Siria, avvertimento di Tillerson alla Russia: l’era di Assad “sta per giungere al termine”
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Il governo del presidente Bashar al Assad in Siria “sta per giungere al termine”: lo ha dichiarato il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, in chiusura del summit dei ministri degli Esteri del G7 a Lucca, in Italia. L’avvertimento rivolto dal segretario di Stato Usa a Mosca e’ giunto a coronazione di una settimana di grave escalation della tensione tra Washington e Mosca, che ieri e’ stata accusata dalla Casa Bianca di aver tentato di insabbiare l’attacco con armi chimiche da parte del regime siriano nella provincia di Idlib. Un rapporto di quattro pagine pubblicato dal Consiglio per la sicurezza nazionale, infatti, ribadisce che gli Usa sono certi della colpevolezza di Assad: stando all’intelligence statunitense, un velivolo dell’aviazione siriana avrebbe sganciato sul villaggio di Khan Shaykhun almeno una bomba chimica al sarin; inoltre, accusa la Casa Bianca, Mosca e Damasco sarebbero colpevoli di aver diffuso una “narrativa falsa” tesa a fuorviare l’opinione pubblica globale in merito alle responsabilita’ del regime di Damasco. Il documento, durissimo nei confronti di Mosca, ha preceduto di poche ore l’arrivo di Tillerson in Russia, dove oggi incontrera’ l’omologo Sergej Lavrov. La posizione di Washington nei confronti della Russia suona sostanzialmente come un ultimatum: Mosca deve abbandonare Assad, o diverra’ “irrilevante” nel contesto strategico mediorientale. A meta’ tra l’avvertimento e la rassicurazione anche le parole del segretario della Difesa Usa, Jim Mattis, che ieri ha dichiarato: “Sono fiducioso che i russi agiranno nel loro migliore interesse, e non e’ nel loro interesse che la situazione finisca fuori controllo”. Nel frattempo, la stampa Usa, solitamente durissima con il presidente Donald Trump, plaude alla rigida posizione assunta dalla Casa Bianca, nei confronti di Mosca. Il “reset” delle relazioni diplomatiche Usa- Russia cui ambiva Trump e’ defunto, esulta ad esempio “Bloomberg”. Un editoriale non firmato della “Washington Post”, attribuibile alla direzione del quotidiano, riconosce invece all’amministrazione presidenziale di aver adottato “un approccio piu’ sveglio nei confronti della Russia” e una condotta “piu’ realistica rispetto alle minacce che (il presidente russo) Putin pone per gli interessi cruciali degli Stati Uniti”; anche se – chiosa l’editoriale – l’amministrazione Trump ha ancora “molto da imparare”.
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Il G7 lancia un salvagente al governo libico sostenuto dall’Onu
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Il G7 dei ministri degli esteri, riferisce il “Financial Times”, ha lanciato un salvagente al fragile governo libico sostenuto dalle Nazioni Unite. Il Gruppo, riunito a Lucca, ha espresso un “forte sostegno” all’esecutivo di Tripoli, guidato da Fayez al Serraj. Il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ha chiarito la posizione di Washington, contraria “a ogni tentativo di interrompere il processo di stabilizzazione”, alleviando la preoccupazione di alcuni alleati europei di un’inversione di rotta rispetto alla linea di Barack Obama, sostenitore del governo di Tripoli, da parte dell’amministrazione di Donald Trump a favore del generale Khalifa Belqasim Haftar, che ha sede a Tobruk, guida una campagna anti-islamista e ha appoggi in Egitto e Russia. Il comunicato conclusivo ha esortato “tutti gli attori che hanno un ruolo da giocare a impegnarsi con spirito di compromesso per l’obiettivo della piena riconciliazione politica e a desistere da azioni che aggravino le divisioni interne e alimentino ulteriori conflitti”: un messaggio indirizzato non solo a Haftar, ma anche alle altre milizie che cercano di rovesciare il governo di Serraj. Ad alimentare la preoccupazione di una svolta degli Stati Uniti e di una divisione del paese nordafricano ha contribuito una rivelazione di “The Guardian”: l’ipotesi della partizione, secondo quanto appreso dal quotidiano, e’ stata avanzata da Sebastian Gorka, analista militare statunitense, consulente della Casa Bianca per la sicurezza nazionale, in lizza per il ruolo di inviato speciale presidenziale in Libia. Gorka, in un incontro con un alto diplomatico europeo, ha tracciato su un