Presentando la terza grande area di nuova riflessione della rivista dedicata alla storia del presente e alla critica del presentismo, il direttore editoriale di Democrazia futura Bruno Somalvico osserva come sino ad oggi l’Italia “non è riuscita a fare i conti con il proprio passato, con quella che è stata definitiva la ”morte della patria” che fa seguito alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e alla successiva occupazione tedesca del Paese e guerra civile dopo la firma dell’armistizio di Cassabile resa nota l’8 settembre 1943. A sinistra la maggioranza di quello che ai tempi di Berlinguer veniva definito il popolo di sinistra non ha mai riconosciuto pienamente il carattere totalitario dei regimi comunisti del cosiddetto socialismo reale, sognando sempre altresì una terza via per distinguersi dal socialismo democratico, visto come un intralcio alla realizzazione di un’intesa con le forze del cosiddetto cattolicesimo democratico, dando vita ad un gran contenitore pigliatutti come l’attuale Partito Democratico. A destra, nonostante la fine della conventio ad excludendum che aveva impedito al Movimento Sociale Italiano di costituire un’alternativa parlamentare credibile durante la Prima Repubblica, né il successivo sdoganamento delle forze politiche provenienti dal neofascismo nella stagione a prevalenza maggioritaria nei primi anni della Seconda Repubblica, né la recente affermazione di Fratelli d’Italia che ha portato a Palazzo Chigi il primo premier con quella provenienza, hanno sinora consentito a queste forze politiche di fare pienamente i conti con il fascismo e in particolare con quelle due date. Il silenzio di Giorgia Meloni in occasione dell’ottantesimo anniversario del 25 luglio non sembrerebbe preludere ad una chiarificazione sul significato dell’8 settembre, o ad accettare la festa del 25 aprile come un momento di chiusura della frattura che segna ogni anno la comunità nazionale in occasione di quella commemorazione e quindi di celebrazione di una memoria finalmente condivisa tra tutti gli italiani otto decenni dopo”.
Con la scomparsa della figura di Silvio Berlusconi è giunto il momento di fare un’analisi in sede storica degli effetti provocati da Tangentopoli e dai tre decenni successivi in quella che è stata definita impropriamente come Seconda Repubblica.
La storia del presente ha trovato legittimamente spazio nella produzione storiografica contemporanea. Pierre Nora con il suo corso all’Ecole des Haute Etudes en Sciences Sociales dedicato all’Histoire du Temps Présent sin dagli anni Ottanta non ha fatto che legittimare nel tempio braudeliano della lunga durata la capacità di messa in prospettiva storica del presente.
Anche l’Italia necessiterebbe di un Istituto di Storia del tempo Presente per fare i conti con il proprio passato anche recente e capire quali siano gli elementi di continuità e rottura con la Prima Repubblica e con le stagioni precedenti. Il Centocinquantenario dell’Unità d’Italia celebrato nel 2011 è stata un’occasione mancata non solo per fare una sorta di autobiografia collettiva della storia d’Italia e degli italiani nell’epoca post-unitaria, per capire se sia ancora necessario porsi l’obiettivo di Fare gli italiani[1].
Mentre i tedeschi sin dagli anni Ottanta cercavano infine di porsi alcune Fragen an die deutsche Geschichteper superare il passato che non passa, i francesi hanno iniziato a fare i conti con il regime collaborazionista con gli occupanti tedeschi di Vichy, spagnoli e portoghesi hanno portato termine in pochi annali la transizione dalle loro dittature protrattesi sino ai primi anni Settanta del Novecento verso regimi democratico-parlamentari, l’Italia negli anni della Seconda Repubblica, pur essendo riuscita a sconfiggere il terrorismo e a ottenere risultati significativi nella lotta alla criminalità organizzata e nella fattispecie alla mafia in Sicilia, non è riuscita a fare i conti con il proprio passato, con quella che è stata definitiva la ”morte della patria” che fa seguito alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e alla successiva occupazione tedesca del Paese e guerra civile dopo la firma dell’armistizio di Cassabile resa nota l’8 settembre 1943.
A sinistra la maggioranza di quello che ai tempi di Berlinguer veniva definito il “popolo di sinistra” non ha mai riconosciuto pienamente il carattere totalitario dei regimi comunisti del cosiddetto “socialismo reale”, sognando sempre altresì una terza via per distinguersi dal socialismo democratico, visto come un intralcio alla realizzazione di un’intesa con le forze del cosiddetto cattolicesimo democratico, dando vita ad un gran contenitore pigliatutti come l’attuale Partito Democratico.
A destra, nonostante la fine della conventio ad excludendum che aveva impedito al Movimento Sociale Italiano di costituire un’alternativa parlamentare credibile durante la Prima Repubblica, né il successivo sdoganamento delle forze politiche provenienti dal neofascismo nella stagione a prevalenza maggioritaria nei primi anni della Seconda Repubblica, né la recente affermazione di Fratelli d’Italia che ha portato a Palazzo Chigi il primo premier con quella provenienza, hanno sinora consentito a queste forze politiche di fare pienamente i conti con il fascismo e in particolare con quelle due date[2]. Il silenzio di Giorgia Meloni in occasione dell’ottantesimo anniversario del 25 luglio non sembrerebbe preludere ad una chiarificazione sul significato dell’8 settembre, o ad accettare la festa del 25 aprile come un momento di chiusura della frattura che segna ogni anno la comunità nazionale in occasione di quella commemorazione e quindi di celebrazione di una memoria finalmente condivisa tra tutti gli italiani otto decenni dopo.
