Le sfide economiche e regolatorie per un uso efficiente dello spettro radio anche attraverso il Licensed shared access, questo il tema al centro del workshop che si è tenuto oggi all’AGCOM “Spectrum Management: Economic and Regulatory Challenges”, un’occasione per presentare il libro di Martin Cave e William Webb, dal titolo non poco evocativo di “Spectrum Management: Using the Airwaves for Maximum Social and Economic Benefit”.
Un tema caldissimo per l’Italia, quello delle frequenze, alla viglia di scadenze importanti dettate dall’accelerazione della Commissione Ue per la liberazione della banda 700 Mhz da parte dei broadcaster a favore del mobile broadband e in prospettiva del 5G entro il 2020. Al workshop hanno preso parte Antonio Nicita, commissario Agcom, Martin Cave, economista dell’Imperial College Business School di Londra e coautore del libro, Antonio Sassano, professore dell’Università la Sapienza, Mario Frullone, Direttore Ricerche della Fondazione Ugo Bordoni, Roberto De Martino e Mauro Martino, dirigenti Agcom, e Gérard Pogorel, professore emerito di Economia e Management alla Telecom Paris Tech.
Il tema dello spettro e del suo uso più efficiente, fin dagli anni ’60, è stato caratterizzato dall’enfasi sul lato delle gare per l’assegnazione delle licenze d’uso e non sul fronte dell’uso più efficiente di una risorsa scarsa che, con l’avvento prossimo venturo del 5G, avrà bisogno di sempre maggiore capacità.
Per il regolatore è difficile sapere qual è il vero valore dello spettro, un problema che pesa non poco in vista dell’allocazione di nuove risorse con modalità che in futuro saranno caratterizzate da un crescente ruolo dell’uso condiviso delle frequenze su licenza o meno, il cosiddetto Licensed shared access.
700 Mhz, l’Italia non può permettersi ritardi
“La recente conferenza mondiale di Ginevra ha definitivamente chiarito che non possiamo più permetterci un uso inefficiente dello spettro – ha detto il commissario Agcom Antonio Nicita – assegnando le risorse migliori agli usi che richiedono maggiore capacità e procedendo ai necessari refarming (riallocando cioè le frequenze agli usi che presentano un valore d’uso maggiore) seguendo le tempistiche dei paesi limitrofi. L’Italia è stata tra i primi paesi in Europa ad allocare le bande 800Mhz, 1.800 Mhz, 2.000 Mhz e 2.600 Mhz”.
“In quest’ultimo anno, l’Italia è stata tra i primi paesi in Europa, ad assegnare, con successo, 40 Mhz della ‘Banda L’ da impiegare come supporto delle reti esistenti per potenziare il downlink e a pianificare 200 Mhz della banda 3.6-3.8 GHz, la cui definitiva assegnazione è prevista nel 2016 – ha proseguito Nicita – Quest’ultimo caso registra l’importante innovazione – a livello internazionale – dell’introduzione nel nostro paese dello sharing geografico in funzione della densità della popolazione, secondo le indicazioni fornite dall’European Conference of Postal and Telecommunications Administrations (CEPT) e gli auspici della Groupe Speciale Mobile Association (GSMA). In parole semplici, una stessa frequenza viene assegnata ad aree diverse ad operatori diversi, moltiplicando quindi la capacità disponibile. In questo modo si continueranno a liberare risorse utili allo sviluppo delle reti e alla copertura del territorio, tanto per usi Fixed Wireless in aree a bassa densità di popolazione che per gli usi small cells LTE altrove, nella prospettiva del 5G. Per questo tipo di banda, è rilevante non tanto incoraggiare ‘guerre di prezzo’ per massimizzare l’introito che ne deriva per le finanze pubbliche, quanto incentivare la copertura territoriale e l’efficienza delle connessioni”.
“Inoltre il MISE ha avviato con la Fondazione Bordoni un’importante sperimentazione a livello mondiale, sulla banda 2.3 GHz, di sharing completo (non solo geografico ma anche temporale) che ha ricevuto il plauso della Commissione europea – ha aggiunto – Questa sperimentazione permetterà di avviare forme di condivisione completa dello spettro (shared access), licenziataria e non, vera frontiera delle politiche future di assegnazione delle frequenze, anche per tutte quelle applicazioni che configurano il cosiddetto Internet of things, nella prospettiva dei servizi mobili di quinta generazione (5G)”.
“Questa buona performance del nostro paese nella gestione dello spettro per uso mobile non può arrestarsi, con tempistiche indefinite o ritardate, per la banda 700 MHz, rispetto alla tempistica fissata dal Rapporto Lamy – ha proseguito Nicita – A maggior ragione se si considerano gli esiti della Conferenza di Ginevra e che Francia e Germania hanno già assegnato queste risorse (che hanno portato nelle casse dello Stato rispettivamente circa 2,8 miliardi e 1 miliardo di euro)”.
