Oggi la distinzione tra reale e virtuale è arbitraria, difficile coglierne il senso e soprattutto il nesso che contraddistingue i due modi di essere nella realtà, soprattutto per gli adolescenti che fanno di quella realtà modi di esistere e di presentarsi al mondo.
Un debutto in società che si plasma su vecchi e atavici bisogni giovanili e nuove forme di espressione comunicativa che sono alla base della ristrutturazione dei rapporti generazionali tra genitori e figli.
Quel digital device che non si esaurisce solo nella destrezza digitale di adolescenti multitasking ma nella necessità di ristrutturare il processo comunicativo tra genitori e figli sull’onda della sperimentazione di nuovi spazi di aggregazione. Debutto in società di tanti giovani che hanno bisogno di una società forte che sappia cogliere lessici nuovi e forme di comunicazione web-generate nelle quali la distinzione tra reale e virtuale è oggi un labile, se pur ancora presente, confine.
Sono reali le foto che i ragazzi diffondono su Instagram, fanno parte di loro e li rappresentano nel siglare il loro indelebile Ever Green digitale. In questo processo costante di identificazioni e proiezioni i post che hanno condiviso su Facebook, che hanno ripreso dai vari gruppi che seguono, conformano il loro nuovo modo di essere, in cui molto del fare offline è agito per essere condiviso online. Duplice lavoro quello dell’adolescente di oggi, in cui il tempo e lo spazio si dilatano dando al contempo l’illusione di essere grande e forte nel fuori di me dentro lo schermo.
In questo processo costante di andata e ritorno, di identificazione e, di proiezione, di interno ed esterno, il web è un abile rilevatore del disagio e un amplificatore delle stesso nel momento in cui permette di esprimermi senza timore o la vergogna di essere giudicato. Lo schermo agisce da meccanismo di difesa fisicamente strutturato che si allinea perfettamente alle esigenze emotive del turmoil di crescita adolescenziale nella sua veste di facilitatore e compattante relazionale.
Chi mi segue, si fa riconoscere, mette mi piace, e orienta le mie condivisioni e scelte successive in base a quanti apprezzamenti o meno ho ricevuto. Siamo di fronte a nuove modalità comunicative alimentate dallo spirito di sempre dell’aggregazione giovanile che ha compattato mode e tendenze di ieri e che oggi mette la sua firma di riconoscimento nel noi-social.
Nuove modalità comunicative che nel momento in cui il ragazzo o la ragazza stanno vivendo un disagio, un momento di stallo o di regressione, di vero e proprio disturbo, si trasforma in denuncia che assume toni corali di un me in difficoltà, che proiettato nello spazio digitale rischia di perdere di valore espressivo se non riconosciuto dalle vecchie generazioni ancorate ancora all’ascolto di vecchi segnali.
Oggi il disagio dei giovani non si nasconde più, viene condiviso, a volte a mo’ di provocazione, all’interno del grande diario dei social e molto spesso, nella condivisione globale, il singolo viene inglobato in una rete che trascina, traghetta, confonde fino a far assumere al malessere conformazioni di tendenza. Foto e video in cui regna sovrana la violenza del gruppo, o il disagio di un gruppo che fa della dipendenza dalle droghe motivo di vanto, delle provocazioni e dell’hate speech segnali di forza, che aggrega e addensa nei commenti e nelle condivisioni il disagio in un groviglio comunicativo che perde di valore e testimonianza e diventa agglomerato di provocazione e sfrontatezza di giovani persi.
Il confine adolescenziale tra interno ed esterno, tra vissuto emotivi ed agiti impulsivi, oggi è labile se non del tutto assente, e se da una parte può generare confusione, dall’altra come adulti responsabili della crescita delle nuove generazioni, abbiamo il dovere morale di potenziare l’ascolto e comprendere che spesso dietro a foto o video in cui si esprime il malessere e il disagio, non c’è finzione ma realtà.
Difficile comprendere che dietro l’immagine presa dal web, in cui si coglie il disagio di altri per esprimere il proprio malessere, scritte in cui si parla di mancanza di amici, di rispetto, d’amore, per comunicare un’assenza personale, o di distruzione che dilaga nel web nella caricatura dell’inno al male, quando poi il male dall’altra parte dello schermo non si riesce ad affrontare e/o non viene visto.
Non distinzione tra reale e virtuale quindi ma grande attenzione all’ascolto perché oggi i giovani ci stanno testimoniando, modo loro e con i loro strumenti, questo bisogno. La loro necessità di essere ascoltati e compresi soprattutto nell’espressione di un loro disagio che nel farsi corale in rete, rischia di perdere autenticità e testimonianza emotiva.
Quanto è vero il malessere nel web o quanto è provocato dalla suggestione di un male epidemico immesso in rete, in cui si tocca con mano la distruzione di valori, il rispetto per sé stessi e gli altri, la dignità di un gruppo che fa di tale assenza spirito di aggregazione e vanto?
La violenza dilaga con grandi difficoltà di censura e la suggestione che ci rimanda l’osservazione, sotto la spinta dell’attivazione dei neuroni a specchio, fa dell’intenzionalità dell’altro, soprattutto se in me c’è confusione o sconforto, baluardo di oggettivazione di in fare senza consapevolezza che è il primo errore di una condotta digitale non adeguata e che può lasciare il segno.
Se il grido d’allarme c’è nei social non possiamo come adulti responsabili non ascoltarlo, ma dobbiamo unirci per coglierlo e rispondere in modo adeguato a un processo comunicativo in cui le immagini traghettano parole a volte inesprimibili che molto spesso si coprono dietro a post di tendenza.
Nella serie televisiva Tredici, il tragico atto finale viene testimoniato da registrazioni e spiegato agli adulti, che per assurdo dovrebbero essere i traduttori di emozioni a volte non comprensibili e abili rilevatori di nessi causali che servono al giovane per ricostruire la sua storia evolutiva.
Se il disagio c’è, e c’è, dobbiamo essere pronti a coglierlo nell’ascolto e nella comunicazione reale & digitale prima che sia troppo tardi.