Il lavoro “on demand”, occasionale e temporaneo, è il fulcro attorno a cui ruota la cosiddetta gig economy, cioè l’economia digitale di imprese che con la rete fanno business, come Uber nei trasporti, Foodora o Deliveroo nel settore della consegna di generi alimentari a casa o in ufficio (food delivery).
Un’economia che nasce dalla necessità per le persone di “arrotondare”, ma in molti casi anche daòl bisogno di lavorare a pieno regime (vista la difficoltà di entrare nel mercato del lavoro tradizionale), mettendo assieme più impieghi “a chiamata” o micro-lavori/lavoretti, spesso però in condizioni contrattuali disastrose, che da un paio di anni vedono impegnati sindacati, partiti e movimenti politici nel tentativo di migliorare tali condizioni.
Ieri, il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva, con 466 voti favorevoli, 145 contrari e 37 astensioni, una nuova norma che definisce i diritti minimi dei lavoratori della gig economy, cioè di coloro che svolgono un’occupazione occasionale o a breve termine.
La legge in questione, si legge in una nota ufficiale, già concordata con i ministri dell’Unione europea, “garantisce una serie di diritti minimi per coloro che svolgono un’occupazione occasionale o a breve termine, come i lavoratori a chiamata, intermittenti, a voucher, tramite piattaforma, così come i tirocinanti e gli apprendisti retribuiti se lavorano in media almeno tre ore alla settimana e 12 ore su quattro settimane. I lavoratori autonomi sono invece esclusi dalle nuove norme”.
“Questa direttiva – ha affermato il relatore Enrique Calvet Chambon – è il primo grande passo verso l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, che riguarda tutti i lavoratori dell’UE. A tutti i lavoratori che si sono trovati in un limbo saranno concessi diritti minimi grazie a questa direttiva e le sentenze della Corte di giustizia europea: d’ora in poi nessun datore di lavoro potrà abusare della flessibilità del mercato del lavoro“.
Si chiede alle gig company, ad esempio, di assicurare maggiore trasparenza, soprattutto nella chiamata: “Tutti i lavoratori devono essere informati fin dal primo giorno, come principio generale e, ove giustificato, entro sette giorni, degli aspetti essenziali del loro contratto di lavoro, quali: descrizione delle mansioni, data di inizio, durata, retribuzione, giornata lavorativa standard o orario di riferimento per coloro che hanno orari di lavoro imprevedibili”.
In termini di tutela, i lavoratori vedranno riconosciuti: un livello minimo di prevedibilità, come orari e giorni di riferimento predeterminati; la possibilità di rifiutare, senza conseguenze, un incarico al di fuori dell’orario prestabilito o essere compensati se l’incarico non è annullato in tempo; il divieto per i datori di lavoro di sanzionare i lavoratori che vogliono accettare impieghi con altre imprese, se le nuove mansioni non rientrano nell’orario di lavoro stabilito, e nuove misure nazionali, da stabilire, per prevenire le pratiche abusive, quali dei limiti allo scopo e alla durata del contratto.
I periodi di prova, inoltre, non potranno essere superiori a sei mesi o proporzionali alla durata prevista del contratto in caso di lavoro a tempo determinato.
Dopo l’approvazione del Parlamento europeo, spetta agli Stati membri dell’Unione implementare le nuove norme entro i prossimi tre anni.
Oggi proprio Deliveroo ha annunciato una sua espansione in Italia con l’attivazione del servizio in altre 6 città, per un totale di 75 centri urbani e una domanda di nuovi rider per 120 posti di lavoro.
In Italia, secondo i dati della Fondazione Rodolfo De Benedetti, ci sono 700 mila lavoratori della gig economy, mentre In base ad una ricerca dell’Università di Pavia, commissionata da Phd Italia, il volume di un simile comparto, così come si presenta oggi, sarebbe destinato a salire da 3,5 miliardi di euro del 2015, generati da 11,6 milioni di utenti, a 8,8 miliardi nel 2020, fino a un valore compreso tra i 14 e i 25 miliardi nel 2025.