“Non è certo facile avviare un processo complicato di refarming verso gli operatori mobili di frequenze oggi impiegate per usi televisivi – ha precisato – Occorre individuare una strategia generale di riallocazione, riassegnazione e compensazione in un paese, come il nostro, che comunque registra un eccesso di capacità trasmissiva nel digitale terrestre. Per non farsi trovare impreparati e giungere a posizioni equilibrate e soddisfacenti per tutti gli stakeholders, è allora opportuno avviare subito le necessarie consultazioni e i tavoli tecnici per tracciare un cronoprogramma della ri-pianificazione e delle misure tecnico-economiche necessarie. Il refarming dello spettro, peraltro, contribuirà a liberare quella domanda per servizi a banda ultra larga la cui assenza, fino ad oggi, ha contribuito, e non poco, al ritardo infrastrutturale del paese”.
“Un quadro che potrebbe anche felicemente sposarsi, come di recente ha opportunamente sottolineato, tra gli altri, il Professor Antonio Sassano, con un consolidamento di sistema nel settore del towering – chiude Nicita – Una trasformazione di sistema, da realizzare, naturalmente, con chiare garanzie sotto il profilo antitrust e con l’individuazione di controlli e rimedi regolatori su possibili assetti monopolistici”.
Uso dello spettro complesso
“E’ difficile trovare un paese al mondo completamente felice dell’uso dello spettro che si fa in patria – ha detto Martin Cave – ai Governi piacciono le gare, perché dalla vendita di frequenze incassano molto, ma nella valutazione del prezzo da assegnare allo spettro va considerato anche il valore sociale implicito e i vantaggi esterni per i consumatori”.
Uno dei problemi principali per la liberazione dello spettro sono le interferenze, senza dimenticare i problemi legati all’uso inefficiente delle frequenze nel settore pubblico.
“La Difesa nel Regno Unito detiene il 30% dello spettro disponibile, ma lo utilizza in modo inefficiente – dice Cave – questo è un problema difficile da risolvere, perché il settore pubblico è molto geloso delle sue risorse spettrali ed è per questo che un modo per liberarlo è offrire strumenti di refarming sovvenzionato e lo spostamento incentivato verso altre porzioni di spettro”.
In questo senso si legge la decisione di allocare tramite asta 190 Mhz di spettro della Difesa in Uk sulla banda 3.5-3.6 Ghz l’anno prossimo.
Un altro trend che si riscontra in Europa, ad esempio in Svezia, è quello dell’abbandono dell’assegnazione in esclusiva dei diritti d’uso. Una misura finalizzata ad aprire il mercato e spingere la condivisione delle risorse fra diversi player.
Secondo Cave, inoltre, è importante che la gestione dello spettro resti in anno alle autorità di regolazione nazionali, o al massimo venga centralizzata in una super Authority – il BEREC – ma “la politica (in questo caso la Commissione Ue) deve restare separata dalla regolazione”.
Liberazione dei 700 Mhz in Italia
Passando all’Italia, “la liberazione dei 700 Mhz è un problema – ha detto Antonio Sassano, docente della Sapienza fra i maggiori esperti di frequenze – i tempi sono stretti, entro giugno 2017 l’Italia dovrà presentare il piano alla Ue e entro dicembre dovrà inoltre concludere il coordinamento internazionale. Di certo, lo status quo per i prossimo 10 anni sarebbe una iattura per i broadcaster”.
C’è da dire che diversi broadcaster italiani detengono diritti d’uso televisivi sui 700 Mhz in alcuni casi fino al 2032. Ma la Commissione Ue preme per un rapido passaggio della banda al 4G e in prospettiva al 5G, in vista del decollo dell’Internet of Things. E l’ITU al prossimo WRC23 potrebbe decidere lo switch off della banda sub 700.
E’ chiaro che la liberazione dello spettro da parte delle emittenti andrà compensata. Ma anche qui, ci sarà da capire se le compensazioni andranno destinate soltanto a chi occupa i 700 Mhz oppure a tutte le meittenti televisive.
Il futuro del broadcasting televisivo del digitale terrestre è di fronte a un passaggio epocale. Che fare nei prossimi anni? Andare avanti con meno risorse spettrali? Trasferirsi sulla banda sub 700 e trasmettere in Lte Broadcast? Oppure, scenario peggiore, smettere completamente di usare la banda UHF per il broadcasting e passare in blocco al satellite e alla banda larga fissa?
La scelta non è facile, dal punto di vista dell’uso efficiente dello spettro la soluzione Lte broadcast è forse la più vantaggiosa, “il paradigma ‘low tower, low power’ riduce di quattro volte la necessità di spettro per trasmettere – dice Sassano – ma implica però l’utilizzo di nuovi ricevitori e la risintonizzazione delle antenne da parte degli utenti”.
Per quanto riguarda l’asta 700 Mhz che si terrà in Italia, certamente non prima dell’anno prossimo, (in Francia e Germania c’è già stata), rischia di essere alquanto complessa. “Ci sarà, come avvenuto l’anno scorso in Germania, un’asta unica per i 700 Mhz e per il rinnovo delle licenze (in scadenza nel 2018) per l’uso delle altre frequenze?”, domanda Sassano, secondo cui il modello tedesco va seguito anche da noi.
