Il rinnovo delle licenze d’uso delle frequenze 900 e 1800 Mhz (Gsm e Umts) in scadenza nel 2018, previsto nella bozza della manovra inviata una settimana fa dal Governo a Bruxelles, è una mossa anche “strategica”, volta a stabilizzare il quadro dello spettro italiano e del mercato del mobile.
In questo modo, il Governo ha fissato in anticipo, rispetto alla scadenza del 2018, il prezzo per il rinnovo – pari a 1,8 miliardi di euro (lo 0,114% del Pil) – che gli operatori mobili (Tim, Vodafone, Wind, 3 e Iliad) dovranno pagare per rinnovare per 10 anni – fino al 2029 – i canoni di utilizzo delle preziose frequenze Gsm e anche Umts (dopo il refarming).
Il tutto senza ricorrere ad un’asta competitiva, come invece accaduto per le stesse frequenze in Francia e Germania, dove il prezzo è stato più alto.
Una soluzione, quella del rinnovo forfettario anticipato individuata dall’Italia, che arriva in concomitanza con i negoziati per la cessione al nuovo entrante francese Iliad – in qualità di quarto operatore – di alcune frequenze nel quadro della fusione fra Wind e 3 Italia, che proprio oggi ha ricevuto il via libera ufficiale dal Mise.
Secondo alcuni, il prezzo di 300 milioni che Iliad dovrà pagare ‘upfront’ per l’utilizzo decennale delle frequenze 900 e 1800 Mhz nel nostro paese sarebbe troppo elevato e alcuni si spingono a dire che in questo modo il Governo avrebbe messo i bastoni fra le ruote alla società di Xavier Niel.
Ma siamo sicuri che sia proprio così, o che invece non sia proprio il contrario?
In realtà, il prezzo fissato per il rinnovo forfettario dei diritti per il nuovo entrante francese è del tutto in linea – fatte le debite proporzioni sulla quantità di spettro occupato – con quello fissato per il rinnovo dei canoni di utilizzo da parte dei competitor, quantificato i 550 milioni a testa per Tim e Vodafone e 350 milioni per Wind-3.
In altre parole, se Iliad – allo scadere nel 2018 dei diritti d’uso delle frequenze 900 e 1800 Mhz rilevate da Wind e 3 nel quadro della fusione – avesse dovuto partecipare ad un’asta con rilanci competitivi per accaparrarsi le stesse frequenze, avrebbe certamente dovuto spendere di più.
I competitor, per rendere la vita difficile al nuovo entrante e metterlo ‘out of business’, avrebbero potuto rilanciare in fase di asta e far lievitare il prezzo, rendendo molto più salato il conto d’ingresso in Italia per l’operatore low-cost francese. Iliad, tra l’altro, nel momento in cui ha deciso di entrare nel mercato mobile del nostro paese, conosceva di certo le scadenze dei diritti di utilizzo delle frequenze rilevate da Wind e 3, che arrivano appunto nel 2018. E avrà accantonato i fondi necessari per rilevarle, sapendo che sarebbero scadute dopo un anno.
Ora conosce anche, e in anticipo, il prezzo da pagare per un utilizzo decennale, il che con un’asta competitiva non sarebbe stato possibile.
Nel complesso, l’operazione sembra vantaggiosa per il nuovo entrante e per gli operatori, che solo fra qualche anno (nel 2020 o 2021) saranno chiamati ad un nuovo sforzo economico per l’asta sui 700 Mhz in vista del 5G.