tovagliolo lo schizzo di una possibile suddivisione del paese in tre aree; il suo interlocutore ha accolto l’idea come “la peggiore soluzione” per la Libia. La mappa si articola in tre parti: Tripolitania a nord-ovest, Fezzan a sud-ovest e Cirenaica a est. Gorka considera i Fratelli musulmani un gruppo terrorista ed e’ vicino allo stratega Steve Bannon (la cui stella pero’ si e’ un po’ appannata di recente), che ritiene la lotta all’Islam radicale il tema prioritario della politica estera di Washington. I suoi concorrenti per il posto di inviato in Libia sono Pete Hoekstra, ex membro del Congresso e lobbyista, e Phillip Escaravage, ex funzionario di intelligence che ha lavorato nel paese piu’ di dieci anni, considerato il favorito.
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Regno Unito, Stati stranieri potrebbero aver interferito nel voto per la Brexit
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Una relazione della commissione Pubblica amministrazione e affari costituzionali della Camera dei Comuni del Regno Unito, riferisce il quotidiano britannico “The Guardian”, ipotizza, con “profonda preoccupazione”, il coinvolgimento di governi stranieri nel blocco di un sito internet per la registrazione degli elettori verificatosi prima del referendum dell’anno scorso sull’appartenenza all’Unione Europea. I fatti risalgono al 7 giugno 2016: cento minuti prima della scadenza delle iscrizioni, il sito web “crollo'” a seguito di un picco di richieste, piu’ di mezzo milione; il governo prorogo’ i termini di 48 ore. Il sito era stato bersaglio di un attacco Ddos (Distributed Denial-of-Service): un sovraccarico di traffico indotto attraverso una rete di computer infettati da appositi software. Il documento parlamentare non indica possibili responsabili ed esorta a trarre una lezione per il futuro, andando al di la’ delle questioni tecniche: secondo il gruppo di deputati presieduti da Bernard Jenkin, “la comprensione degli attacchi informatici degli Stati Uniti e del Regno Unito e’ prevalentemente tecnica”, mentre altri paesi, “ad esempio la Russia e la Cina, usano un approccio cognitivo basato sulla comprensione della psicologia di massa”.
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Brasile, e’ la “fine del mondo”: otto ministri rinviati a giudizio
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Si apre una nuova e corposa pagina della crisi in Brasile, frutto delle indagini che stanno svelando la corruzione ai piu’ alti livelli della politica e dell’imprenditoria. Il Supremo Tribunal Federal (Stf), il massimo organo della giustizia locale, ha autorizzato i processi per otto ministri, i presidenti di Camera e Senato e tre governatori di Stato. Un duro colpo per Michel Temer, presidente del Brasile dall’agosto del 2016, da quando una procedura di impeachment aperta per le denunce su alcuni conti pubblici hanno portato alle dimissioni di Dilma Rousseff. L’attuale governo di centrodestra ha gia’ perso, per cause piu’ o meno direttamente legate a quanto accade nei tribunali, sette ministri. Ma quello registrato ieri e’ un duro colpo per tutto il paese, visto che le indagini colpiscono da sinistra a destra l’intero arco politico, decine di senatori e deputati, sindaci e dirigenti di partito, e allungano la loro ombra sui cinque ex presidenti in vita – Rousseff, Lula, Fernando Henrique Cardoso, Fernando Collor e Jose’ Sarney – i cui fascicoli vengono assegnati ad altre autorita’ giudiziarie. Edson Fachin, il ministro di giustizia del Supremo incaricato di esaminare i casi, ha accolto quasi tutte le richieste che la procura aveva avanzato basandosi sulle 78 testimonianze rese da dirigenti passati e presenti della Odebrecht, il colosso delle costruzioni le cui fortune nelle due Americhe sembrano sempre piu’ legate al pagamento di tangenti in cambio di concessioni di opere e interventi legislativi ad hoc. Un dossier che si e’ ben presto guadagnato il titolo di testimonianze “della fine del mondo”, vista la qualita’ e la quantita’ di nomi coinvolti. Le indagini non possono coinvolgere Temer perche’ la legge brasiliana impedisce che il presidente possa essere giudicato per fatti precedenti all’inizio del suo mandato, ma la giustizia e’ ancora sulle tracce dei presunti fondi illeciti usati nella campagna elettorale che lo ha fatto vincere in ticket con l’allora alleata Rousseff.
