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Fondazione Open, il caso dal punto di vista mediologico. Renzi Papers ignorati?

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Chi cura questa rubrica “il principenudo” è ancora convinto che l’Italia possa essere (possa divenire) un Paese normale, anche per quanto riguarda la divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario: Montesquieu dixit) ed “il quarto potere”: talvolta emergono però dinamiche che confermano la profonda anomalia del nostro Paese, ovvero un “sistema dei media” che non brilla per vocazione alla trasparenza nel rapporto tra editori e testate. E nel rispetto del lettore (cittadino).

Abbiamo osservato quel che potremmo definire “il caso Tpi”: si tratta dell’ultima edizione del settimanale indipendente su carta lanciato il 17 settembre 2021 dall’omonima testata web, fondata e diretta da Giulio Gambino, giunta venerdì scorso 26 novembre al n° 11, e dedicata ad un corposo (oltre 15 pagine) dossier, sparato in copertina col titolo “Renzi Papers”. Con una fotografia che mostra un primo piano di Matteo Renzi non esattamente affascinante. Si ricordi che “The Post Internazionale” (Tpi) è un tentativo coraggioso di testata (anche) su carta, evoluzione della testata web fondata nel 2010. Secondo alcune fonti, l’effervescente settimanale (non privo di una certa vocazione “scandalistica”) si sarebbe posizionato a livello di diffusione già tra “l’Espresso” e “Panorama”, le cui edizioni su carta vantano rispettivamente 170mila e 50mila copie vendute in edicola.

Non entreremo qui molto nel merito tecnico-giuridico dell’inchiesta che riguarda la Fondazione Open di Matteo Renzi, e non ci schiereremo né con l’una né con l’altra parte, ovvero non adotteremo un approccio “fazioso” o giustizialista o garantista, ma proponiamo alcune analisi della dinamica, a partire da una osservazione oggettiva: nessuna altra testata ha ripreso quel che “Tpi” ha portato in edicola venerdì 26 novembre 2021 (parte del dossier era stata anticipata nell’edizione web della testata il giorno prima, giovedì 25).

Incredibile, ma vero: non un dispaccio di agenzia, né una citazione o un rilancio, nemmeno su fonti come Dagospia (peraltro sempre attenta a rilanciare anche questioncelle di ben minore evidenza): dinamica curiosa, veramente molto curiosa.

Si dirà che una parte delle notizie pubblicate da “Tpi” venerdì 26 era stata già oggetto di articoli soprattutto de “Il Fatto Quotidiano”, piuttosto che de “la Repubblica” o di “Domani”: in parte è vero, ma senza dubbio il giovane settimanale offre informazioni altre, integrative, e soprattutto, propone un tentativo di lettura organica della vicenda. Forse parziale, forse partigiana, forse ideologica, ma ricca di informazioni, alcune delle quali inedite.

Perché il corposo dossier di “The Post Internazionale” viene ignorato?

La questione assume quindi un interessante valore “mediologico”: perché un dossier così corposo viene ignorato dagli altri media?!

Abbiamo posto il quesito direttamente a Giulio Gambino, che ci ha così risposto: “il motivo per cui il nostro dossier non è esploso sui media italiani? Nessuno riprende nessuno, a meno che uno non inizi a farlo. Con Renzi, poi, non si discute. Vedasi la non intervista del giorno dopo la nostra uscita a Renzi, fatta da Maria Teresa Meli. Non giornalismo”.

È in effetti curioso che l’indomani, rispetto all’uscita in edicola di “Tpi”, venga pubblicata un’intervista a piena pagina, a firma di Maria Teresa Meli, sul “Corriere della Sera” di sabato 27 (a pagina 15, richiamata in prima), intitolata “Colle? Si scelga tutti assieme”, ovvero “Intervista a Matteo Renzi. Sul Colle è giusto votare tutti assieme. Per le elezioni meglio aspettare il 2023”. L’intervista di Meli tocca anche la vicenda dei finanziamenti alla Fondazione Open, assumendo una posizione neutra, con tre domande che consentono a Renzi un’evidente autodifesa: “io so di non aver violato la legge (…) Open finanziava in modo trasparente la Leopolda (…) Non trovo inconciliabile l’attività di conferenziere all’estero con quella di leader politico (…) Quello che colpisce è che un pm voglia decidere le forme in cui i cittadini si mettono insieme per fare politica. In una democrazia che cosa è un partito e come funziona lo decide il Parlamento, non il codice penale”.