Ma anche in seno alla nostra destra di governo anch’essa frutto di una coalizione fra partiti pigliatutti, prevalgono i distinguo, i timori, le perplessità.
E quindi sembra almeno per ora improbabile una chiarificazione di questo genere.
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Contro l’astoriologia
In un recente pamphlet uno fra i principali storici contemporanei del ventennio, Emilio Gentile, dimostra che parlare di ‘ritorno del fascismo’, di ‘fascismo eterno’, non solo è privo di senso storico, ma aggrava la disinformazione su quel che è stato realmente il fascismo. Infatti, favorisce la propensione a sostituire la conoscenza realistica della storia con una sorta di astrologia storica, una ‘astoriologia’, che mescola fatti, invenzioni, miti, superstizioni, profezie, paure e illusioni. Una narrazione che inevitabilmente provoca l’anchilosi della mente critica e ci impedisce di comprendere il presente.
Rifuggire dalle tentazioni astoriologiche richiede dunque allo storico contemporaneo il ritorno ai fondamentali del proprio mestiere, in primis alla verifica delle fonti e delle scoperte raccolte nel corso della propria indagine, sapendo distinguere le proprie fonti e smascherare fatti interpretazioni e descrizioni di fatti inverosimili o comunque macchiate di queste pecche, manipolando, ad esempio, con estrema cautela le fonti reperite via Internet e avendo al contempo consapevolezza dei luoghi fisici e delle distanze spaziali che ci separano da un determinato fatto rilevante e quindi notiziabile, e del periodo storico in cui un determinato evento si è prodotto e quindi dello spazio temporale che lo contraddistingue e separa da fatti eventi e interpretazioni di essi che si erano a loro volta prodotti nel passato.
Contro il presentismo il giornalismo deve ritornare ai fondamentali
Allo stesso modo per il giornalista che non vuole essere prigioniero del presentismo dominante, rispettare correttamente non solo le buone pratiche vincolate ad appropriati codici deontologici significa saper bucare la rete e attraverso una conoscenza minima delle lezioni del passato emettere ipotesi per il futuro rispettando nella ricostruzione dei fatti la risposta alle cinque W:
Who? chi?,
What? cosa?,
Where? dove?,
When? quando?
Why? perché?
Oggi la Rete, il Web, in questo momento storico è soggetta al contrario di quando nacque, ad una dittatura di pochi attori detentori di potentissimi algoritmi che elaborano dati ed aggregano contenuti anche informativi secondo altri criteri, in barba alla tutela dei cittadini e delle regole basilari della democrazia.
In questo contesto è evidente che non bastano regole deontologiche e buone pratiche di autoregolamentazione del web.
Interessi generali e responsabilità pubblica. Per un ritorno forte della politica
Occorre favorire un ritorno forte della politica nella ricomposizione degli interessi generali, un impegno accresciuto delle istituzioni, per esercitare una “responsabilità pubblica” sulle comunicazioni, evitando che la società attuale si riduca ad una società delle piattaforme ovvero ad un oligopolio di elaboratori di dati e aggregatori di contenuti distribuiti a clienti profilati secondo una logica di massimizzazione dei loro profitti non solo economici ma anche politici ed elettorali cavalcando nuovi cavalli giusti a scapito del bene comune della collettività ed affrancandosi da ogni controllo da parte della pubblica opinione.
La democrazia futura, il futuro della rappresentanza dei cittadini, richiede un nuovo equilibrio fra istituzioni statuali e soggetti operanti nel mercato, controllo pubblico sull’intelligenza artificiale per evitare apprendisti stregoni di nuovi cataclismi, e libertà creativa da parte di individui consapevoli e responsabili dei pericoli ma anche delle grandi opportunità offerte da questa stagione di grandi trasformazioni.
Per una storia presente critica del presentismo e della società alle prese con la grande trasformazione digitale e le sfide degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale
Di qui la scelta di dar vita ad una terza grande area di focalizzazione sulla storia del presente, sugli elementi di continuità e rottura emersi dal dopoguerra ad oggi. Una storia critica del presente scritta non solo da storici e giornalisti ma in stretta associazione con sociologi, economisti, giuristi e filosofi, che assume dunque anche le sembianze di una critica della nostra società alle prese con gli effetti della grande trasformazione digitale e quindi con la trasformazione della geopolitica.
Criticare il presentismo, fare i conti esatti con la storia d’Italia, comprese le pagine rimaste oscure o scomode, se non ingombranti, per gli italiani che festeggiano il 25 aprile e per coloro che ancora si ostinano a non volerlo celebrare, ripercorrere le zone d’ombra non solo nella stagione della resistenza o del dopoguerra, ma anche in stagioni più recenti come tentiamo aprendo un focus sulla presunta trattativa fra Stato e Mafia, e su sentenze giudiziarie che continuano a suscitare perplessità come nel caso di quelle emesse nei processi dedicati ad appurare la verità sulla strage alla stazione di Bologna.
I lettori ci aiuteranno spero a scavare sia nel fango sia negli archivi.
[1] Titolo di una pubblicazione e di una bellissima mostra a Torino che insieme a poche altre hanno costituito un’eccezione.
[2] Su questo tema troverete un articolo di Stefano Rolando