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Spagna, vietato issare la bandiera della Repubblica
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – La bandiera repubblicana, simbolo ufficiale della Spagna tra il 1931 e il 1939, deve essere rimossa dalla centrale piazza della Costituzione di Cadice, nella regione meridionale dell’Andalusia. E’ la misura cautelare decisa da un tribunale amministrativo spagnolo a seguito del ricorso presentato dal governo centrale contro la decisione del comune andaluso di celebrare le giornate della memoria per un periodo storico cui mise fine a dittatura di Francisco Franco. La polemica ha animato il dibattito nazionale, sempre reattivo rispetto ai temi legati alla parentesi storica chiusa con la fine della guerra civile. Nei giorni scorsi il vessillo era stato gia’ tirato giu’ per tre volte dai passanti e rimesso in piedi dalle autorita’ del comune alla cui guida c’e’ un sindaco del partito di sinistra antisistema Podemos. Le autorita’ locali hanno aperto una indagine per atti vandalici chiedendo alla delegazione del governo, la stessa che ha inoltrato la denuncia, di avere il materiale video delle telecamere di sicurezza collocate nei pressi della piazza. La denuncia di Madrid poggia sul fatto che il gesto viola “il principio di oggettivita’ e di imparzialita’” cui si devono ispirare tutte le amministrazioni pubbliche dell’attuale monarchia. Pur assumendo la paternita’ dell’iniziativa, il comune risponde facendo presente che la bandiera non e’ stata issata su nessun edificio municipale e che comunque, la sua presenza “non impone un determinato modello politico”. L’amministrazione di Cadice e’ ad ogni modo pronta a proseguire la sua battaglia, denunciando il fatto che la bandiera e’ stata cautelativamente rimossa anche se il giudizio di merito deve essere ancora formulato. Intanto la rappresentanza del governo centrale nella comunita’ Valenciana ha fatto sapere che informera’ i tribunali ogni qual volta i comuni della regione esibiranno il vessillo repubblicano, iniziative molto attese per il 14 aprile, giorno in cui si ricorda la proclamazione della Repubblica spagnola. Non migliore fortuna ha avuto l’accordo varato dall’assemblea regionale della Navarra per concedere qualche giorno di visibilita’ alla bandiera sul proprio palazzo: il locale Tribunale superiore di giustizia lo ha respinto ricordando che se gli edifici pubblici non possono ostentare nessun simbolo che non sia quello ufficiale.
