1 È opinione comune che l’avvento e l’evoluzione di internet abbiano già modificato la nostra società nel profondo ma i cambiamenti più radicali debbano ancora venire. Dopo una prima fase trainata dal video e principalmente “consumer driven”, si sta passando ad una realtà più articolata. L’ industry 4.0, la data-driven economy, stanno conducendo verso una trasformazione ben più ampia, fatta anche di Cloud Computing, Blockchain, 5G, Internet of Things, Virtual Reality: veri e propri strumenti abilitanti della digital economy.
Questi strumenti richiedono tecnologie (e quindi di infrastrutture) di comunicazione molto evolute: nello specifico, affinché si sviluppino tutti i benefici della digital economy è necessaria la piena disponibilità di reti elettroniche a banda ultra larga.
Lo studio “La migliore regolazione per lo sviluppo della Gigabit Society. Tecnologie abilitanti, evoluzione dei servizi e best option infrastrutturali”, realizzato congiuntamente da LUISS Dream (centro di ricerca del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Luiss Guido Carli, diretto dal Prof Gian Domenico Mosco) e IT Media Consulting (CEO Prof. Augusto Preta) e presentato il 16 aprile 2018 nella cornice della sede Luiss di Villa Blanc in Roma.
2 Nello studio si parte dall’osservazione che la domanda di traffico e di connettività sta crescendo a ritmi vertiginosi, nell’ordine dei miliardi di megabyte su base annua. Ma le attuali reti in fiber-to-the-cabinet (FTTC) sono fortemente limitate, sia per latenza sia per capacità trasmissiva, a causa della loro componente di rame; esse, pertanto, non sembrano in grado di reggere il peso di una simile rivoluzione digitale e finiscono per rappresentare un collo di bottiglia. Di ciò sembra stiano progressivamente prendendo atto, con sempre maggior chiarezza, anche le Istituzioni comunitarie.
Queste, pur confermando il generale principio di neutralità tecnologica, osservano che esso «non impedisce di tener conto del fatto che determinati mezzi di trasmissione presentano caratteristiche fisiche ed elementi architettonici che possono essere superiori in termini di qualità del servizio, capacità, costi di manutenzione, efficienza energetica, flessibilità gestionale, affidabilità solidità e scalabilità, e in ultima istanza in termini di prestazioni» (nuovo considerando 18 della Direttiva 2002/21 modificato dalla proposta di Direttiva che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche). Ciò si traduce concretamente in alcune importani indicazioni in merito alla tecnologia da sviluppare per l’infrastruttura della Gigabit Society. Ad esempio la Comunicazione Gigabit Society della Commissione europea dopo aver fissato i più ambiziosi obiettivi – rispetto all’Agenda Digitale del 2010 – da raggiungere entro il 2025 (1 Gbps per i motori socio-economici e in 100 Mbps, potenziabili fino a 1 Giga per tutte le aree geografiche, sia urbane sia rurali), fornisce una definizione di Very Hight Capacity Network. Questa è “una rete di comunicazioni elettroniche costituita interamente di elementi di fibra ottica almeno fino al punto di distribuzione nel luogo di destinazione, oppure che è in grado di fornire prestazioni di rete analoghe in condizioni normali di picco in termini di banda disponibile per downlink/uplink, resilienza, parametri di errore, latenza e variazione della stessa” (nel glossario allegato allao Staff Working Document la Commissione chiarisce che le VHCN devono consentire velocità superiori a 100 Mbps).
Anche nella proposta di Direttiva che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche si ritiene necessario «avvicinare sempre di più la fibra ottica all’utente» e si considera che le reti ultraveloci «corrispondono, in caso di connessione fissa, a quelle che possono essere ottenute da un’installazione in fibra ottica fino a un edificio pluri-residenziale, considerato come luogo servito, e, in caso di connessione mobile, a prestazioni analoghe a quelle che possono essere ottenute da un’installazione in fibra ottica fino a una stazione di base» (considerando 13 della proposta). Il riferimento è qui, incontrovertibilmente, all’infrastrutturazione in fiber-to-the-premises (FTTB\H), che può essere considerata come un’infrastruttura definitiva proprio perché, una volta posata, consente di aumentare le prestazioni tramite un semplice upgrade degli apparati esterni.
Analoghe indicazioni sulla necessità di una penetrazione profonda della Fibra sono ormai chiaramente fornite anche nell’ambito della Strategia nazionale per la BUL.
