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‘Formiche’, il film di Valerio Nicolosi: la tragedia dei migranti, tra Steinbeck e Springsteen

Ieri sera a Roma, nel Nuovo Cinema Aquila (ormai divenuto un effervescente centro culturale della Capitale, ben oltre la mera attività di cinematografo), alle ore 21 c’è stata l’affollatissima anteprima del lungometraggio di Valerio NicolosiFormiche”, prodotto dalla Dazzle Communication di Davide Azzolini e patrocinato da Amnesty International Italia, sostenuto dalla Direzione Cinema e Audiovisivo (Dgca) del Ministero della Cultura.

Valerio Nicolosi (classe 1984) è un giornalista d’inchiesta ed al contempo un inviato speciale, spesso sui campi di guerra e comunque molto impegnato dal punto di vista civile su tematiche sociali. È un regista, un fotografo ed un videomaker.

Nicolosi da alcuni anni segue giornalisticamente e studia accuratamente le rotte migratorie e le dinamiche del Medio Oriente. Ha diretto il docu-film “Ants”, sulle rotte migratorie verso l’Europa, e altri documentari a sfondo sociale. Collabora con Mediaset, Rai, Associated Press, Reuters, Ansa e con alcuni quotidiani nazionali e internazionali. Ha vinto diversi premi come fotoreporter e regista, e, quando può (quando non è in prima linea), tiene seminari e incontri nelle università italiane e palestinesi. Ha pubblicato tra l’altro i libri “(R)esistenze” (Crowdbooks 2018) e “Mediterraneo” (con Caterina Bonvicini, Einaudi 2022) ed è autore di podcast per “Micromega” e “Storytel”.

Ha dato recentemente alle stampe “Il gioco sporco. L’uso dei migranti come arma impropria” (per i tipi di Rizzoli), presentato il 3 febbraio scorso presso la più bella libreria di Roma, Il Libraccio di Via Nazionale.

Dopo la prima proiezione dell’opera documentaristica di Nicolosi (che, a causa dell’“overbooking” di prenotazioni è stata proposta anche in una seconda sala del Nuovo Olimpia e poi anche alle 22:30), c’è stato un incontro, con l’autore insieme a Don Mattia Ferrari, Cappellano della Ong Mediterranea, a Serena Chiodo, dirigente di Amnesty International Italia ed a Eleonora Camilli, giornalista del network Redattore Sociale (agenzia giornalistica specializzata nelle tematiche del sociale).

Il film tornerà in programmazione da lunedì 13 marzo e seguirà poi un “tour” di proiezioni-incontri in tutta Italia.

L’opera merita attenzione e l’incontro si è rivelato molto stimolante.

“Formiche”: la tragedia dei migranti, tra Steinbeck e Springsteen

Alcuni “numeri” sintetizzano l’opera audiovisiva di Nicolosi: 100 giorni a bordo delle navi umanitarie nel Mediterraneo Centrale, 9 viaggi tra la Grecia e i Balcani… per raccontare la più grande tragedia umana dei nostri tempi.

Formiche” racconta le vite di coloro che si ammassano per le strade che li conducono in Europa all’inseguimento di un futuro migliore: come “formiche”, per citare il romanzo mitico “Furore” di Robert Steinbeck, un cui passo compare in apertura del documentario, letto da Bruce Springsteen. Il grande cantautore americano ha prestato la propria voce nel leggere un passaggio estratto da una delle pietre miliari della letteratura americana (pubblicato negli Stati Uniti nel 1939 e l’anno dopo in Italia da Valentino Bompiani, ma presto perseguitato dalla censura fascista): romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta dell’uomo contro l’ingiustizia, “Furore” propone anch’esso vicende di “migranti” – seppur nell’economia di una migrazione interna agli States – alla ricerca di una “terra promessa”, che spesso si rivela un nuovo inferno

Formiche” racconta amare storie di migranti, dando un nome e un volto a coloro che, loro malgrado, ne sono protagonisti: il film nasce in un limbo, dalle storie tragiche di chi mette sé stesso in un gioco crudele, che rappresenta l’unica flebile speranza di una nuova vita.