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Quattro presidenti africani chiedono a Hollande la liberazione dell’ivoriano Laurent Gbagbo
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Il presidente francese Francois Hollande, che terminera’ il suo mandato quinquennale all’indomani delle elezioni presidenziali del 7 maggio prossimo, oggi martedi’ 12 aprile e domani mercoledi’ 13 ricevera’ a Parigi il presidente della Guinea, Alpha Conde’, con cui intrattiene rapporti estremamente cordiali. Secondo quanto rivela il quotidiano “Le Monde”, Conde’ e’ portatore di un’ultima richiesta al collega francese: adoperarsi per ottenere in tempi strettissimi la liberta’ provvisoria per l’ex presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, in carcere da oltre cinque anni all’Aja in Olanda perche’ accusato dalla Corte penale internazionale di “crimini contro l’umanita’” a causa delle violenze commesse dai suoi sostenitori nella guerra civile del 2010-2011. A sostenere la richiesta di Conde’ ad Hollande, secondo il “Monde”, ci sarebbero altri tre suoi colleghi africani: il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou; quello del Mali, Ibrahim Boubacar Keita; e quello del Burkina Faso, Roch Marc Christian Kabore’. A favore della richiesta di liberta’ per Gbagbo, nota il quotidiano progressista francese, gioca anche il fatto che tutti e quattro questi presidenti africani hanno lottato contro regimi autoritari nei rispettivi paesi, che hanno studiato in Francia e che militano nell’Internazionale socialista. La loro richiesta prevede che dopo la scarcerazione Gbagbo sia ospitato da un paese europeo, per poter agevolmente presenziare alle udienze della Corte dell’Aja: e la sede proposta sarebbe l’Italia. Tuttavia il sottosegretario agli Esteri italiano, Mario Giro, contattato dal “Monde” per un commento e’ sembrato infastidito dalla questione: e’ vero che Giro recentemente ha incontrato a Parigi alcuni esponenti dell’entourage dell’ex presidente ivoriano; ma a suo dire “nessuna richiesta ufficiale” e’ finora pervenuta all’Italia. Cosa fara’ Hollande? Secondo il “Monde” il presidente francese e’ sempre stato contrario a Gbagbo, e in passato ne chiese persino l’espulsione dall’Internazionale socialista; il fatto che sia a fine mandato e non corra per la rielezione, pero’, ora potrebbe militare a favore di un gesto di clemenza che e’ sollecitato anche dall’Unione Africana, di cui il guineano Conde’ e’ presidente di turno.
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Julian Assange, WikiLeaks condivide la missione della grande stampa Usa
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Julian Assange, fondatore di WikiLeaks – la ong votata alla pubblicazione di informazioni riservate – firma un editoriale pubblicato dalla “Washington Post”, in cui respinge le accuse di collusione con la Russia e vicinanza al presidente Usa, Donald Trump, mosse nei confronti della sua “creatura” dai media statunitensi. Assange cita le ultime rivelazioni di WikiLeaks in merito al programma di guerra informatica multimiliardario della Cia, cui i quotidiani statunitensi hanno riservato una copertura pressoche’ nulla. La Cia, denuncia Assange, “ha creato pericolose armi informatiche, preso a bersaglio i prodotti elettronici di consumo, e poi perso il controllo del suo arsenale”. Le fonti di WikiLeaks, sostiene Assange, non puntano a indebolire gli Usa, ma ad alimentare un dibattito pubblico in merito “alla sicurezza e alla creazione, l’uso e la proliferazione del controllo democratico tramite le armi informatiche”. Le rivelazioni di Wikileaks, afferma Assange, sono pericolose “soltanto per quanti vogliono evitare una delle piu’ grandi conquiste degli Stati