Per il lettore distratto, è opportuno ricordare la genesi della vicenda. Come ha sintetizzato Vincenzo Bisbiglia sull’edizione di domenica 28 novembre de “il Fatto Quotidiano”, in un articolo simpaticamente intitolato “Rassegna per smemorati”: cosa c’è nelle carte dell’indagine dei pm di Firenze, dai compensi per Renzi-speaker alla “Bestia” di Rondolino & C.?

Vicenda Open: breve memo per gli “smemorati”

Il 19 ottobre 2021, la Procura di Firenze ha chiuso l’inchiesta (cioè si è conclusa la fase delle indagini preliminari) sulla Fondazione Open, che vede indagati per “concorso in finanziamento illecito” il leader di Italia Viva Matteo Renzi, gli ex ministri Luca Lotti e Maria Elena Boschi, Alberto Bianchi (ex Presidente della Open) e l’imprenditore Marco Carrai. Lotti è indagato con Bianchi anche per “corruzione per l’esercizio della funzione”: secondo i pm, l’ex Sottosegretario si sarebbe adoperato per favorire disposizioni normative di interesse di British American Tobacco Italia Spa (Bat) o del Gruppo Toto ricevendo in cambio “utilità”.

Ad esempio? I contributi di Bat alla Fondazione…

Ora gli atti dell’indagine fiorentina depositati non sono più riservati e possono essere utilizzati nell’ambito della cronaca giudiziaria: si tratta di circa… 92.000 pagine!

Appresa la notizia, Matteo Renzi ha così commentato: “finalmente arriva il momento in cui si passa dalla fogna giustizialista alla civiltà del dibattimento. E lì contano finalmente i fatti e il diritto. Alla fine di questa scandalosa storia, emergerà la verità… Dopo due anni di incessanti indagini, perquisizioni giudicate illegittime dalla Cassazione, veline illegalmente passate ai giornali, finisce il monologo dell’accusa”.

Il settimanale “Tpi” propone una lettura non priva di un qualche pregiudizio ideologico nei confronti del leader di Italia Viva, come emerge dall’editoriale di Giulio Gambino, ma senza dubbio mette insieme i “tasselli” del “puzzle”, e la lettura che ne risulta è sconfortante.

Scrive Gambino nel suo editoriale: “questa è la storia di un uomo che doveva cambiare l’Italia rottamando la politica vecchia e clientelare. Dieci anni dopo l’Italia è la stessa di prima e la politica di quell’uomo si è rivelata più vecchia e clientelare di quella che voleva sconfiggere. Nel pieno di conflitti d’interessi e dilaniato dalla ingordigia, oggi Matteo Renzi è più attento a incassare denaro da privati che a salvaguardare l’interesse pubblico, occupato a intentare cause su cause (tra gli altri giornali, anche al nostro) convinto che sia possibile intimidire la stampa affinché non parli dei suoi affari, che sono anche i nostri, essendo un senatore della Repubblica”. Una presa di posizione netta, nell’interpretazione delle carte che il settimanale propone.

Antonio Funiciello (Capo di Gabinetto di Draghi): serve il potere e si salva l’anima?

Tra l’altro, nella vicenda della Fondazione Open, emergerebbe un ruolo non marginale di Antonio Funiciello, Capo di Gabinetto del Presidente del Consiglio Mario Draghi. Si ricordi che Funiciello è l’autore tra l’altro di un libro autobiografico sulla propria esperienza di capo di gabinetto, che merita certamente essere letto, “Il metodo Machiavelli. Il leader e i suoi consiglieri: come servire il potere e salvarsi l’anima”, per i tipi di Rizzoli edito nel 2019; un testo prezioso non meno del più recente Anonimo di “Io sono il potere. Confessioni di un Capo di Gabinetto”, pubblicato nel 2020 da Feltrinelli. Qualcuno insinua che Funiciello non se la sia granché… “salvata”, la propria… anima, almeno in questa complessa e controversa vicenda della Open. Peraltro è lo stesso Funiciello che in materia di Rai – ha scritto “La Stampa” il 18 novembre – “avrebbe chiamato al telefono i leader di tutti i partiti nella speranza di superare i veti e sistemare le caselle delle maggiori testate giornalistiche dell’azienda pubblica, a poche ore dall’invio dei curricula dei candidati alla guida dei tg”. Partitocrazia allo stato puro?!

