuto anche i lobbisti.
Facebook, privacy tema caldo, ipotesi spezzettamento
La privacy è invece la maggior preoccupazione di Facebook, almeno nell’attività di lobbying dell’ultimo anno: il 61% dei documenti presentati – e finanziati con un totale di 12,6 milioni di dollari – ha come tema principale la sicurezza e la gestione dei dati degli utenti. Una attività che l’azienda di Mark Zuckerberg ha “esportato” anche in Europa, con pressioni su alcune figure politiche in Gran Bretagna e Irlanda, contattate per ostacolare l’approvazione del GDPR o rendere meno rigida possibile la sua applicazione, come rivelato dall’Observer. Tutela della privacy e dei dati che Facebook spesso non riesce ad attuare in maniera preventiva, come mostra il blocco di migliaia di pagine fake effettuato negli scorsi giorni, ma solo dopo la segnalazione della Ong Avaaz. Sull’azienda pendono inoltre sia le ripercussioni del caso Cambridge Analytica, con una possibile multa in arrivo dalla Federal Trade Commission, che le ipotesi di spezzettamento avanzate da più parti, ultimo in ordine di tempo il cofondatore Chris Hughes.
Microsoft, si punta sulle politiche fiscali
Politiche fiscali al centro del 54% delle attività legate a Microsoft, su un totale di 9,9 milioni di euro, che si è attivata anche su programmi di sorveglianza governativa e controllo. Proprio Microsoft, come scoperto di recente ancora da vpnMentor – ha dovuto far fronte ad una mega falla, con un database da 24 gigabyte non protetto. Nel database erano registrati i dati di 80 milioni di famiglie americane e le loro coordinate in materia di proprietà immobiliari.
Apple spende meno, in calo dopo via libera per le class action
Ultima e con spesa in contrazione Apple, “appena” 6,6 milioni di euro, con il 76% dei report destinati alla politica che fanno riferimento alle politiche fiscali, mentre il 21% ha al centro la rimozione delle barriere commerciali. E proprio su temi commerciali è arrivato un impiccio non da poco per la mela morsicata: la Corte Suprema Usa ha dato il via libera alla possibilità di class action da parte dei singoli consumatori: una decisione che apre la possibilità di ricorsi multimilionari e che però come effetto immediato ha avuto un sensibile calo in borsa delle azioni dell’azienda di Cupertino.