C’è perfino un termine per definirci: “smombie”, che sta per smartphone zombie. Ad Anversa e nella città cinese di Chongqing – che, con 33 milioni di abitanti e il ben noto boom dei cellulari in Oriente negli ultimi anni, si trova a gestire una situazione alquanto complicata – sono perfino stati studiati degli appositi ausili visivi: corsie per pedoni con frecce dipinte sul terreno che segnalano la direzione da seguire e gli eventuali pericoli, a beneficio di chi vive con gli occhi perennemente abbassati sul proprio display. E negli Stati Uniti gli incidenti, spesso mortali, di cui sono vittima i pedoni sono al loro picco in trent’anni, e una causa non secondaria è proprio l’uso costante degli smartphone. Il tutto senza contare le migliaia di vittime del text-and-drive, ovvero la pessima abitudine di mandare messaggi o armeggiare col telefono mentre si è alla guida.
Insomma, da un lato gli smartphone ci migliorano la vita; dall’altro costituiscono un pericolo che fino a pochi anni fa non immaginavamo nemmeno. Perfino chi non si stacca dal suo dispositivo mobile nella sicurezza delle quattro mura di casa propria potrebbe non essere immune dai rischi: una ricerca durata tre anni della Southern New Hampshire University, pubblicata sulla rivista scientifica Applied Cognitive Psychology, ha studiato l’aumento da parte degli studenti dell’uso degli smartphone (addirittura cinque ore al giorno, quasi un terzo del tempo che si passa svegli) e gli eventuali danni a lungo termine nei confronti delle capacità cognitive, senza arrivare a un risultato davvero univoco. Inoltre, pare che questi cambiamenti siano temporanei, ma essendo estremamente difficile far cambiare a qualcuno le proprie abitudini di utilizzo dei dispositivi elettronici, gli effetti potrebbero essere, di fatto, permanenti.
Gli studi sugli effetti dello smartphone sul nostro cervello non sono ancora arrivati a un livello tale da fornirci una risposta concreta a una semplice domanda: fanno male? La questione è particolarmente insidiosa per i teenager, le cui capacità intellettive sono ancora in una fase estremamente malleabile, tanto da far temere che la progressiva riduzione delle interazioni faccia a faccia possa avere l’effetto di impedire lo sviluppo di abilità emotive e sociali.
Di certo la riduzione dei costi relativi alla telefonia mobile in tutto il mondo (su SosTariffe.it potete trovare le offerte più convenienti) non ha fatto che aumentare le ore dedicate agli smartphone. Tanto che spuntano anche teorie apparentemente strampalate, come quella secondo cui l’uso del telefono farebbe crescere le corna (e non figurate: per una volta, Tinder o le chat di WhatsApp non c’entrano).
Secondo le osservazioni di due accademici australiani, David Shahar e Mark Sayers, infatti, su 200 persone analizzate tra i 18 e i 30 anni, il 41% mostrava protuberanze ossee a forma di corno, lunghe circa un centimetro, nel retro del cranio; l’ipotesi degli studiosi è che siano un effetto della postura che assumiamo quando teniamo in mano tecnologia come gli smartphone e i tablet. Oltretutto, queste nuove formazioni sono più comuni nei maschi rispetto alle femmine, e sempre secondo i due scienziati ciò può derivare anche dal fatto che gli uomini sono più propensi a guardare lunghi eventi sportivi sui propri dispositivi mentre le donne utilizzano il telefonino soprattutto per attività sociali più brevi.
La questione del 5G
Negli ultimi mesi un nuovo fronte si è aperto relativamente ai potenziali danni del 5G, la nuova tecnologia che permetterà ai dispositivi di navigare molto più velocemente di prima. Il governo belga, lo scorso aprile, ha fermato un esperimento a Bruxelles con la motivazione che le radiazioni avrebbero potuto essere nocive, e anche Olanda e Svizzera si stanno interessando all’argomento. Secondo la Food and Drug Administration, il più importante ente governativo USA sulla regolamentazione di alimentari e farmaci, ma anche apparecchiature mediche e radiologiche, non c’è nulla da temere: anche in questo caso gli studi non hanno trovato un collegamento tra le frequenze usate dagli smartphone o dalle torri e malattie, per quanto nel 2011 la World Health Organization abbia lasciato aperta la possibilità di un legame tra il cancro e le radiazioni da cellulare. Un nuovo nulla di fatto: non ne sappiamo ancora abbastanza, e saranno necessari nuovi studi per capirci di più.
Può lo smartphone farci diventare più intelligenti?
L’altra faccia della medaglia per gli smartphone, è rappresentata da una spesa sempre più alta non solo per app che non sembrano immediatamente collegate con il miglioramento delle nostre capacità intellettive, ma anche per quelle il cui l’unico scopo è da fare da palestra per il cervello. Nel 2018, sono stati spesi quasi 2 miliardi di dollari in applicazioni pensate per mantenere elastica la propria mente anche con l’invecchiamento (nel 2012 erano stati 475 milioni). Ma anche in questo caso, i benefici sono assai difficili da quantificare, e i pareri discordanti sono all’ordine del giorno: come fa notare Dan Press, neurologo e direttore dell’unità di neurologia cognitiva al Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, «appena c’è uno studio che mostra un aspetto positivo, ce n’è un altro che invece non lo trova».
Non è un modo di dire: nel 2014, due gruppi di scienziati hanno pubblicato dei lavori sugli effetti del brain traing attraverso le app per smartphone, entrambi condotti facendo riferimento ai più avanzati studi in materia, eppure il risultato è stato diametralmente opposto: per il primo, «ci sono poche prove che utilizzare i brain games migliori le abilità cognitive, o che questi permettano di muoversi meglio nella complessa realtà della vita quotidiana»; secondo il secondo studio, invece, «un crescente e cospicuo quantitativo di prove mostra che certi regimi di allenamento cognitivo possono migliorare significativamente le funzioni cognitive, anche in modo che influenzano la vita quotidiana».
Ci sono state anche multe pesanti (i 50 milioni di dollari, poi diventati 2 con il ricorso, di multa comminati dalla U.S. Federal Trade Commission a Lumosity, un programma di brain training che sosteneva, senza prove certe, di migliorare le capacità intellettive, il rendimento scolastico e addirittura di proteggere gli utenti dal morbo di Alzheimer e trattare i sintomi del deficit d’attenzione. Forse ci dobbiamo davvero rassegnare a considerare lo smartphone solo come uno strumento, e non come la panacea di tutti i mali o il simbolo del declino.