Sull’Italia le tare del passato
Sul quadro italiano dello spettro radio, ora che la Commissione Ue spinge per una rapida liberazione di nuove risorse, pesano le tare del passato. Ad esempio “Il decreto Gioia del 1973, che sancì in modo perentorio il divieto di creare una rete televisiva via cavo nel paese – ha detto Mario Frullone, direttore ricerche della Fondazione Ugo Bordoni (FUB) – un ‘capolavoro’ giuridico che oggi implica da un lato che non abbiamo la rete via cavo e dall’altro che lo spettro radio è completamente saturo”.
Un altro aspetto che pesa come un macigno sulla diffusione della banda larga mobile e sull’uso “inefficiente” delle frequenze riguarda il limite di 6 v/m per le emissioni elettromagnetiche in vigore nel nostro paese. Un tema che impatta anche sull’uso efficiente della banda sub 700 per l’Lte broadcast. “E’ il limite più basso d’Europa, dove la media è di circa 60 v/m – dice Frullone – frutto di una legge del 1998 che pesa molto sull’utilizzo di impianti di trasmissione ‘low tower, low power’ perché proprio a causa dei limiti elettromagnetici non è possibile aggiungere nuove stazioni radio base. E’ un peccato”.
Una battaglia, quella dell’innalzamento dei limiti italiani troppo bassi di emissione elettromagnetica, che non riscuote l’interesse della politica (troppo delicato il tema dell’elettrosmog) e che anche gli operatori mobili sembrano aver messo da parte da qualche tempo.
In tema interferenze, il problema dei possibili disturbi dell’Lte ai danni del digitale terrestre sugli 800 Mhz c’è eccome, come dimostra l’attività del call center “Help interferenze” della FUB, che l’anno scorso ha visto lievitare le richieste di intervento degli utenti e che coinvolge potenzialmente 700 mila abitazioni, pari al 3% del totale.
Infine, per quanto riguarda il capitolo shared access, in Italia si farà sui 3.7 Ghz e il primo esperimento pilota sui 2.3 Ghz ha visto il nostro paese come apripista.
Sistema ‘unlicensed’ complesso
Spostarsi verso un sistema senza licenze è complesso. Le politiche sullo spettro sono complesse e coinvolgono tutti i paesi, dall’Iran a Israele, passando per la Striscia di Gaza. Nel contempo, la Commissione Ue “ha detto chiaramente che gli stati membri difendono troppo gli interessi nazionali in materia di spettro ma finora il sistema ha tenuto – dice Mauro Martino, dirigente della direzione spettro radio tlc in Agcom – il tema dell’armonizzazione è molto sentito e dobbiamo muoverci in quella direzione”.
La gestione dello spettro in Italia si è sempre basata su aste onerose o beauty contest, e ogni situazione è stata gestita di volta in volta fissando prezzi caso per caso.
Per quanto riguarda l’uso condiviso, il quadro non è di semplice lettura essendo coinvolti diversi soggetti pubblici come la Difesa, l’Aeronautica. “La soluzione dell’Lsa (Licensed shared access) è promettente soprattutto per sfruttare lo spettro inutilizzato – dice Martino – e considero coraggiosa la decisione di Agcom di puntare sui 3.7 Ghz a questo scopo”.
Per quanto riguarda la banda 2.3 Ghz, l’Autorità intende avviare una consultazione pubblica per verificare l’interesse di nuovi entranti e individuare i criteri di assegnazione.
Tavolo tecnico sui 700 Mhz
In Italia ci sono 20 Mux nazionali a fronte degli 8 di Regno Unito, Francia e Spagna e sui 700 Mhz ci sono 12 canali, di cui 6 nazionali. “Il problema della liberazione dei 700 Mhz in Italia è enorme, maggiore che nel resto d’Europa – dice Roberto De Martino, dirigente Direzione Infrastrutture e Servizi Media di Agcom – Il costo della trasmissione televisiva in digitale in Italia è pari a un terzo di quella europea”.
Per garantire il passaggio dei 700 Mhz al broadband mobile sarà necessario coordinarsi con i paesi vicini (Francia in primis) e per questo è auspicabile la creazione nel nostro paese di un tavolo allargato con tutti gli stakeholder che saranno coinvolti nel processo di migrazione.
Dal punto di vista tecnico, Agcom dovrà inoltre mettere a punto le specifiche tecniche per il passaggio al nuovo paradigma del digitale in linea con il DVBT2 e per il passaggio dallo standard di compressione video Mpeg2 all’Mpeg4.
“E’ necessario dare più peso ai problemi dei broadcaster in questa fase di passaggio dai 700 Mhz – ha detto Gérard Pogorel, professore emerito di Economia e Management alla Telecom Paris Tech – mi sembra che vi sia un certo scompenso fra le prerogative delle telco e quelle dei broadcaster a livello Ue. Per quanto riguarda lo spectrum sharing, ci vorrà ancora tempo perché diventi una realtà”.