L’opera documentaristica non brilla per spettacolarità (non era questo ovviamente il suo obiettivo), anzi si caratterizza per un approccio molto semplice (apparentemente), lasciando parlare prevalentemente gli “attori” di questo scenario critico, spesso drammatico: i migranti ed i rifugiati anzitutto, e poi gli attivisti delle organizzazioni non governative che cercano di lenire ferite e dolori, fisici e psichici.

Il regista è infatti quasi “assente”: non c’è una voce fuori campo che didascalicamente “spieghi” il flusso delle immagini, ma, grazie ad una qualità fotografica eccellente e soprattutto a un sapiente montaggio (firmato da Cristina D’Eredità), l’opera propone una rappresentazione efficace del dramma di migliaia e migliaia di persone. Vengono proposti “casi” concreti: migranti e famiglie di migranti, che “vagano” per l’Europa alla ricerca di un “posto” dove stare in pace, dove ri-costruire le proprie vite, dopo esperienze dolorose e traumatiche…

Devi “stare dove bisogna stare”. Una denuncia delle violenze dei regimi autoritari e le ipocrisie di governi conniventi

Ha raccontato Nicolosi, in occasione della presentazione del suo libro: “«Devi “stare dove bisogna stare”. Così mi ha detto un’amica poche ore dopo aver perso suo padre mentre lei era in mezzo al mare a salvare le vite delle persone migranti. “Dove bisogna stare”, perché c’è sempre un luogo dove una crisi umanitaria si sta consumando, dove le violazioni dei diritti umani sono costanti. La mia amica si chiama Cecilia Strada, suo padre si chiamava Gino e ci ha mostrato l’importanza di “stare dove bisogna stare»”.

E Nicolosi “dove stare”, l’ha deciso da tempo. Non a caso, è stato il primo ad arrivare in Ucraina per descriverne la tragedia, atterrando a Kiev un giorno prima dell’attacco russo che ha aperto la guerra. Da lì ha dato voce alla resistenza ucraina e ha raccontato l’esodo di donne e bambini verso la Polonia e l’Europa. Una rotta migratoria organizzata dalle autorità e sostenuta con generosità da cittadini e associazioni, ma che nasconde la stessa minaccia implicita delle rotte nei Balcani e nel Mediterraneo: è quel “gioco sporco” che Nicolosi ha visto fin troppe volte, in troppe parti del mondo, messo in piedi da alcuni governi sulla vita di migranti in fuga da conflitti armati, persecuzioni, carestia e povertà. Dalle coste dell’Isola di Lesbo a Trieste, da Mariupol a Cracovia, dalla Turchia alla Libia, dai Balcani alla Sicilia, le vite di persone disperate – pronte a rischiare tutto, pur di avere anche solo l’occasione di un futuro decente – vengono usate ogni giorno come mezzo di pressione geopolitica o di vero e proprio attacco “non convenzionale”. Così, chi scappa dall’inferno finisce per ritrovarsi in Paesi con situazioni politiche e sociali delicate, dove l’odio xenofobo esplode in vere e proprie battute di “caccia al migrante”.

Attraverso il suo racconto sul campo, la sua attività di fotografo e di “video-maker” indipendente, Nicolosi denuncia le violenze dei regimi autoritari e le ipocrisie di governi conniventi, e soprattutto apre uno squarcio sui limiti dell’Occidente e sull’uso dei migranti come “arma impropria delle guerre”.

Il racconto dei migranti proposto da Nicolosi colpisce nel profondo: è veramente sconfortante, perché “mette in scena” (fotografa realisticamente, anzi realmente) la difficoltà, il dolore, la sofferenza – nella miseria della quotidianità del loro “viaggio” verso la speranza – di questi essere umani alla ricerca di pace e dignità.