3 Quanto agli strumenti per realizzare una infrastruttura così importante ed inquadrabile in un progetto industriale di lungo periodo, lo studio ricostruisce i tratti fondamentali della regolazione europea, i quali, innanzitutto, escludono che possa essere sufficiente il ricorso a risorse del marcato. D’altro canto escludono altresì che l’esigenza di una nuova infrastrutturazione possa richiedere di negare lo stesso assetto di mercato introdotto a partire dai primi anni ’90. Negli Orientamenti sugli aiuti di stato alla Banda Larga del 2009 la Commissione dice chiaramente che, dopo la piena liberalizzazione del 1996, non è più possibile ricorrere a diritti speciali o esclusivi. Lo stesso strumento disegnato in quegli anni per assicurare il perseguimento di finalità di interesse generale attraverso un sistema di contribuzione trasparente dei players del mercato (con un meccanismo endogeno del mercato stesso) non può affrontare il processo di una nuova infrastrutturazione. Non rappresenta una soluzione percorribile neppure un drastico alleggerimento della regolazione per gli operatori con Significativo Potere di Mercato (cd regulatory holidays). La strada maestra è dunque quella di prevedere una “regolazione pro-competitiva dell’intervento pubblico”, secondo l’approccio comunitario che consente aiuti di Stato in caso di Servizi di Interesse Economico Generale.
Perchè la Banda Ultralarga possa essere annoverata tra i SIEG e dunque destinataria di finanziamenti pubblici è però «necessario che l’infrastruttura fornita sia passiva, neutra e dotata di un accesso aperto. Una simile rete deve fornire agli interessati tutte le possibili forme di accesso alla rete e permettere una effettiva concorrenza nel comparto al dettaglio, garantendo agli utenti finali l’offerta di servizi concorrenziali e a prezzi abbordabili». I soldi pubblici dunque possono finanziare la BUL (nel senso che sono compatibili con il diritto comunitario) solo a condizione che siano rivolti ad una rete aperta e passiva. Difatti «una volta realizzata e installata una rete a banda larga in grado di offrire una connessione universale, l’azione delle forze di mercato è sufficiente, di norma, per offrire servizi di comunicazione a tutti gli utenti a un prezzo concorrenziale» (Orientamenti 2009 e 2013). L’ammissibilità di un intervento pubblico richiede però una valutazione analitica (case by case) dei fallimenti di mercato (di qui la suddivisione del territorio in aree bianche grigie e nere). Inoltre occorrerà una procedura competitiva di selezione del beneficiario del contributo e l’obbligo per quest’ultimo di fornire accesso wholesale a terzi a condizioni Fair Reasonable and Non Discriminatory ed a prezzi regolamentati.
4 Lo studio evidenzia poi come la novità del processo di infrastrutturazione, unita alle caratteristiche della rete in fibra (capienza ed economicità dell’offerta wholesale di infrastruttura spenta), può dar luogo ad una diversa articolazione della catena del valore. Da un modello di integrazione verticale totale si può passare ad un modello tripartito: (a) operatore che realizza l’infrastruttura fisica, (b) operatore che gestisce l’infrastruttura logica, e (c) operatore che fornisce servizi.
Questo crea, da un lato, i presupposti per la maggiore articolazione dell’offerta wholesale da parte di operatori integrati verticalmente e dall’altro lo spazio di mercato per operatori che intendano essere presenti solo nel mercato wholesale (suddiviso in mercato dell’infrastruttura spenta e mercato dei servizi di rete wholesale).
A riguardo, nello studio “Gigabit Society” ci siamo soffermati su alcune significative esperienze di alcuni Paesi europei, e segnatamente sul quadro regolatorio e di mercato della Svezia e del Portogallo.
Il modello svedese è efficacemente sintetizzato nella Broadband Strategy 2017 del Governo, dove si parla di una «continuous market-driven expansion, completed by public efforts». La fibra è vista come una “public utility”, e l’infrastrutturazione è dunque declinata secondo i canoni dell’inclusione territoriale, del progresso tecnologico e del contemperamento tra investimenti pubblici e privati. In particolare, i Municipal Networks svedesi dimostrano che la presenza di una rete FTTB/FTTH di proprietà pubblica, lungi dal deprimere l’innovazione, può addirittura stimolarla in un duplice ambito: infatti, sotto il profilo infrastrutturale agisce da benchmark tecnologico per gli operatori privati infrastrutturati, mentre sotto altro profilo spinge verso una migrazione del fenomeno concorrenziale dalle infrastrutture ai servizi di accesso.
Inoltre la scelta del modello wholesale open access, adottata dai Municipal Networks, se da un lato si dimostra coerente con gli Orientamenti comunitari, dall’altro rappresenta la prima ragione della forte domanda di servizi di rete a banda ultra larga del paese: l’esistenza di una rete future proof ad accesso aperto abbassa le barriere di ingresso al mercato per Network Providers non infrastrutturati e genera a valle della catena del valore, un vivace contesto competitivo nei servizi di accesso, che a sua volta costituisce stimolo per la domanda da parte dei consumatori.
