Si fa un gran parlare di dati, analisi dei dati e big data, ma in pochi conoscono gli small data. Ne abbiamo parlato con Andrea Matheoud, già Direttore Marketing di Ipsoa Francis Lefebvre, è co-fondatore di Strike Data Intelligence, una società che collabora con le azienda per estrarre valore dai dati e migliorare le performance commerciali e l’orientamento strategico del business.
Andrea Boscaro. Caro Andrea, si fa un gran parlare di big data, mentre tu preferisci parlare di “small data”. Che cosa intendi dire?
Andrea Matheoud. Per risponderti vorrei prendere a prestito il punto di vista di Giorgia Lupi (una information designer di fama mondiale) secondo cui i dati non esistono ma sarebbero un’astrazione che noi uomini abbiamo creato per rappresentare le nostre vite, la nostra quotidianità e per salvarle su un hard disk.
Mi piace molto questo modo di pensare perché evidenzia il legame tra dati, persone e comportamenti. E quali sono i dati migliori per comprendere a fondo le persone e il loro modo di agire se non quelle piccole tracce che lasciano quotidianamente dietro di sè? Ecco, queste tracce sono per me gli small data.
Cambiamo ruolo, ora, e guardiamo al mondo con gli occhi di un’azienda: le persone sono diventate i consumatori (attuali o potenziali) e gli small data l’espressione dei loro comportamenti. Anche di quelli di acquisto.
È
in questo passaggio che si cela l’importanza degli small data: comprenderli
significa comprendere i propri clienti. Individuare opportunità e rischi. Allargare
il proprio punto di vista.
Andrea Boscaro. Il “data journalism”, una delle declinazioni più interessanti dell’editoria digitale, è consapevole che per poter raccontare un fenomeno è cruciale la sua rappresentazione grafica. Questo vale anche per la data intelligence aziendale?
Andrea Matheoud. Si, senza alcun dubbio perché è l’anello che congiunge il lavoro degli analisti con quello degli utilizzatori. Una coinvolgente rappresentazione grafica dei dati serve per mettere in comunicazione i due universi, spesso molto distanti tra loro: da un lato deve nascondere i tecnicismi che hanno reso possibile l’analisi e la sintesi dei dati; dall’altro deve tradurre il linguaggio tecnico in uno scenario di business.
In altre parole una rappresentazione efficace non richiede
competenze analitiche di alto livello, riduce i tempi di analisi e allarga la
platea degli utilizzatori. Una grande opportunità per orientare la cultura
aziendale verso quella digital transformation che permette, tra l’altro, di
incrementare il numero di decisioni data driven a discapito di quelle
frutto di convinzioni ed abitudini maturate negli anni.
Andrea Boscaro. Tu sei uno dei fondatori di Strike Data Intelligence, una start-up che supporta le imprese ad estrarre valore dalla lettura dei loro dati aziendali. Come lo fate?
Andrea Matheoud. Come si suol dire cerchiamo di “metterci nei panni” dei nostri interlocutori: capire la loro realtà, le loro abitudini operative, il loro business, i loro obiettivi. Non appena lo scenario ci è abbastanza chiaro, iniziamo a guardare dentro ai dati e ai flussi operativi alla ricerca del vero significato dei dati.
I dati hanno sempre una faccia nascosta, come la luna. Se la sai raggiungere ti racconterà una storia nuova, unica, o aggiungerà nuove sfumature ai dati già disponibili. È un percorso fatto di indagini e scoperte continue.
Non vogliamo interferire con la quotidianità dei nostri committenti. Per questo partiamo dai file che usano abitualmente e li importiamo nei nostri sistemi. Lì applichiamo i nostri algoritmi e, quasi sempre, i dati iniziano a parlare e a raccontarci la loro storia.
A quel punto inizia la parte più difficile e più affascinante del nostro lavoro: tradurre matematica e statistica in obiettivi e indicatori di business centrati sul cliente, facili da comprendere e immediati da analizzare.