Alla fin fine, bene sintetizza nel documentario Anabel Montes Mier (soccorritrice esperta e tra l’altro anche testimone dell’accusa nel processo al leader leghista Matteo Salvini per il caso “Open Arms”): “facciamola finita con le ipocrisie della politica: non esiste veramente una carta dei diritti ovvero 1 ‘Dichiarazione Universale dei Diritti Umani’, ma 2 carte: 1 valida per gli occidentali, europei, bianchi… ed 1 altra valida per tutti gli altri…”.

Si consiglia vivamente, a tutti coloro che cercano una interpretazione realistica ovvero reale dei fenomeni in atto la lettura del libro e la visione del film di Nicolosi.

La tremenda responsabilità dei “media mainstream” nella distorsione della realtà dei migranti

Abbiamo posto a Nicolosi una domanda precisa: qual è la responsabilità del sistema dell’informazione “mainstream” (e del “servizio pubblico” Rai in primis) nella rappresentazione prevalentemente monodimensionale del fenomeno migratorio, quasi sempre enfatizzato nella sua dimensione di (presunta) “invasione”?

La risposta del giornalista free-lance stata chiara e netta: “le colpe del giornalismo sono tremende… abbiamo abdicato al nostro compito…”. Non tutti, ovviamente, ma purtroppo quasi tutti.

I media hanno contribuito a quella che Serena Chiodo di Amnesty ha definito “la istituzionalizzazione del sospetto”, producendo una visione “criminale” dei migranti.

Don Mattia Ferrari ha evocato una tesi di Papa Francesco: “chi ha paura di voi, chi vi vuole respingere non vi ha guardato negli occhi”, concetto espresso in occasione del suo viaggio nell’Isola di Lesbo nel  dicembre del 2021. In verità, Bergoglio ha fatto sua una citazione del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo nel 2016: “Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura di voi non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono paura e divisione. Dimentica che la migrazione è un problema del mondo”.

Guardare negli occhi”: anche in questa affermazione si ripropone il tema della “rappresentazione”, ovvero la narrazione mediatica degli eventi.

Perché quasi mai i telegiornali delle grandi emittenti televisive danno direttamente la parola ai migranti che arrivano dai barconi?! C’è sicuramente un problema linguistico (al quale si può però ovviare… volendo), c’è anche un problema di format (i telegiornali hanno una loro logica interna di scaletta, che prevedi tempi brevissimi, ha ricordato Nicolosi), ma la responsabilità è altra e altrove: non si ha il coraggio di “guardare negli occhi” i migranti, di ascoltare dalla loro bocca la narrazione della disperazione. Forse anche un Salvini si commuoverebbe e cambierebbe approccio al problema.

La rappresentazione televisiva dei migranti è infatti prevalentemente distorta, come dimostrano inequivocabilmente i rapporti annuali proposti dall’associazione Carta di Roma in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia (il 15 dicembre 2022 è stata presentata a Roma l’edizione n° 10 dello studio “Notizie dal fronte”): quasi mai il microfono viene dato in mano ai migranti (anche se nel 2022 anche i tg hanno dato maggiore spazio, ma quasi esclusivamente ai rifugiati ucraini), ma si propone quasi sempre una “lettura” mediata dei loro drammi esistenziali. Assistiamo da anni ed anni ad una narrazione che si caratterizza per lo stravolgimento dei fatti.

Nel corso degli anni, poi, le organizzazioni non governative – che svolgono un prezioso ruolo di assistenza – hanno visto la propria immagine deteriorarsi, passando da “angeli del mare” a “nemici” finanche “correi degli scafisti” ovvero “criminali”. Questo ribaltamento di prospettiva è il risultato di una distorsione ideologica.

Il giovane prelato – Don Mattia ha solo 29 anni – ha proposto anche una sua interpretazione: “il prevalere dell’individualismo neo-liberista sta riducendo la nostra umanità”.