In sostanza – volendo semplificare in modo finanche un po’ rozzo – i magistrati fiorentini ipotizzano che esista un nesso causa / effetto tra il sostegno del gruppo British American Tobacco (Bat) alla Fondazione Open ed alcuni emendamenti approvati durante l’iter legislativo favorevoli a Bat.

E, secondo “il Fatto Quotidiano” ed altre testate e senza dubbio secondo “Tpi”, ci sarebbero altri interessi e mercimoni: reati o non reati che siano, si tratterebbe di comportamenti che non possono non essere definiti – eufemisticamente – “pratiche basse”.

Non essendo giornalisti specializzati in giudiziaria, lasciamo ad altri colleghi un’analisi accurata delle carte: qui vogliamo semplicemente analizzare il caso dal punto di vista mediologico.

Possibile che tutte le altre testate (agenzie stampa, quotidiani su carta e su web, periodici e finanche siti web di informazione) abbiano completamente ignorato il “dossier Tpi”?!

Perché questa distrazione (rimozione) sulle “Renzi Papers”?

Il dossier di “Tpi” è rientrato ovviamente nelle rassegne stampa sia dei diretti interessati e nei servizi di monitoraggio come Data Stampa e l’Eco della Stampa.

Immaginiamo che alcuni dei personaggi citati si siano lamentati e forse qualcuno ha inoltrato richiesta di smentita.

Il Direttore Giulio Gambino ci ha segnalato che non è arrivata alcuna querela o richiesta di rettifica ai sensi di legge: forse perché il dossier è stato costruito con cura, ed è basato su carte veritiere?!

Il documento di British American Tobacco è piuttosto inquietante, e sembrerebbe una prova inconfutabile.

Va anche segnalato – dal nostro punto di vista – che, dal dossier “Tpi”, emergono anche non pochi riferimenti a questioni afferenti alla politica mediale, con interessamenti di Renzi e del suo “cerchio magico” a vicende della Rai, con citazioni di dirigenti apicali come Monica Maggioni (Past President della Rai, poi Amministratrice Delegata di RaiCom e da qualche giorno alla guida del Tg1 Rai) o Paolo Del Brocco (Amministratore Delegato di RaiCinema)…

In fondo, emergerebbe semplicemente quella convergenza oscura tra “partiti” e “televisione” che per alcuni aspetti è scoperta dell’acqua calda, nonostante le solite belle dichiarazioni di intenti e comportamenti non sempre coerenti: il caso più recente è per alcuni aspetti rappresentato dallo stesso attuale Presidente della Rai.

In effetti, qualche settimana fa (il 28 ottobre), intervistato da Giovanna Vitale su “la Repubblica”, Carlo Fuortes dichiarava con orgoglio “il nuovo modello allontanerà i partiti dalla tv ma già oggi i politici non chiamano più”, e qualche giorno fa rivendicava invece (con una qual certa contraddittorietà), in Commissione Vigilanza, il suo diritto – da cittadino, prima che da amministratore pubblico – ad interloquire con i rappresentanti dei partiti. Il 24 novembre in Vigilanza ribadiva: “la mia indipendenza e la mia autonomia”, nei processi decisionali, anche in materia di nomine. Aveva commentato caustico l’ex Dg della Rai Pier Luigi Celli in un’intervista a “il Foglio”, il 18 novembre: “Fuortes diceva ‘i partiti non bussano alla mia porta’? In effetti è vero. In questi mesi è andato lui a bussare alla politica”.

