L’incontro al vertice tra lo Zar e il Sultano sull’energia (e forse l’Ucraina)
L’incontro ai massimi livelli, in territorio neutro, tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan non sarà forse servito a trovare una mediazione diplomatica decisiva per la guerra in Ucraina, ma è stata l’occasione per rilanciare la questione energetica del gas e delle sue infrastrutture strategiche.
Ieri in Kazakhstan, il Presidente russo e quello turco hanno avuto un colloquio di un paio di ore ufficialmente su questioni relative alle relazioni commerciali e politiche tra i due Paesi, ma secondo indiscrezioni riportate in un articolo di Antonella Scott per Il Sole 24 Ore molto di quello che si sono detti ha riguardato l’Ucraina e le possibili strade diplomatiche da percorrere per arrivare ad un cessate il fuoco perlomeno.
Era stato lo stesso Erdogan ad investire l’incontro di grandi aspettative: “Nostro obiettivo è fermare lo spargimento di sangue il prima possibile”. Ma ieri, al termine dell’incontro tra i due Presidenti, Jurij Ushakov, consigliere del Cremlino per la politica estera, ha tagliato corto dichiarando: “Il confronto sul rilancio delle relazioni commerciali ed economiche ha esaurito tutto il tempo”. Come per dire: dell’Ucraina non si è parlato proprio.
Più chiaro, invece, il punto di vista sull’energia espresso da Putin ed Erdogan, che sono entrambi convinti della necessità di un nuovo gasdotto che dalla Russia arrivi in Turchia.
Turchia rotta del gas più affidabile per offrire gas all’Europa. Le mani di Ankara sul “Mare Nostrum”
Secondo il capo del Cremlino, “La Turchia è diventata la rotta più affidabile per fornire gas all’Europa”. Inevitabilmente il pensiero corre a quanto accaduto a Nord Stream 1 e 2 nel Mar Baltico nei giorni scorsi. Costruendo questa nuova infrastruttura energetica, secondo Putin, si arriverebbe ad una maggiore stabilità dei prezzi e “la Turchia potrebbe diventare il più grande hub del gas al mondo”.
Poi, rivolgendosi ai Paesi europei, il Presidente russo ha detto: “Se sono interessati, oggi i prezzi sono alle stelle, potremmo facilmente riportarli alla normalità, indipendentemente dalla politica”.
Un’affermazione che ha trovato subito la pronta reazione della Francia. In una nota l’Eliseo ha chiarito che “Non ha senso per l’Europa creare nuove infrastrutture che consentano di importare più gas russo, semplicemente perchè non lo vogliamo“.
La geopolitica dell’energia ci ha abituati a questo tipo di confronti. La Turchia sta cercando di colmare il “vuoto” politico lasciato dall’Europa, nella questione ucraina. Da una parte Ankara può giocare un’agevole partita diplomatica nel pacificare i rapporti tra Kiev e Mosca, dall’altra ha la grande opportunità di confermare la propria influenza politico-economica sul Mar Nero (e da qui a tutta l’Europa orientale, strappando territori alla Germania) e di andare oltre il Bosforo, il Mar di Marmara e lo stretto dei dardanelli, guardando al Mediterraneo orientale (parte di “Mare Nostrum” storicamente controllato dall’Impero romano d’oriente/bizantino e infine turco-ottomano) e oltre.
Infrastrutture energetiche, un mercato in crescita
Il conflitto tra Russia e Ucraina ha posto in primo piano la questione della sicurezza energetica e ha evidenziato il valore della diversificazione degli approvvigionamenti. Secondo molti studi internazionali, ulteriori infrastrutture, che includono importazione e stoccaggio di gas, possono contribuire in maniera efficace al rafforzamento della sicurezza energetica (anche generando energia elettrica, preparando al meglio le economie per la transizione energetica e contribuendo alla stabilizzazione dei mercati).
D’altronde, la domanda mondiale di gas sta crescendo ad un tasso medio di crescita annua del +6%. Parallelamente, si registra un costante incremento di investimenti nel settore delle infrastrutture, di gasdotti e oleodotti in particolare. Un mercato che passerà dagli attuali 620 miliardi di dollari ai 1.117 miliardi di dollari stimati entro il 2030.
All’incontro di ieri dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali del G20, la Banca centrale cinese ha ribadito la volontà di fornire un sostegno più forte all’economia reale, concentrandosi in particolare sulla costruzione di infrastrutture strategiche.
… E crescono anche le emissioni inquinanti
C’è però un dato, che appare incontrovertibile: più combustibili fossili bruciamo, più aumenta il livello di inquinanti nell’atmosfera (e, secondo la maggioranza della comunità scientifica, aumenta di conseguenza la temperatura media globale).
Secondo dati dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), contenuti nel Rapporto “Global Methane Tracker”, le emissioni inquinanti di metano, dovute a perdite lungo le infrastrutture, sono il 70% più alte di quanto ufficialmente dichiarato dagli Stati di tutto il mondo.
Il metano, afferma la Iea, nonostante si dissolva più rapidamente della CO2 in atmosfera, è responsabile di circa il 30% dell’aumento delle temperature globali dal 1870 ad oggi. Riduzioni rapide e sostenute di questo tipo di emissioni sono quindi fondamentali per limitare il fenomeno del surriscaldamento del pianeta a breve termine e migliorare la qualità dell’aria.
Il 40% delle emissioni di gas metano è generato da attività umane nel settore energetico, con un incremento del 5% nel 2021.