Uniti, il dibattito pubblico”. Il governo Usa afferma che le rivelazioni della Ong costituiscono un rischio per la sicurezza nazionale; altri, come nel caso delle mail riservate del Partito democratico, che hanno contribuito a minare l’immagine di Hillary Clinton prima delle elezioni presidenziali dello scorso anno – “affermano che pubblicare fatti riguardanti malefatte (…) sia un problema piu’ grave delle malefatte in se'”. A questo proposito, il programmatore australiano cita l’ex presidente Usa Dwight D. Eisenhower: “Soltanto un popolo di cittadini allerta e consapevole puo’ esercitare un adeguato compromesso tra l’enorme macchina industriale e militare di difesa ed i nostri metodi pacifici ed obiettivi a lungo termine in modo che sia la sicurezza che la liberta’ possano prosperare assieme”. Gli obiettivi di WikiLeaks – scrive ancora Assange – “sono gli stessi che professano il ‘New York Times’ e la ‘Washington Post’, vale a dire la pubblicazione di contenuti che costituiscano una notizia. In accordo con i dettami della Costituzione Usa, pubblichiamo materiale di cui possiamo confermare l’attendibilita’, a prescindere dal fatto che le fonti ne siano giunte in possesso legalmente o abbiano il diritto di trasmetterlo ai media”: lo stesso, suggerisce Assange, hanno fatto i principali quotidiani Usa pubblicando informazioni d’intelligence in merito ai presunti rapporti tra Trump e la Russia. Quanto alle accuse mosse apertamente o indirettamente a Wikileaks e al suo staff, esse “provengono da interessi consolidati” che dipingono la ong come “serva anti-americana di potenze ostili”, nonostante Wikileaks e il suo fondatore “nutrano una profonda ammirazione per gli Stati Uniti d’America e i suoi ideali fondanti”.
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Germania, pioggia di critiche contro la legge “anti-odio” di Maas
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Gli imprenditori dell’associazione industriale IT Bitkom, gli hacker del collettivo Computer Club (Ccc), i giornalisti dell’associazione tedesca dei giornalisti (Djv), l’associazione degli editori tedeschi (VdZ) , i creatori di Wikipedia, Reporter senza frontiere, l’associazione dell’economia su Internet: sono soltanto alcuni dei soggetti che hanno duramente contestato la proposta di legge del ministro della Giustizia tedesco Heiko Maas contro l’odio e le “fake news” nella Rete, in special modo nei social network come Twitter e Facebook. La legge prevede l’obbligo per aziende come Facebook di eliminare rapidamente contenuti penalmente rilevanti, pena il pagamento di draconiane sanzioni pecuniarie: sino a 50 milioni di euro. La legge tedesca, pero’, non stabilisce fattispecie precise atte a definire quali contenuti costituiscano o meno espressioni di odio o informazione volontariamente fuorviante: con un impianto simile, e’ chiaro che i social network procederanno alla rimozione a tappeto di contenuti, e la legge – lamentano i suoi numerosi critici – si risolvera’ in una grave “limitazione della liberta’ di espressione”. Non e’ compito dei privati, contestano le aziende interessate dal provvedimento, esercitare una funzione di polizia sui contenuti web. Il portavoce dell’associazione Ccc, Frank Rieger, sottolinea proprio questo aspetto: “Perche’ dovrebbe essere una societa’ privata orientata al profitto a stabilire cosa sia legale e cosa no?”. Secondo il direttore responsabile di Bitkom, Bernhard Rohleder, “la liberta’ di espressione e’ messa in pericolo da una campagna legislativa troppo affrettata”. Il ministro Maas, bersaglio di critiche da settimane, ha apportato alcune modifiche marginali al provvedimento, ma nonostante l’opposizione e’ deciso a portarla in breve tempo in parlamento.