Non meno preoccupante – secondo i “Renzi Papers” di “Tpi” – l’ipotizzato coinvolgimento di Simona Ercolani, titolare della Stand By Me, potente società di produzione televisiva che lavora intensamente per Viale Mazzini (anche con opere di gran qualità, come l’eccellente “Mental” su RaiPlay , cui abbiamo dedicato attenzione anche su queste colonne), che sarebbe stata coinvolta nella costruzione di una specie di “contro-Bestia”, ovvero di un sistema “informativo” occulto che andasse a colpire il Movimento 5 Stelle (ed altri soggetti “ostili”), con tecniche di “manipolazione” delle notizie in qualche modo simili a quelle che vengono attribuite a Luca Morisi (l’ex “guru social” della Lega, a capo della “Bestia” leghista) su mandato di Matteo Salvini per colpire gli avversari politici… Si ricordi che Simona Ercolani è peraltro la moglie di Fabrizio Rondolino (già portavoce di Massimo D’Alema), anche lui co-promotore della presunta “macchina della propaganda” renziana… La Stand by Me è stata ceduta nell’aprile del 2020 al gruppo statunitense specializzato in strategie di investimento alternative Oaktree Capital Management, che ha acquistato il 75 % delle quote.

Un’analisi critica della rassegna stampa e web delle notizie apparse dal 19 ottobre 2021 lascia comprendere come le testate giornalistiche italiane si siano più o meno tutte schierate, con logiche – come si diceva – garantiste piuttosto che giustizialiste.

Matteo Renzi accusa: i giudici stanno violando la Costituzione

Matteo Renzi ha lanciato comunque mercoledì 24 novembre una sua… “controffensiva”, in occasione di un’audizione sul suo caso nella Giunta delle Immunità del Senato: il leader di Italia Viva ha accusato i magistrati fiorentini di aver “violato la Costituzione” ed ha prodotto quelle che ha definito “prove schiaccianti”.

Nonostante l’audizione fosse a porte chiuse, si ha notizia che Renzi ha accusato la Procura di Firenze, e soprattutto il Procuratore Aggiunto Luca Turco di aver utilizzato intercettazioni di “conversazioni o comunicazioni” o “sequestro di corrispondenza” messe in atto senza le richieste autorizzazioni. Nello specifico, si tratta di email e di chat Whatsapp e con altri programmi di messaggistica istantanea, tutto materiale successivo alla data della sua elezione a senatore, avvenuta a marzo del 2018.

In sostanza, Renzi accusa i magistrati di essere stato “spiato” nonostante il suo status di parlamentare. In sostanza, secondo Renzi, l’indagine in questione sarebbe quindi paradossalmente fuorilegge.

E qui si apre un altro… capitolo: ha senso che un parlamentare della Repubblica benefici di un trattamento così particolare (e privilegiato), rispetto ad un qualsiasi altro cittadino?!

Queste tesi recano l’eco di lontane vicende che hanno riguardato per decenni Silvio Berlusconi

I documenti verranno vagliati dalla relatrice del caso in Giunta, la senatrice azzurra Fiammetta Modena, che “valuterà se saranno meritevoli di attenzione”, come ha detto il presidente dell’organismo, Maurizio Gasparri, illustrando i prossimi passi dell’iter. “Nei prossimi giorni – ha spiegato Gasparri – entreremo nel merito delle questioni per poter decidere, entro l’anno, se promuovere il conflitto di attribuzione che poi dopo un’eventuale decisione della Giunta, deve passare per l’aula”.

Renzi non intenderebbe “dribblare” l’eventuale processo, ma rimarcare ovvero denunciare la scarsa ortodossia e la scorrettezza di metodo del magistrato che lo indaga – e che in passato, ricorda Renzi, ha “arrestato mio padre e mia madre, indagato mia sorella, mio cognato e mia cognata” – e che avrebbe, appunto, ripetutamente violato l’articolo 68 della Costituzione, “mentre io non ho violato la legge” (ha sostenuto lasciando Palazzo San Macuto).

Ricordiamo quel che recita l’articolo 68 della Costituzione: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, nè può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza”.

