Tutti parlano di Datacenter, cerchiamo di spiegare brevemente cosa sta accadendo in termini semplici.
Chiariremo quali sono i costi di un Datacenter, che tipo di personale viene coinvolto, quali Regioni d’Italia sono oggetto dell’investimento e cosa significa per l’Europa concentrare la potenza di calcolo solo in alcune aree del territorio.
Un investimento “strategico” estero in un datacenter extraeuropeo da uno o più miliardi di euro può sembrare a prima vista un’opportunità allettante per creare posti di lavoro in Italia e promuovere lo sviluppo economico locale di una Regione.
Tuttavia, ci sono diversi motivi per cui questo tipo di investimento non può garantire la creazione di migliaia di posti di lavoro come sovente viene annunciato e gran parte della spesa potrebbe andare alle infrastrutture (edificio e server) piuttosto che creare valore nel territorio.
1. Automazione e Efficienza Operativa = meno lavoro umano e più apparati esteri di importazione
I moderni datacenter degli operatori globali americani sono edifici bellissimi circondati da un prato all’esterno, e pieni di server altamente automatizzati ed energivori che richiedono relativamente pochi dipendenti per operare. L’adozione di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale, consentono già oggi ai datacenter di operare con un numero minimo di personale. La manutenzione, il monitoraggio e la gestione dei server possono tutti essere eseguiti da remoto. Questo fatto riduce la necessità di personale on-site. L’impatto sull’occupazione non sembra quindi essere particolarmente rilevante. Alcuni elementi del datacenter (cd. armadi) arrivano perfettamente assemblati. Senza scordarsi che tutti gli apparati sono prodotti all’estero (chip, rack, cavi, switch, condizionatori ecc).
2. Specializzazione del Personale che lavora dall’estero e possibile sottrazione di personale qualificato in cybersecurity ad aziende ed autorità italiane (acquisizione di talenti e fuga di talenti)
I datacenter richiedono però personale altamente specializzato, come ingegneri di rete, tecnici di sistemi e esperti di sicurezza informatica. La domanda per questi ruoli è elevata in tutto il mondo, ma il numero di posizioni aperte è percentualmente limitato rispetto al totale della forza lavoro. Inoltre, molte di queste posizioni sono già coperte da personale già in forza all’interno di un’azienda globale che potrebbe però andare ad aprire posizioni lavorative a livello locale, andando a sottrarre personale specializzato ad aziende italiane o ad Autorità italiane che hanno bisogno di addetti altamente qualificati e non ne trovano. L’acquisizione di talenti, non è da confondere con la fuga di talenti. Il Know-how delle aziende è nei cervelli delle persone che ci lavorano: certe “killer acquisition” operate a livello globale non hanno avuto solo l’effetto di eliminare un concorrente, ma anche quello di acquisire tutto il personale specializzato dell’impresa target. Ci sono numerosi esempi, oggetto di analisi antitrust.
3. Quali sono i costi per costruire e mantenere un datacenter e cosa resta dopo la costruzione dell’edificio
La maggior parte dell’investimento in un datacenter è destinata alla costruzione delle infrastrutture fisiche, ovvero il palazzo, il building, il cubo di vetro, ed i sistemi di raffreddamento, alimentazione elettrica e sistemi di backup. Questi sono tutti costi infrastrutturali (mattoni, bricks, cavi elettrici, condizionatori, antiincendio ecc) che rappresentano una parte significativa del budget complessivo e non contribuiscono direttamente alla creazione di posti di lavoro locali. Inoltre, molti dei materiali e delle apparecchiature necessarie per costruire un datacenter sono acquistati da fornitori globali, limitando ulteriormente l’impatto economico locale. All’Italia resta quindi un palazzo di proprietà di un soggetto extraeuropeo, che ha generato alcuni posti di lavoro temporanei nel settore delle costruzioni, ed è comunque una cosa buona. Ma una volta completato, il numero di posti di lavoro permanenti creati è relativamente basso.
4. Perché “piccolo” è bello: la potenza computazionale distribuita, il cloud federato e l’edge oltre Milano e Parigi
A differenza di un’azienda manifatturiera o di un centro di ricerca e sviluppo, un datacenter è principalmente un’infrastruttura di supporto che fornisce capacità di elaborazione dati ma non produce beni tangibili. Però la capacità di calcolo è importantissima per non creare disallineamenti tra nord e sud, tra territorio ed isole, tra città e aree interne. Un investimento significativo in un singolo datacenter (la grandezza oggi si misura in megawatt e in miliardi di dollari di costo) rappresenta una concentrazione di capitale che potrebbe essere utilizzata in modo più efficace per stimolare lo sviluppo economico locale. Ad esempio, investire in una serie di progetti infrastrutturali più piccoli e distribuiti su tutto il territorio nazionale potrebbe creare più posti di lavoro nello Stivale e avere un impatto economico più ampio sulla comunità.
Sartorialità delle nostre imprese
Il Datacenter è quindi la premessa dell’erogazione dei servizi cloud ma la specializzazione delle nostre imprese italiane risiede tutta nella sartorialità dei servizi che produciamo. Gli operatori cloud italiani hanno una dimensione piccola e media e crescono grazie alle capacità interne. L’Italia infatti, è la quarta potenza mondiale per l’export perchè tutti ci riconoscono la capacità di saper produrre insieme al cliente. E questo vale per tutti i progetti, quindi anche per la produzione dei servizi cloud. Le PMI del Cloud italiane parlano la stessa lingua delle altre PMI italiane attive sugli altri settori industriali. Se non vogliamo svuotare le aree interne, se non vogliamo condannare il SUD (e le zone economiche svantaggiate) occorre pensare all’Italia come unica e indivisibile. Andare oltre Milano e Parigi si può fare. A meno che non si pensi che RHO sia l’edge di Milano, si deve fare per garantire che la capacità di calcolo sia distribuita oltre il Po.
Distribuire i datacenter su tutto il territorio
Ecco perchè è preferibile distribuire i datacenter su tutto il territorio. Per farlo intanto si devono garantire le stesse condizioni privilegiate legate alle autorizzazioni anche ai datacenter più piccoli. Inoltre si deve procedere a “federare” i cloud provider in modo che possano facilmente scambiarsi risorse in ambienti qualificati e certificati. (ne parleremo nei prossimi giorni). Gli nvestimenti in progetti più diversificati e distribuiti potrebbero avere un impatto economico più significativo e sostenibile per tutti, stimolando una crescita economica più equa e inclusiva.
Investimento estero in datacenter non amplia la sovranità digitale italiana
Infine, un investimento estero in un datacenter non realizza e non amplia la sovranità digitale italiana, probabilmente semmai aumenta la dipendenza da infrastrutture estere e questo crea forte preoccupazione per chi crede nell’innovazione come drive di crescita economica. L’Europa dovrebbe aver capito che l’unico modo per crescere è sviluppare industrie locali nell’innovazione e garantire una crescita alle economie locali in un contesto competitivo. Ma di competizione non parla nessuno perchè spesso si è detto che è una partita persa. Forse perché nessuno ha posto il problema dell’indipendenza digitale che è stata prima ridotta a mera disponibilità di una produzione locale e poi derubricata ad impegno sui verticali. E’ sbagliatissimo. L’Italia deve avere più fiducia nelle sue capacità.