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Google, Facebook, Apple, Amazon. Perché vogliono fare tutti da banche?

È arrivata la maturità: smessi i panni degli innovatori, dei rivoluzionari, dei trendsetter, i pionieri della Silicon Valley adesso sono alla ricerca di un comodo e tranquillo impiego in banca.

Per quanto possa suonare provocatorio, è esattamente quello che sta succedendo alla luce di un’influenza sempre più pervasiva in ogni settore dell’umano agire, compresi i nostri portafogli, da parte di Apple, Google, Amazon, Facebook e soci.

Google Cache

L’ultima notizia in ordine di tempo è che Google, dal 2020, offrirà conti correnti bancari. Big G, infatti, ha dato vita a una partnership con Citigroup e un lender legato all’università di Stanford per rendere operativo il progetto “Cache”; l’obiettivo, a detta dell’executive Caesar Sengupta, non sarà tanto quello di sostituirsi ai tradizionali istituti di credito ma semplicemente lavorare insieme a loro.

Insomma, la massima del “l’importante è esserci” – dietro, ad esempio, al fatto che ogni colosso digitale ha ormai una propria piattaforma di tv streaming a pagamento – funziona anche nel fintech, ritenuto una delle frontiere in assoluto più interessanti per estendere i propri affari.

Nomi come Alphabet, la holding a cui fa capo Google insieme ad altre società controllate, hanno capitali immensi pronti per essere investiti; e del resto non si tratta certo di un esordio assoluto, considerando che Google Pay, il sistema di pagamento che ha ereditato Android Pay e Google Wallet, è una realtà ormai da qualche anno.

Il successo di Revolut

Non si può davvero biasimare tanto entusiasmo: è difficile rimanere indifferenti di fronte a storie di successo come quella di Revolut, che più di tutte sembra aver cambiato il panorama dei conti correnti online. La recentissima nomina di un manager esperto come Martin Gilbert in qualità presidente non esecutivo del board è solo l’ultimo tassello di una strategia di rafforzamento per l’azienda fondata da Nik Storonsky, che ha anche chiuso accordi con VISA e Mastercard, ha lanciato il suo servizio in Australia e si prepara a sbarcare negli Stati Uniti entro la fine dell’anno. Nel frattempo, per affrontare la sfida ha annunciato l’assunzione di 3.500 nuove risorse.

Con circa 340 milioni di dollari di investimenti raccolti fino a oggi dai venture capitalist, Revolut è uno degli “unicorni” più interessanti per la semplicità che è riuscita a portare – in piena linea con la app economy – nella gestione del denaro, oltre all’abbattimento delle commissioni sui cambi valuta e sui prelievi all’estero, vero fiore all’occhiello della startup.

Alipay ha l’Italia nel mirino

La Cina, nel frattempo, continua a essere un mondo a sé, ma con mire decisamente espansionistiche verso l’Occidente. In patria Alipay, la piattaforma per i pagamenti online lanciata da Alibaba e dal suo fondatore Jack Ma, è presente fin dal 2004 e ha scardinato quelli che sembravano le fondamenta immutabili del mercato finanziario.

Ora Alipay ha superato un miliardo di clienti, ma l’appetito vien mangiando e per questo dallo scorso mese è possibile utilizzare questo metodo di pagamento per le transazioni negli outlet McArthurGlen, prediletti dai facoltosi turisti cinesi sempre più abituati a pagare soltanto con lo smartphone o con il loro smartwatch.

Sembra fantascienza in un Paese come il nostro, in cui perfino il POS viene guardato con estremo sospetto e il Governo deve inventarsi incentivi ad hoc per aumentarne la diffusione; il 93% dei turisti cinesi, secondo i dati raccolti da Planet 1,  ha ammesso del resto che spenderebbe ancora di più se i pagamenti via smartphone, regola in patria, fossero più diffusi anche all’estero.

Facebook, tra Libra e Facebook Pay

Dopo essere sembrata impantanata nella questione Libra (la valuta digitale con blockchain che ha visto via via perdere il supporto di nomi del calibro di Visa, Mastercard e PayPal), Facebook ha accelerato proprio in questi giorni con Facebook Pay: si tratta di un sistema di pagamento digitale pensato proprio per l’ecosistema di applicazioni che fanno capo al gruppo di Zuckerberg, e cioè, a parte Facebook, anche Instagram, WhatsApp e Messenger.

Facebook Pay, proprio come Apple Pay e Google Pay, è un sistema di pagamento da utilizzare per effettuare acquisti online, ma anche per trasferire denaro tra gli utenti (una feature ormai indispensabile in un mondo che, volenti e nolenti, si avvia sempre più a salutare il contante) o per effettuare donazioni. Dopo il debutto negli Stati Uniti, Facebook Pay arriverà anche in altri Paesi, e giusto per non far sorgere dubbi Mountain View ha precisato che «Facebook Pay si basa su infrastrutture finanziarie e su partnership già esistenti ed è separato dal portafoglio Calibra che si appoggerà al network Libra». Facebook Pay supporta PayPal, oltre alla maggior parte delle carte di credito e di debito.

Come spiega Deborah Liu, vicepresidente Marketplace and Commerce di Facebook, «gli utenti già usano i pagamenti sulle nostre app per fare acquisti, fare donazioni per una causa oppure mandare denaro. Facebook Pay renderà più semplici queste transazioni, mentre continuerà a mantenere le informazioni di pagamento sicure e protette». I numeri di carta di credito e conto bancario saranno crittografati e tenuti al sicuro, e c’è davvero da sperarlo, considerati i ben noti episodi di privacy violata che hanno avuto Facebook come protagonista negli ultimi anni.

Apple e il sessismo dell’algoritmo

Il settore fintech dà sicuramente molte gioie a chi riesce a entrarci con un’idea innovativa e una visione d’insieme, ma anche i migliori possono mettere il piede in fallo. Prendiamo Apple: la Apple Card, la carta di credito che da qualche mese è disponibile negli USA (e che fra i vantaggi più interessanti ha un cashback del 3% per tutti gli acquisti di prodotti Apple), è nella bufera per accuse di sessismo… al suo algoritmo.

Già, perché diversi imprenditori dalla disponibilità monetaria notevole – tra cui David Heinemeier Hansson, il creatore di Ruby on Rails, uno dei più diffusi framework di sviluppo web, e Steve Wozniak, che con Jobs fondò Apple stessa qualche decennio fa – hanno notato che senza alcun motivo Apple Card dà una disponibilità di credito molto più ampia (nell’ordine di 20 volte superiore) agli uomini rispetto alle donne, a parità di solvibilità, proprietà e qualsiasi altra variabile.

Goldman Sachs, che è la banca emittente, si è affrettata a negare, ma ancora una volta è evidente come le insidie, in questo campo, non manchino.

Fonti:

https://fintech.global/2018-is-already-a-record-year-for-global-fintech-investment/
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