Ne consegue un mercato più sano, capace di promuovere servizi innovativi e di offrire ai consumatori prezzi bassi e copertura capillare. L’esempio della città di Stoccolma è emblematico. Sulla rete municipale di Stokab (usata anche dall’incumbent) competono oltre 100 operatori di telecomunicazioni. Ciò ha stimolato la nascita di nuovi servizi ed un contesto imprenditoriale nel settore delle ICT particolarmente dinamico, tanto da meritarsi l’appellativo di “Silicon Valley europea“. In base ai dati europei del 2018 la Svezia è in brillante seconda posizione con una penetrazione della FTTH/B pari al 43,4% degli household.
D’altra parte, abbiamo potuto appurare che, anche nell’esperienza portoghese, il modello wholesale open access (articolato secondo offerte che includano anche semplicemente l’accesso all’infrastruttura spenta) si è rivelato il motore degli investimenti infrastrutturali. In un mercato caratterizzato dalla pluralità di infrastrutture proprietarie end-to-end (grazie ad una consistente presenza di reti via cavo progressivamente aggiornate ai più evoluti standard), la pressione concorrenziale ha evitato le derive anti-competitive solitamente legate ad un alto grado di integrazione verticale ed ha spinto tutti i players verso una scelta infrastrutturale future proof (l’FTTH è ormai la prima tecnologia per l’accesso alla banda larga con una percentuale del 37,1%, ed un tasso di crescita del 5% tra il 2016 ed il 2017). Così l’infrastrutturazione FTTH, che si trova in uno stadio notevolmente avanzato, continua ad attrarre ulteriori investimenti su reti future proof, al fine di raggiungere una copertura totale del territorio nazionale (come in una sorta di “corsa agli armamenti”); d’altra parte il diverso assetto infrastrutturale presente nelle varie aree geografiche del Portogallo ha stimolato l’efficiente sfruttamento delle risorse di rete già esistenti (sotto l’egida dell’open access): ciascun operatore mette a disposizione l’accesso wholesale alla propria rete FTTH agli altri operatori, ma al contempo ha necessità che gli altri operatori facciano altrettanto a suo vantaggio, in altre aree del paese.
Sembra infine che anche nelle intenzioni europee il modello wholesale only (come nel caso svedese) si stia rapidamente ritagliando il ruolo di architrave del sistema (assieme, come si è visto, alla tecnologia FTTH), grazie alla garanzia di un’ottima allocazione delle risorse e ai minori svantaggi competitivi che offre. In proposito, già gli Orientamenti della Commissione europea sugli aiuti di stato ala Banda Larga del 2009 affermavano che un modello gestionale di accesso all’ingrosso «consente di evitare questioni potenzialmente complesse di prezzi predatori e forme occulte di discriminazione all’accesso».
Ora, il favor comunitario per tale modello si è spinto ancora oltre. Prova ne è la recente previsione, contenuta nell’art. 77 della Proposta di Codice europeo di c.e., di un sostanziale alleggerimento della regolazione per l’operatore non integrato verticalmente che si collochi nel solo mercato all’ingrosso (operatore “wholesale only”). Anche a livello nazionale, come noto, la scelta nelle aree a fallimento di mercato ha privilegiato il modello wholesale only, scelta valutata positivamente dalla Commissione europea che ad esempio esrpimendosi sui bandi Infratel ha chiarito che “by favouring a wholesale only model Italy is encouraging non-discriminatory treatment of all access seekers favouring competition at retail level”.
5 Lo Studio conclude pertanto che una efficace concorrenza infrastrutturale (end-to-end) anche creata da operatori wholesale only crea il disincentivo ad utilizzare reti non future proof e spinge anche l’incumbent ad investire in reti totalmente nuove e tecnologicamente evolute. Questo fa progressivamente venir meno l’essenzialità della vecchia infrastruttura e i possibili rischi di comportamenti aventi effetti di foreclosure. Inoltre, la presenza di operatori non integrati verticalmente offre grandi opportunità per una concorrenza efficace tra Network Providers non infrastrutturati.
Infine le risorse pubbliche indirizzate verso operatori non integrati verticalmente generano un mercato wholesale aperto e competitivo ed al tempo stesso economicamente conveniente per dei Network Providers non infrastrutturati, i quali possono concentrarsi nell’offerta di servizi che, per varietà e convenienza, stimolino la domanda di banda ultralarga da parte dei consumatori.
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