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Google e Amazon, gioie e dolori dell’AI

Che Google stia facendo ancora più soldi di prima grazie all’intelligenza artificiale lo sappiamo. Ora conosciamo anche le ultime cifre, relative al secondo semestre del 2024. I ricavi sono stati di 84,7 miliardi di dollari, cioè 640 milioni di dollari in più rispetto alle aspettative degli analisti, con un incremento del 14% rispetto allo stesso periodo del 2023; l’utile per azione è stato di 1,89 dollari, mentre l’utile netto di Alphabet è salito a 23,6 miliardi dollari (+28,6% rispetto all’anno scorso).

E i margini sono i migliori da più di un decennio. Il CEO Sundar Pichai non ha fatto mistero sulla ricetta del successo: «La nostra ottima performance trimestrale», ha detto, «evidenzia la forza nella ricerca e lo slancio nel cloud». Ha poi aggiunto che «la nostra infrastruttura per l’intelligenza artificiale e le soluzioni di AI generativa per i clienti cloud hanno già generato miliardi di ricavi e vengono usate da più di due milioni di sviluppatori», e quando Pichai parla di “clienti” va ricordato che allude a nomi come Deutsche Bank, Best Buy e l’Air Force statunitense.

Pare stia andando bene anche AI Overviews, il tool di intelligenza artificiale che fornisce una risposta direttamente a una query inserita su Google senza indicare link e collegamenti a pagine generiche; ad esempio, se si cerca “Come mai esistono gli anni bisestili”, comparirà uno snippet AI Overviews che spiega come gli anni bisestili servano per mantenere l’anno solare sincronizzato con l’orbita della Terra intorno al Sole e così via, proprio come se lo chiedessimo direttamente a ChatGPT o Gemini.

Secondo Pichai, la nuova funzione – che aveva avuto qualche problema al lancio – è risultata popolare soprattutto nell’ambito segmento degli utenti tra i 18 e i 24 anni. Chissà se questo basterà a soddisfare chi appare molto dubbioso, in particolare per i rischi di “allucinazioni” nelle risposte (ha fatto scalpore qualche mese fa il caso del suggerimento di «aggiungere della colla non tossica» alla pizza per far sì che il formaggio rimanga attaccato) e per i rischi insiti nei confronti del giornalismo e degli editori, visto che si scoraggia ulteriormente l’accesso ai contenuti originari.

Per ora, comunque, Google non sembra preoccuparsi più di tanto, e la sua capitalizzazione di mercato ha superato i duemila miliardi, in buona compagnia con Apple, Microsoft e Nvidia.

Assistenti non più così smart

I progressi dell’intelligenza artificiale hanno la conseguenza ulteriore di far sembrare ancora più obsoleti i vecchi assistenti vocali, come Alexa e Siri. Apple ha già annunciato l’implementazione dell’AI dentro Siri, ma anche Amazon deve fare i conti con una strategia che negli ultimi anni sembra avere pagato poco, a dispetto di tutti i dispositivi con Alexa dentro alle nostre case. Il marketplace più famoso del mondo, infatti, ha perso oltre 25 miliardi di dollari tra il 2017 e il 2021 a causa dei dispositivi Echo, Kindle e altri prodotti, nonostante centinaia di milioni di clienti connessi alla smart home con le loro connessioni Internet (su SOSTariffe.it si possono sempre trovare le offerte del momento in questo ambito).

Gli altoparlanti Echo abilitati ad Alexa sono utilizzati principalmente per funzioni gratuite come impostare sveglie o accedere ad app di terze parti, piuttosto che per fare acquisti su Amazon. Come ha commentato un ex dipendente al Wall Street Journal, «avevamo paura di aver assunto diecimila persone di aver costruito soltanto un timer intelligente». Ora Andy Jassy, il CEO di Amazon, sta cercando una soluzione; pare che alla fine verrà lanciato un tier a pagamento delle funzioni di Alexa – un po’ come se fosse una piattaforma di streaming, insomma – ma non tutti sono convinti che sarà sufficiente.

Lo scorso settembre è stata presentata la nuova Alexa basata sull’intelligenza artificiale di ultima generazione, ma l’esordio ufficiale è ancora lontano, secondo quanto filtra: secondo Fortune, Amazon potrebbe non avere sufficienti dati o la possibilità di accedere ai chip necessari per far girare i LLM (Large Language Model). Inoltre in questo momento su quel fronte sembra più urgente concentrarsi sulla costruzione di un’IA generativa per la propria unità di cloud computing, AWS.

A marzo Amazon ha completato il suo investimento di 4 miliardi di dollari nella startup AI Anthropic, l’azienda dietro al quotato Claude – il suo più grande investimento di sempre in un’azienda esterna – ma i frutti non si sono ancora visti. L’azienda nega seccamente l’articolo di Fortune: un portavoce ha detto che «abbiamo già integrato l’IA generativa in diversi componenti di Alexa e stiamo lavorando duramente per l’implementazione su larga scala, nei più di mezzo miliardo di dispositivi ambientali abilitati ad Alexa già presenti nelle case di tutto il mondo, per offrire un’assistenza ancora più proattiva, personale e affidabile ai nostri clienti».

Arrivano gli agenti AI

Di certo in questo ambito non ci si può permettere di rimanere a guardare per troppo tempo, perché la tecnologia va così in fretta che il gap rischia di aumentare a vista d’occhio. Di certo è vero che Amazon stia sempre più integrando l’AI nel suo cloud, in particolare con ciò che molti oggi (Sam Altman di OpenAI compreso) definiscono la next big thing: gli agenti AI, ossia quei programmi software progettati per interagire con l’ambiente, raccogliere dati e prendere decisioni autonome per raggiungere obiettivi predefiniti, dai videogiochi ai robot fisici, utilizzando dati sensoriali o input testuali per prendere decisioni informate, ottimizzando il processo decisionale e migliorando l’efficienza operativa. Insomma, tutto ciò che automaticamente dovrebbe risolvere il problema dei compiti ripetitivi.

Un esempio è Amazon Connect Contact Lens, che gestisce e genera analisi in tempo reale nei contact center: rileva e oscura automaticamente i dati sensibili, fornisce riepiloghi dei contatti ed evidenza le tendenze, permettendo ai supervisori di monitorare le performance degli agenti umani in modo più efficace. Tra gli altri servizi di IA generativa di AWS, Amazon Bedrock, che permette di accedere a Claude, Llama 2 e Amaton Titan; Amazon Sagemaker, che permette di sperimentare, creare, testare e implementare agenti di IA con algoritmi di machine learning da implementare e personalizzare; o AWS Trainium, acceleratore di apprendimento tramite machine learning creato appositamente per i modelli di deep learning.

È praticamente impossibile che un colosso come Amazon perda il treno dell’AI, ma mai come in questo caso nel tech oltre alla destinazione sarà importante la qualità del viaggio.

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