Interessante notare quel che ha scritto Ermes Antonucci su “il Foglio” di mercoledì 24, in un articolo intitolato “La gran lezione del pg di Trento contro la malagiustizia”: con una circolare inoltrata anche alla Corte di Cassazione, il Procuratore Generale di Trento Giovanni Ilarda ha ricordato l’illegittimità dell’inclusione negli atti di una inchiesta contenuti penalmente irrilevanti. “Proprio quello che è successo – secondo Antonucci – con l’inchiesta sulla fondazione Open”. I pubblici ministeri possono, anzi debbono, non includere negli atti di indagine conversazioni (chat, e-mail, sms) acquisite tramite sequestro, ma dal contenuto penalmente irrilevante. “Proprio quello che sembra essere avvenuto nell’inchiesta Open, condotta dalla procura di Firenze, dove tra gli atti di indagine sono finiti (oltre all’estratto del conto corrente intestato a Matteo Renzi, non oggetto di indagine) anche conversazioni riguardanti strategie di comunicazione politica e persino messaggi in cui Renzi parla di un amico malato di cancro con Marco Carrai, al quale poi saranno sequestrati cellulare, pc e documenti…”. Alcune settimane fa, il Pg Ilarda fa ha diramato una circolare ai procuratori del proprio distretto “in merito alle modalità operative da adottare nel caso di sequestro di dispositivi di comunicazione mobile finalizzato all’acquisizione di messaggistica memorizzata sugli stessi (chat, email, sms, mms)”.  

La domanda che emerge naturale è però: ma siamo sicuri che quel emerge dai “Renzi Papers” non abbia rilevanza penale?! Ed è giusto che i parlamentari della Repubblica siano dotati di questa immunità investigativa?!

Comunque non commendevoli commistioni tra interessi privati e pubbliche decisioni

Se le carte sono autentiche, si assisterebbe a non commendevoli commistioni tra interessi privati e decisioni pubbliche.

Senza nulla togliere alla… “libertà di lobbying”, anche se va ben ricordato che l’Italia attende da decenni una legge che regolamenti questa attività: il vuoto legislativo permane, e se ne vedono (anzi… paradossalmente “non se ne vedono”) le conseguenze.

Stessa dinamica che riguarda il “conflitto di interessi”, tematica che continua ad essere sostanzialmente una sorta di tabù nella legislazione italiana.

Su questi temi, si rimanda ad un’interessante analisi, che risale al marzo scorso, di Andrea Giambartolomei, su “lavialibera” (rivista e testata web edita dal Gruppo Abele / Libera), dal titolo efficace: “Porte girevoli e conflitto d’interessi, nessuna legge li vieta, Renzi e Minniti solo gli ultimi casi”.

Non meno stimolante quel che ha scritto sul quotidiano “il Riformista” il Direttore Piero Sansonetti venerdì 26: sostiene che quella su Open sarebbe una “indagine creativa”, perché i magistrati porrebbero come tesi una errata equivalenza tra una “fondazione” ed un “partito”, la prima finanziabile ed il secondo no. Terreno questo che riteniamo in verità assai opinabile e piuttosto scivoloso… Soprattutto, però, Sansonetti (si) domanda perché il sistema mediale (e politico) italiano presti tanta attenzione alla vicenda della Open ed abbia invece quasi completamente ignorato la denuncia giornalistica de “il Riformista” su una strana vicenda riguardante la Philip Morris ed il M5S: si tratta dello scoop di un anno fa, firmato da una firma di punta del quotidiano, Aldo Torchiaro (vedi l’articolo del 26 novembre 2020, “Casaleggio a libro paga della Philip Morris, tutti i dettagli della maxi consulenza”).

Ricorda Sansonetti: “La Philip Morris aveva finanziato con circa 2 milioni di euro la Casaleggio. E – ovviamente in modo del tutto casuale – i 5 Stelle – che all’epoca erano molto legati a Casaleggio – in Parlamento avevano ottenuto un clamoroso sconto fiscale a vantaggio dei prodotti della Philip Morris. Abbiamo calcolato che questo sconto produceva una riduzione delle tasse di circa 500 milioni all’anno per la Philip Morris. E, di conseguenza, produceva mancate entrate all’erario per mezzo miliardo. Una quantità di denaro clamorosa”. E continua: “ora non credo che ci sia bisogno di ulteriori spiegazioni per capire che i due casi – “Open” e “Philip Morri”s – sono molto diversi. Nel primo caso non c’è l’ombra né di reati né di scambio tra finanziamenti e favori. Nel secondo caso sicuramente ci sono stati sia i finanziamenti (molto cospicui) sia i favori (clamorosamente cospicui) anche se niente ci autorizza e credere che tra favori e finanziamenti ci fosse una relazione. In genere, a essere onesti, i Pm non sottilizzano molto, in questi casi, e se vedono un finanziamento e subito dopo un favore, anche piccolino, stangano”. E conclude: “è una domanda veramente stronza quella di chi vorrebbe sapere dai grandi giornali come mai si sono entusiasmati per “Open” e se ne fregano del tabacco. Proprio stronza: noi ci guardiamo bene dal porre questa domanda”.