Nicolosi: “è stato Minniti ad aprire le porte a Salvini”, facendo prevalere il concetto di “sicurezza” su quello di “umanità”

Ed una precisa chiave di lettura ideologica (e quindi politica) l’ha proposta Nicolosi, che non ha dubbi: “è stato Minniti ad aprire le porte a Salvini”, ha sostenuto, citando anche la legge Turco-Napolitano (si ricordi che Marco Minniti, attualmente Presidente della Fondazione Med-Or di Leonardo spa, è stato – tra i numerosi incarichi – Ministro dell’Interno dal 2006 al 2008 e dal 2016 al 2018).

La socialdemocrazia ha seguito le logiche della destra nazionalista e xenofoba”: ha prevalso il concetto di “sicurezza nazionale” su quello di “accoglienza umanitaria”.

In altre parole, ha prevalso una idea di “ordine” su una idea di “umanità”.

Ed ha segnalato come in verità non esista un vero “allarme” per il nostro Paese: “qualcuno si è forse accorto, a livello di pericolosità, dei 160mila profughi provenienti dall’Ucraina in Italia nell’ultimo anno?! No”, perché – in questo caso – ha prevalso l’umanità e non una difesa oltranzista delle frontiere…

Nicolosi ha ricordato come il budget del programma Frontex (denominazione informale nata dalla contrazione di “Frontières extérieures”) ovvero dell’Agenzia Europea della Guardia di Frontiera e Costiera, sia passato nell’arco di pochi anni da 143 milioni di euro l’anno (per il 2015) a 5 volte tanto, ovvero 754 milioni di euro (per il 2022)… Sono anche questi gli effetti delle politiche di “militarizzazione delle frontiere” e di “criminalizzazione” dei migranti.

La giornalista Eleonora Camilli ha ribadito più volte (evocando tesi dello stesso Papa Francesco) “ricordiamoci sempre che i migranti sono persone, non numeri”.

Inevitabile, durante la presentazione di “Formiche”, il riferimento – molto pacato e tutt’altro che polemico – ai drammatici accadimenti dell’“ultimo sbarco” ovvero Cutro, anche alla luce del ritrovamento, proprio ieri, della settantunesima vittima, una creatura di 3 anni… Non è stato citato il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ma l’opera di Nicolosi dimostra – con i fatti, con una rappresentazione visiva onesta e oggettiva della realtà – quanto sia assurdo sostenere che i migranti che salgono sui barconi siano degli irresponsabili che debbono restare nelle loro disperate terre…

Da notare – sia consentita l’annotazione antropologica – come la platea del Cinema Nuovo Aquila si caratterizzasse ieri sera, a livello di look prevalente, per giovane età degli spettatori e per un abbigliamento tipico dei “centri sociali” (“questi son tutti comunisti e anarchici”, avrebbe sentenziato un Salvini). Ma il film di Nicolosi può colpire al cuore, ben oltre l’audience potenziale di coloro che hanno già deciso “da che parte stare”…

Ci auguriamo che Rai voglia acquistare i diritti dell’opera e trasmetterla in prima serata: sarebbe sicuramente “servizio pubblico”.

Un estratto da “Furore” di Robert Steinbeck: “(…) E le imprese e le banche stavano scavandosi la fossa con le loro stesse mani, ma non se ne rendevano conto. I campi erano fecondi, e i contadini vagavano affamati sulle strade. I granai erano pieni, e i figli dei poveri crescevano rachitici, con il corpo cosparso di pustole di pellagra. Le grosse imprese non capivano che il confine tra fame e rabbia è un confine sottile. E i soldi che potevano servire per le paghe servivano per fucili e gas, per spie e liste nere, per addestrare e reprimere. Sulle grandi arterie gli uomini sciamavano come formiche, in cerca di lavoro, in cerca di cibo. E la rabbia cominciò a fermentare (…)” (edito da Bompiani Rcs Libri)

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz.

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