Emmanuel Macron sono più di due anni che si occupa di digitale e soprattutto di economia digitale. Dal 2014 al 2016 è stato ministro dell’Economia, industria e digital affair dal secondo governo di Manuel Valls e durante la recente campagna elettorale che lo ha portato all’Eliseo ha sempre sottolineato la centralità dell’innovazione tecnologica nella crescita del Paese e dell’Europa intera.
Non stupisce quindi che nel suo governo il digitale abbia trovato un posto di rilievo, seppur piccolo, con la poltrona da Secrétaire d’État auprès du Premier ministre, chargé du Numérique (il posto di Sottosegretario di Stato per il Digitale presso l’Ufficio del Primo ministro).
Startup innovative, digital transformation, Digital single market (per il quale ha chiesto a Bruxelles la nascita di un’Agenzia unica per il Dsm), sono stati alcuni dei suoi cavalli di battaglia durante il duro confronto elettorale con Marine Le Pen per la conquista della presidenza francese.
Progresso contro conservazione, è il suo motto (due categorie politiche quanto economiche che per Macron devono prendere il posto delle tradizionali sinistra-destra), quindi innovazione e libero scambio contro il protezionismo, per la ricerca di un modello economico che sia più vicino alle logiche “open” della Silicon Valley, che sappia attrarre gli investitori e le risorse sempre in moto della globalizzazione.
Macron ha ieri annunciato la composizione del suo Governo, guidato da Edouard Philippe, e per la poltrona di Sottosegretario al Digitale ha scelto Mounir Mahjoubi. Un trentatreenne di origini marocchine che dal 2016 presiedeva il Consiglio nazionale per il digitale (Conseil national du numérique) del Governo Hollande e che poi è stato scelto come responsabile del Digital team di Macron durante la campagna elettorale.
La sua formazione è un misto di grande finanza, internet e comunicazione digitale. Tre asset che qualunque Stato e impresa considerano oggi strategici per affrontare le complesse sfide del presente globalizzato.
Nonostante sia un giovane politico ed imprenditore, ha fondato e diretto diverse società (tra cui Equanum e BETC Digital), tutte con un piede almeno nel digitale, nonché una piattaforma di incubazione per startup innovative (Bureau).
Ma la cosa che incuriosisce è il nuovo nome del Ministero dell’Ambiente francese, che diventa Ministero della Transizione ecologica, alla cui guida è stato nominato Nicolas Hulot. Giornalista e ambientalista di vecchia data, Hulot ha ricevuto negli ultimi anni più critiche che apprezzamenti. Il suo lavoro spesso è stato oggetto di commenti aspri, soprattutto per aver accettato donazioni e finanziamenti per i suoi progetti green da parte di multinazionali e grandi imprese.
Lasciando da parte le polemiche sul nuovo ministro, ciò che conta è l’idea che Macron ha dell’ambiente e l’ecosostenibilità delle attività economiche ed industriali. Il nuovo premier ha più volte affermato che la transizione ecologica della Francia è fondamentale per affrontare prima di tutto le sfide difficili dei cambiamenti climatici, in seconda battuta per rilanciare l’economia in chiave green economy e offrire ai cittadini una qualità della vita migliore. A tale transizione Macron ha dedicato sei capitoli, tra misure e disegni di legge, con l’obiettivo chiaro di tradurre in provvedimenti governativi quanto stabilito dagli accordi di Parigi due anni fa (COP21).
Fonti energetiche rinnovabili, low carbon economy, riduzione della dipendenza dall’energia nucleare e chiusura delle centrali a carbone, spazio all’economia circolare, risparmio energetico ed efficienza energetica, riduzione delle emissioni inquinanti e dei consumi delle risorse naturali (l’acqua su tutte), l’impegno (al momento a parole) a destinare a tale transizione 15 miliardi di euro.
In Italia queste posizioni green e tech hanno riscosso un notevole successo nelle ultime settimane. Sembra di capire che c’è fiducia in questo nuovo Presidente francese e nel suo Governo. A questo punto, non c’è altro da fare che attendere e valutare cosa verrà fuori di concreto nei prossimi mesi e se tali posizioni potranno davvero “pesare” anche in un contesto europeo.