Esce oggi in libreria ‘Giornalismi nella rete. Per non essere sudditi di Facebook e Google’, Donzelli Editore. Un viaggio nella trasformazione della forma giornale in flusso di news, impaginate dal social network. Una svolta epocale, che vede il potere dell’algoritmo al centro della scena. Ne abbiamo parlato con l’autore Michele Mezza, docente di Culture Digitali all’Università Federico II Napoli, analista dei processi digitali e in particolare delle contaminazioni social del mondo delle news.
Key4biz. Ripropone anche in quest’ultimo suo libro, come nel precedente, la sperimentazione di un linguaggio ipermediale su carta?
Michele Mezza. In questo caso più che per coerenza di linguaggio con il tema trattato, si trattava di proporre uno strumento non solo di analisi ma anche di formazione e studio, ed è per questo che con l’editore Donzelli abbiamo pensato ad un sistema complesso, che vedesse il libro cartaceo, avvalersi di tutte le potenze della rete come la realtà aumentata dei QRcode e i collegamenti con le pagine sui social che potessero prolungare il libro nel tempo. Ecco perché abbiamo creato prima il sito, che ci è servito per canalizzare e integrare via via i contenuti, e poi il libro, che si appoggia alla rete con i link ipermediali che ospita nelle sue pagine.
Key4biz. Un titolo descrittivo e un sottotitolo forte, che non passa inosservato: “…per non essere sudditi di Facebook e Google”.
Michele Mezza. Il sottotitolo come accade spesso, è stata l’ultima ciliegina sulla torta. Il libro, infatti, man mano che cresceva ha risentito della temperie che maturava in rete. E in questi mesi è stato un crescendo: da una parte i service provider hanno risalito la filiera dei contenuti mirando a incatenare a sé tutti i principali service provider. L’intesa fra Facebook e alcuni grandi testate globali come il New York Times o il Guardian, ha segnato una vera svolta epocale: schiude così la parentesi apertasi nel XVI secolo con Gutenberg e la forma giornale diventa flusso, che sarà impaginato dal social network. Un altro segno mi pare sia l’accordo fra Google e alcune testate europee, fra cui l’italiana Stampa, per riorganizzare il corredo intelligente dei giornali, ossia memorie e sistemi editoriali. Questo scenario disegna un quadro in cui i padroni del software tendono a “mangiarsi” i titolari dei linguaggi. Poi c’è un tema più generale che investe proprio la natura di questa nuova civiltà digitale, ossia la centralità dell’algoritmo non solo come linguaggio, ma anche come senso comune. L’algoritmo, ci spiegano quelli che sanno di queste cose, è un modo di vedere il mondo, una cultura che affronta e risolve soluzioni sulla base di una propria selezione di valori. Importare algoritmi, adottare soluzioni esterne, come accade quando deleghiamo a Google o Facebook i nostri problemi quotidiani, significa importare culture e visioni del mondo. Si può fare e si vuole rimanere autonomi e sovrani?
Key4biz. Quali indicazioni, suggerimenti o allarmi emergono dal libro su questo tema?
Michele Mezza. Sostanzialmente una raccomandazione: negoziare l’algoritmo. In concreto, penso che oggi siamo ad un tornante non dissimile da quanto avvenne all’inizio del secolo scorso, quando l’avvento della fabbrica strappò dal sottosviluppo milioni di uomini. Al prezzo però di sottoporli ad uno sfruttamento che inizialmente era bestiale. Uno sfruttamento che sembrava inevitabile: quello era l’unico modo per far funzionare quei nuovi apparati che erano le fabbriche fordiste. Poi venne il movimento del lavoro che negoziò il modo e l’ambiente della catena di montaggio, anche le condizioni di vita esterna. Ed avemmo il welfare che caratterizza oggi la civiltà occidentale. Credo, francamente, che si debba fare un’operazione simile con il software.
Key4biz. Ma chi è oggi il soggetto con cui negoziare il software?
Michele Mezza. Questo è il vero tema. Ovviamente io non credo che si tratti di riproporre la stessa meccanica del Novecento: i dipendenti che si organizzano e creano i sindacati, e via dicendo. Credo che si debbano immaginare nuovi soggetti, come ad esempio i territori, le città, i luoghi dove gli algoritmi creano nuovi valori e nuovi modelli di cittadinanza. Roma e Milano sono brand sufficientemente forti per discutere con Google. E poi gli operatori delle intelligenze e dei linguaggi. Qui i giornalisti hanno una nuova occasione storica per riproporsi come i grandi alleati della democrazia: essere i negoziatori e i certificatori di algoritmi trasparenti e autonomi, di un software che va guardato come bene comune come l’acqua. Pensiamo a quanto ha scritto proprio l’altro giorno Papa Francesco sulla nuova enciclica Laudato Sii: “In realtà l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano, essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”.
Proprio l’idea di un valore che sia premessa per i nuovi diritti umani, ecco cosa è oggi il software. Per, questo aderendo alla riflessione di Papa Francesco, credo che si debba riflettere sul parallelismo fra acqua e software pensando ad un nuovo modello di fruizione di beni comuni che generino un nuovo valore di cittadinanza da affermare e difendere.
Key4biz. Nel libro si parla anche di nuove figure professionali del giornalista nella rete?
Michele Mezza. Esattamente, questa è la missione del libro, proporre concretamente funzioni e competenze per un giornalismo protagonista al tempo della potenza di calcolo e del big data. Io rifletto su alcuni snodi che il giornalista deve presidiare, come le architetture delle memorie, il design della notizia, l’uso di soluzioni come i droni o le analisi dei flussi di dati e delle previsioni comportamentali. Su questi temi il giornalista deve riprogrammare la propria professione per acquistare dimestichezza e padronanza di saperi che lo portino a negoziare i sistemi intelligenti che arrivano in redazione.
Key4biz. Torniamo tema di partenza: i giornali nel social network. Cosa ti sembra particolarmente pericoloso?
Michele Mezza. Il potere che avrà Facebook di impaginare le notizie, profilo per profilo, per ognuno del miliardo e mezzo dei suoi utenti, decidendo a chi andrà prima quella notizia e a chi quell’altra. Un potere impressionante, che biodegraderà il formato giornale in un unico flusso veloce, per cui nessuno di noi leggerà un giornale come il suo vicino o il suo amico.
Se pensiamo che la democrazia e con essa le opinioni pubbliche sono nate con la contemporaneità dei mezzi di comunicazione, forse potremo immaginare cosa stiamo rischiando. Il punto non è di rimanere come ora, ma di farlo sapendo una parola più di Facebook e Google, per parafrasare un antico slogan, in modo da non essere sudditi inconsapevoli.