Per dare attuazione al “diritto all’oblio“, le Autorità italiane – e cioè il Garante per la privacy ed anche i giudici – possono ordinare, in conformità al diritto Ue, al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione globale: il cosiddetto global delisting o global removal. Un repulisti esteso dunque anche ai Paese extra europei, andando a incidere sulle versioni del motore al di fuori dell’Ue. Una tale decisione dovrà essere presa all’esito di un bilanciamento tra il diritto della persona alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei dati personali e il diritto alla libertà d’informazione, tuttavia – e questo è un altro passaggio decisivo – tale valutazione va fatta “secondo gli standard di protezione dell’ordinamento italiano”, senza dunque badare alle regole vigenti nei paesi esteri. Fermo restando, ovviamente, che le altre nazioni (fuori dell’Ue) potranno anche non tener conto di tale ordine.
Lo ha chiarito la Prima sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 34685 deposita oggi, accogliendo il ricorso del Garante Privacy contro Google Llc, Google Italy Srl e riformando la decisione del Tribunale di Milano del settembre 2020 che, accogliendo parzialmente il ricorso del colosso di Mountain View, aveva limitato il provvedimento assunto dal Garante nell’ottobre 2017 riducendolo all’ordine di rimozione degli Url sulle sole versioni nazionali del motore di ricerca corrispondenti agli Stati membri dell’Unione Europea.