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Francia, Hamon pronto a votare per Me’lenchon al secondo turno
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Benoit Hamon sembra ormai dare per scontata la propria sconfitta al primo turno delle elezioni presidenziali del 23 aprile prossimo: lo scrive il quotidiano conservatore “Le Figaro” commentando la dichiarazione del candidato ufficiale del Partito socialista (Ps), che ieri ha detto di esser pronto a votare per il leader dell’estrema sinistra Jean-Luc Me’lenchon nel caso sia lui ad approdare al secondo turno di ballottaggio del 7 maggio. Hamon nei suoi appuntamenti pre-elettorali conserva il sorriso di circostanza, racconta l’inviata speciale del “Figaro” Mathilde Siraud che ne sta seguendo la campagna condotta a passo di corsa; ma ormai i sondaggi lo vedono in caduta libera, schiacciato a sinistra dal rullo compressore di Me’lenchon: il candidato della coalizione della “France insoumise” (“Francia non-sottomessa”, ndr) registra intenzioni di voto doppie delle sue, ha raggiunto il candidaato del centro-destra Francois Fillon e con un programma intriso di euroscetticismo e di promesse di nuove tasse per i benestanti punta ad insidiare al primo turno la seconda posizione del candidato “indipendente” di centrosinistra Emmanuel Macron. Per Hamon, sostiene l’inviata del “Figaro”, e’ forse troppo tardi per invertire la tendenza: su di lui pesano il bilancio del presidente socialista Francois Hollande, benche’ lungo tutto il quinquennato ne sia stato uno dei massimi critici interni, e il “veleno” delle defezioni di importanti esponenti socialisti passati nel campo di Macron, come l’ex primo ministro Manuel Valls e l’attuale ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian; e poi c’e’ la tentazione del “voto utile” per uno dei due altri candidati comunque “di sinistra”, suggerita agli elettori socialisti dagli impietosi sondaggi che assegnano al candidato del Ps appena il 10 per cento delle intenzioni di voto e lo piazzano solo al quinto posto. Certo il candidato socialista non smette di criticare ne’ il programma economico di Me’lenchon ne’ il suo euroscetticismo, che porterebbe ad una “Frexit” proprio come quello della leader del Front national di estrema destra, Marine Le Pen. Ma anche se animato dalla buona intenzione di “non avere nemici a sinistra”, Hamon sembra proprio essersi dato la zappa sui piedi con questa specie di “patto di non-aggressione” che ha dichiarato unilateralmente a favore di Me’lenchon.
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Germania, si diffonde l’impiego delle Bodycam per le forze dell’ordine
12 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – E’ trascorso un anno da quando il capo della polizia di Londra, Adrian Hutchinson, ha acquistato 22 mila videocamere indossabili per suoi ufficiali. La misura e’ stata efficace: le denunce a carico degli agenti sono calate. L’esperimento di Londra e’ stato adottato a modello da quasi tutti i lander tedeschi. Quattro stanno gia’ utilizzando le “bodycam” in alcune delle loro citta’. Essen, per la verita’, le ha adottate gia’ all’inizio del 2013; Amburgo, la Renania-Palatinato e il Saarland si sono unite in seguito. Diversi lander tedeschi hanno introdotto l’impiego delle videocamere per gli agenti nella loro legislazione, o hanno annunciato quest’obiettivo: tra questi, Berlino e la Pomerania-Mecklenburgo Occidentale. La tendenza a livello nazionale e’ chiara. Tuttavia, per il momento solo la Sassonia e la Turingia hanno impostato veri e propri progetti di legge o pilota. “La crescente violenza e gli abusi nei confronti dei funzionari di polizia fanno di queste videocamere uno strumento da testare senz’altro”, ha affermato il ministro dell’Interni del Nord Reno-Vestfalia, Ralf Jaeger (Spd). Il ministro ha precisato che 200 Bodycam ad alta risoluzione saranno date in dotazione ai distretti di polizia di Wuppertal, Colonia, Duisburgg, Duesseldorf e nel circondario di Siegen-Wittgenstein. In totale parteciperanno all’esperimento 400 agenti di polizia, con il benestare dei sindacati del comparto. L’esperimento potrebbe dare problemi a livello legislativo, in quanto occorrerebbe notificare le persone interessate circa il fatto che vengono riprese e registrate. Gli scienziati dell’Universita’ di Scienze Applicate per la Pubblica Amministrazione a Gelsenkirchen ora seguono l’esecuzione del test nel Nord Reno-Vestfalia.
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