È l’università La Sapienza di Roma l’ateneo statale che riceve più fondi pubblici in Italia: nel 2022 le sono stati erogati complessivamente 508,1 milioni. È, del resto, quello che ha più iscritti, più di 100mila. Al secondo posto, sia per finanziamento, con 423,4 milioni di euro, che per studenti, circa 82mila, c’è l’Ateneo di Bologna.
L’Università Federico II di Napoli è al terzo posto: riceve 391,4 milioni e quello di Padova, al quarto con 328,4 incassati nel 2022. La Statale di Milano, con 305 milioni, viene solamente dopo, così come tutte le altre università pubbliche italiane, che sono 58 complessivamente, senza calcolare le Università per stranieri o gli Istituti Superiori (come la Normale di Pisa). Come si vede nella nostra infografica, che contiene le prime venti per finanziamento, solo 10, le più grandi, ricevono più di 200 milioni di euro, 20 tra i 100 e i 200 milioni e le rimanenti 28 meno di 100 milioni.
I fondi per le università nel 2022 e nel 2023
Da dove arrivando qieste risorse? Dal Ffo, ovvero il Fondo di Finanziamento Ordinario, che ogni anno il Mur (Ministero per l’Università e la Ricerca) stanzia dopo avere ottenuto l’approvazione del del Consiglio Universitario Nazionale (Cun) e della Conferenza dei Rettori (Crui), oltre che, ovviamente, quella del Governo. I numeri, infatti, devono essere compatibili con l’ultima Legge di Bilancio dell’esecutivo. Secondo la bozza di decreto che come ogni estate è stata redatta dal Mur, nel 2023 le università italiane riceveranno più fondi. Entreranno nelle casse degli atenei e del sistema universitario 9 miliardi e 205 milioni di euro, che rappresentano un incremento del 6,3% rispetti agli 8 miliardi e 656 milioni del 2021.
Da dove arrivando i fondi alle Università
Come fa notare il Cun, organo che include le rappresentanza di studenti, docenti e personale delle università, si tratta, tuttavia, di un aumento inferiore a quello dell’inflazione. Nonostante questo il Cun ha approvato la bozza di decreto, anche perché, dato significativo, negli ultimi anni gli incrementi sono stati rilevanti: tra 2021 e 2022 è stato del 3,3% e tra 2020 e 2021 del 6,5%, nonostante l’assenza di forti pressioni inflazionistiche. In sostanza, dal 2018 al 2022 la crescita dei fondi per le università statali italiane è stata mediamente del 4,3% annuo, ma questo è avvenuto dopo molti anni di stagnazione. Basti pensare che nel decennio precedente, caratterizzato da una generale austerità, il Ffo non aveva visto di fatto visto variazioni e in alcuni anni, quelli di maggior crisi, vi era stato addirittura un taglio.
I criteri per l’assegnazione dei fondi alle università
Quello che il Consiglio Universitario Nazionale critica, invece, è la tendenza a modificare la ripartizione dei fondi alle università e i criteri di erogazione. Come vediamo nella nostra infografica, infatti, per ogni ateneo le risorse assegnate sono divise in diverse categorie. Vi sono:
- La quota base, la più grande, che include principalmente una base storica, derivante dai finanziamenti degli anni precedenti e il costo standard degli studenti, direttamente legato al numeri degli iscritti
- La quota premiale, che viene decisa sulla base della qualità della ricerca, di quella delle politiche di reclutamento dei professori e degli indicatori di risultato
- La quota perequativa, per favorire le realtà più svantaggiate o che hanno subìto delle difficoltà.
E poi vi sono gli interventi specifici, spesso una tantum, come quelli collegati al Decreto Rilancio per l’emergenza Covid o ai piani straordinari per l’aumento delle retribuzioni dei docenti e del resto del personale, o ancora al finanziamento di un determinato tipo di ricerca.
Crescono i fondi alle Università vincolati per interventi specifici
Sono proprio gli interventi specifici a essere cresciuti di più negli ultimi anni, passando dal 7,6% del Ffo nel 2015 al 24,3% nel 2023, con un aumento previsto di ben il 16,3% (dunque più della media del 6,3%) tra 2022 e 2023. Questa tendenza è stigmatizzata dal Cun perché di fatto implica scelte di spesa obbligate, trattandosi di fondi vincolati a uno scopo preciso e diminuisce l’autonomia finanziaria degli atenei.
Se prendiamo come esempio la Sapienza di Roma questa riceve 289,4 milioni come quota base. È il 57% dei 508,1 milioni complessivi che vengono stanziati a suo favore. mentre 152,9 milioni, il 30,1% del totale, arrivano come quota premiale e solo l’1,93% del Ffo giunge come quota perequativa. Il 12,9%, 65,7 milioni, li riceve sotto forma di fondi specifici, soprattutto sotto il cappello del piano straordinario per i docenti.
Le proporzioni per gli altri atenei non cambiano moltissimo, ma vi sono numeri significativi da sottolineare. Per esempio l’università che in termini relativi riceve più fondi come quote premiali, il 35,2% del totale del Ffo che le spetta, è quella di Padova, seguita dalla Statale di Milano, con il 34,9%. Possiamo affermare che si tratta di quelle giudicate più meritevoli dal punto di vista qualitativo.
Dove sono maggiori le quote perequative
Ancora maggiori differenze, però, vi sono riguardo alla quota perequativa. Se, come abbiamo visto, alla Sapienza è dell’1,93%, nel caso dello Iuav di Venezia (dove si insegna architettura) arriva all’11,2%, nell’ateneo di Siena al 9,6%, in quello di Messina al 9,1% e nell’università dell’Aquila al 7,9%. Molto oltre la media anche la quota perequativa per gli atenei del Sannio, di Cassino, di Trieste. Come si vede non si tratta necessariamente di sedi del Mezzogiorno, ma sono sparse in tutto il Paese.
Viceversa ve ne sono quattro che non hanno avuto bisogno di nessun intervento perequativo, sono il Politecnico di Torino, l’università di Bergamo, quella di Ferrara e Napoli Parthenope, per gli studi navali.
I dati si riferiscono al: 2022
Fonte: Ministero dell’Università e della Ricerca