Potremo dire di aver fatto un buon lavoro solo se le nostre
analisi avranno semplificato l’operatività quotidiana dei nostri committenti.
Andrea Boscaro. Se i siti eCommerce hanno gioco facile ad analizzare i costi per contatto sostenibili per ciascun canale di marketing perché il modello di business è online, le aziende che usano la Rete per produrre lead da gestire in forme più tradizionale hanno difficoltà a comprendere quale valore attribuire ad un accesso generato, per esempio, da una campagna pubblicitaria sui social media. Avverti che un approccio più professionale ai dati gioverebbe?
Andrea Matheoud. Credo che la comprensione approfondita dei comportamenti (non solo quelli di acquisto) condivisi tra i propri clienti sia imprescindibile per qualsiasi azienda. A maggior ragione per quelle con modelli di business off-line perché sono quelle in cui, verosimilmente, i dati sono disgregati e in cui la cultura dei dati è più debole.
In queste realtà, una volta implementata una data strategy che pone l’individuo al centro di ogni attività, la sinergia tra il marketing digitale e la conoscenza della propria base clienti darà i risultati migliori nella gestione della relazione con il cliente.
Nel caso che tu proponi, potremo beneficiare dell’expertise acquisita sui propri small data per profilare la lead già al primo contatto grazie alle caratteristiche che condivide con alcuni clienti attivi. Per lo stesso motivo possiamo attribuire il valore atteso della lead (che si trasformi o meno in cliente). Per quanto importante non è che il primo passo.
Possiamo spingerci oltre: poiché dei clienti conosciamo i comportamenti pregressi, saremo in grado di tracciare in anticipo (cioè pre-vedere) i percorsi che la lead probabilmente seguirà nel corso della sua relazione con la nostra azienda e porre particolare attenzione agli snodi cruciali. Sarà più semplice gestire la relazione e proporre le modalità di contatto storicamente più proficue.
Se ci pensiamo bene è un processo che arricchisce entrambi: la lead perché vede soddisfatti i suoi bisogni in minor tempo e con minor dispendio di energie; l’azienda perché arricchisce la conoscenza dei propri clienti ancor prima che lo diventino e perché è portata ad interrogarsi sull’efficacia delle proprie azioni. Con il tempo si farà strada in azienda un approccio operativo per prove ed errori.
Ti propongo un ulteriore spunto di riflessione: conoscendo i
comportamenti manifestati dai propri clienti e potendo prevederne quelli
futuri, come potrebbe evolvere la content strategy per i social, ad esempio?
Andrea Boscaro. Quali sono i requisiti per un’azienda che voglia fare davvero leva su tecniche di advanced analytics? Sono requisti software o vi è anche necessità di innovare sul piano dell’organizzazione e delle competenze?
Andrea Matheoud. Innanzitutto, è essenziale capire che le advanced analytics sono una grande opportunità per portare efficienza nei processi operativi interni. A partire da marketing e vendite che hanno impatto diretto su ricavi e margini.
Le competenze sono il tema centrale, soprattutto per le PMI. Numerosi recenti studi hanno confermato che i dirigenti (o la governance, in alcuni casi) hanno capito che i dati sono fondamentali per una proficua gestione aziendale ma che, al tempo stesso, sono consapevoli di non disporre delle competenze necessarie per analizzarli né personalmente, né all’interno del proprio staff.
Il nostro consiglio è quello di agire su due fronti: 1- investire nella formazione e 2- iniziare a “sporcarsi le mani” senza stravolgere le proprie attività, partendo dai dati disponibili. Si possono vedere i primi risultati in poco tempo con investimenti mirati. Come sempre poi, i risultati portano consapevolezza e chiariscono le idee sulla strategia da implementare. Solo allora saranno necessari progetti approfonditi e budget più importanti.
“think big, act small”. Il mondo delle avanced analytics è complesso: imporsi di volerlo capire a fondo prima di iniziare a muovere qualche passo è estremamente pericoloso e può spingere all’immobilità. Soprattutto nel caso di piccole e medie aziende.