Metà della carriera parlamentare di Paolo Gentiloni, da ieri nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, è stata spesa nel mondo delle telecomunicazioni e di internet.
Possiamo dire, di fatto, che forse è l’unico Premier della storia d’Italia che ha avuto a che fare direttamente col digitale. Prima di diventare Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel Governo Renzi (2014 -2016), Gentiloni è stato per più di due anni, per il Partito Democratico, membro della IX commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni) e della commissione sui servizi radiotelevisivi alla Camera dei Deputati.
Anni in cui ha sottolineato in più sedi, anche internazionali, la centralità della rete, della banda larga, della diffusione di internet e delle tecnologie digitali, per la crescita economica dei Paesi europei, e quindi per l’Italia.
In un’intervista a Key4Biz del 2011, sosteneva che il Paese era troppo timido culturalmente nei confronti dell’innovazione, vittima di una “storica sottovalutazione del settore della ricerca e dello sviluppo”, che “non crede nelle tecnologie”, che “poco investe in startup”, che culturalmente mostra segni di “ritardo” evidenti nei confronti del Nord Europa.
Nel 2012 il “Il testo unico per l’Agenda digitale” avrebbe portato anche la sua firma. Una delle poche carte da giocare per far ripartire l’Italia, sosteneva Gentiloni: “La strategia digitale deve essere attuata nel più breve tempo possibile, poiché è una delle poche carte fondamentali che abbiamo da giocare al tavolo della crisi, e bisogna tenerne conto anche quando si parla di investimenti pubblici”.
Andando ancora più indietro nel tempo, c’è forse il suo primo rilevante incarico politico “tech oriented” come Ministro delle Comunicazioni nel secondo Governo Prodi (2006 – 2008). Un biennio difficile, aspro e caratterizzato dal grande conflitto sui temi della televisione.
A quel tempo, infatti, Gentiloni aveva fra le sue competenze proprio la riforma del settore televisivo. Presentò anche una riforma a suo nome (mai approvata), finalizzata all’adeguamento della legge Gasparri alla normativa UE, centrata soprattutto sui tetti alla pubblicità.
A lui si devono i primi ‘patti’ con le Regioni per lo sviluppo della banda larga. Nel 2009 era tra i firmatari di una mozione bipartisan in cui chiedeva lo sblocco di 800 milioni di euro per la fibra ottica e la lotta al digital divide.
Tentò anche una riforma della Rai, in cui si prospettavano due diverse forme di finanziamento: una pubblica e una privata (quindi dalla pubblicità). Dal 2005 al 2006 è stato presidente della commissione di vigilanza Rai.
Da oggi inizia un nuovo percorso, come Premier di un Paese che ancora crede troppo poco nell’innovazione, in cui le risorse per la banda ultra larga sono troppo limitate, in cui c’è da lavorare seriamente sull’Agenda Digitale nazionale e regionale e dove la cultura digitale fa fatica ad entrare nelle case e nei posti di lavoro.
Buon lavoro Presidente.