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Frequenze 700 Mhz, cresce il pressing sull’Italia. Serve strategia nazionale

Frequenze

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La Commissione Europea spinge sul passaggio dei 700 Mhz dal digitale terrestre televisivo al mobile, in vista della nuova era del 5G e fissa i nuovi e più stringenti paletti della migrazione delle Tv, anticipando i tempi del passaggio al 2020, due anni prima del precedente limite del 2022.

Una decisione forte comunicata da Guenther Oettinger, commissario Ue alla Digital Economy, che aspetta ora il via libera di Parlamento e Consiglio Ue. Una decisione che era nell’aria da qualche tempo, ma di fronte alla quale le televisioni sono state prese alla sprovvista.

Pare che la decisione sia stata dettata dalla Francia, in particolare da Francois Rancy, potente direttore dell’ITU, e che il primo destinatario del provvedimento sia proprio l’Italia. Il timore di Parigi è che l’Italia non rispetti i tempi e che il segnale del digitale terrestre delle nostre emittenti provochi interferenze all’Lte in Costa Azzurra e Corsica sui 700 Mhz, che in Francia saranno accesi per la banda larga mobile nel 2017.

Al di là di tutto, la decisione della Commissione Ue sui 700 Mhz mette sotto pressione l’Italia. Nel nostro paese manca ancora una strategia chiara sulla gestione dello spettro radio, storicamente iperaffollato.

Una strategia nazionale di gestione dello spettro probabilmente c’è, anche se non viene raccontata, ma ora alla luce delle linee dettate dalla Commissione Ue, diventa ancor più urgente rendere pubblica.

Tanto più che un’intera filiera, quella televisiva (dagli editori ai produttori di televisori) ha bisogno di sapere per tempo e con certezza come organizzarsi, per stare al passo del progresso tecnologico.

Quando si passerà al nuovo standard del digitale DvbT2?

Come sarà utilizzato lo spettro residuo destinato al settore televisivo?

Sul mercato ci sono già sistemi di trasmissione come il 4K, che richiedono una maggiore disponibilità di spettro per trasmettere. Ma nel contempo lo spazio per il digitale terrestre è destinato a diminuire, a favore della banda larga mobile e del 5G, con una previsione di 30 miliardi di dispositivi connessi alla Rete nel 2020 soltanto in Europa.

Il nuovo standard audio video Mpeg4 in Francia è già realtà, ma è stato il Governo a decidere lo switch off dell’Mpeg2 e a imporre quindi l’adeguamento tecnologico, che prevede l’acquisto di un decoder da una quindicina di euro per la ricezione del nuovo paradigma del digitale terrestre.

E in Italia?

C’è da dire che il Governo non ha certamente preso sottogamba la questione dello spettro, visto che nella Legge di Stabilità 2016, al comma 169, si legge nero su bianco che ha destinato dei fondi per la razionalizzazione del 700 Mhz: “Al fine di realizzare attività di studio, verifiche tecniche ed interventi in tema di attribuzione di frequenze aggiuntive a specifici servizi, propedeutiche alla razionalizzazione della banda 700 MHz, e per l’armonizzazione internazionale dell’uso dello spettro, è costituito un apposito Fondo per il riassetto dello spettro radio presso il Ministero dello sviluppo economico con una dotazione di euro 276.000 annui a decorrere dal 2016. Con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate le specifiche modalità di utilizzazione del Fondo e di realizzazione delle attività”.

Ma il tempo stringe ed entro metà del 2017 dovremo presentare il nostro piano nazionale delle frequenze e le misure adottate per semplificare il passaggio dei 700 Mhz al mobile.

In Francia e Germania l’asta dei 700 Mhz c’è già stata, con incassi rispettivamente di 2,2 miliardi e un miliardo per le casse dello stato. Il Regno Unito ha destinato 600 milioni di sterline per liberarli.

In Italia l’asta per i 700 Mhz riservata alle telco potrebbe arrivare prima del previsto, anche in base alle esigenze di cassa della finanza pubblica.

Non è questo il punto. Il problema vero del nostro paese è la Legge Mammì del 1990, che regola il sistema televisivo con norme adatte all’era analogica e non più adeguate al nuovo panorama dei media. La Legge Mammì riserva un terzo delle risorse frequenziali alle emittenti locali e due terzi alle nazionali.

Nell’ipotesi di avere 30 mux disponibili, nel nostro paese dovrebbero esserci un centinaio di editori locali in ogni regione in grado di stare in piedi.

Ma con quale business model?

La pubblicità è in crisi, le emittenti nazionali sono in difficoltà perché i costi di gestione del digitale sono elevati.

Le locali sono in difficoltà ancor maggiori.

Nell’era dell’analogico i proventi pubblicitari erano molto superiori e le emittenti nettamente meno. Oggi la torta pubblicitaria si è rimpicciolita, ma le emittenti locali sono circa 600. Troppe.

E’ per questo che sui 700 Mhz, un possibile criterio di riassegnazione delle frequenze del digitale terrestre (che saranno meno) potrebbe essere basato sui ricavi delle emittenti e sull’uso efficiente che fanno dello spettro.

Ma qual è il valore dei 700 Mhz occupato dalle Tv?

In teoria, considerato il prezzo di 30 milioni sborsato nel 2014 da Cairo per l’acquisto di un mux, considerati i 12 Mux presenti sui 700 Mhz, il Governo potrebbe decidere di mettere sul piatto 200 milioni di euro per indennizzare la migrazione delle Tv locali. Le emittenti che dimostreranno un business model sostenibile potranno continuare a operare su altre frequenze sotto i 700 Mhz.

Ed è per questo che l’idea di un operatore unico delle torri di trasmissione non è poi così peregrina.

Le emittenti locali potrebbero appoggiarsi agli impianti dell’operatore unico in ottica di abbattimento dei costi.

Un operatore che potrebbe mettere insieme torri Tv e cellulari, in direzione del nuovo paradigma del “low power, low tower” che privilegia sempre più impianti di trasmissione più numerosi e meno potenti, disegnati per la copertura wireless.

Impianti meno potenti che eliminerebbero inoltre l’annoso problema delle interferenze.

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