In sostanza, Sansonetti accusa il sistema italiano dei media di aver messo in atto dinamiche del tipo “due pesi, due misure”. Un’indagine della magistratura verrebbe enfatizzata o minimizzata in funzione degli interessi (politici, se non anche economici) dell’editore della testata: asimmetrie strumentali e simpatici marchettifici

Ancora una volta, deficit di trasparenza

Va segnalato comunque che non esiste ancora un obbligo di trasparenza nei bilanci delle fondazioni, e soltanto alcune pubblicano i propri dati economici e l’elenco dettagliato dei propri sostenitori (e relativi finanziamenti). È vicenda vecchia, che dovrebbe essere finalmente affrontata con la tante volte rimandata entrata in vigore del Runts, il “Registro degli Enti del Terzo Settore” (che è stato attivato operativamente il 23 novembre scorso). Il Registro Unico Nazionale del Terzo settore è stato previsto dall’articolo 45 del “Codice del Terzo Settore” (istituito nel 2017), ed è destinato a sostituire i registri delle “aps” (associazioni di promozione sociale), delle “odv” (organizzazioni di volontariato) e l’anagrafe delle “onlus” (organizzazioni non lucrative di utilità sociale) previsti dalle precedenti normative di settore: nel registro, dovranno iscriversi anche le fondazioni, le associazioni culturali (riconosciute o meno)… insomma una “galassia” di soggetti che in buona parte sono finora sfuggiti a regole pur minime di trasparenza.

Tre anni fa, Openpolis segnalava di aver censito, dal 2015 al 2018, 108 strutture tra “think tank”, fondazioni e associazioni politiche: di queste 108, erano sono ancora attive con un sito web 98. Il 15,9 % pubblicava il bilancio sul proprio sito internet, il 46,8 % pubblica lo statuto e solo l’8,5 % rendeva disponibile online l’elenco degli associati. Vedi “Quanto sappiamo su think tank e fondazioni politiche”.

Quando questo registro entrerà in funzione, sarà possibile fare un po’ chiarezza, finalmente, su decine e decine di soggetti che finora hanno operato in un regime… nebbioso! E non pochi di questi soggetti sono vicini, limitrofi, se non addirittura coincidenti (è il caso di Open?!) con le forme-partito.

E qui si torna a ragionare sulla esigenza di trasparenza anche nel sistema dei media.

In argomento, del Direttore de “il Riformista” non si può certo non riconoscere la trasparenza: quando il quotidiano che dirige tocca tematiche che riguardano l’imprenditore Alfredo Romeo (anch’egli è stato toccato da varie tempeste giudiziarie), Piero Sansonetti evidenzia sempre con franchezza che si tratta dell’editore della testata che dirige.

Or bene, leggendo quel che “Tpi” ha pubblicato venerdì 26, il “fumus” di alcuni possibili reati ci sembra che oggettivamente ci sia: quel nesso possibile tra “causa” ed “effetto” in alcuni processi di “decision making” pubblico, insomma.

Reati o non reati, si tratta di una lettura sconfortante, e di dinamiche che comunque – diplomaticamente – riteniamo si possano definire “inopportune”. Almeno per chi ha un vero “senso dello Stato”.

E la domanda permane, anzi si ri-propone: perché nessuno ha rilanciato il corposo dossier di “Tpi”?!

Sarà anche questa una domanda… impertinente (per non utilizzare l’aggettivo usato da Sansonetti)?!

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