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Fondazione Migrantes (Cei): continua la fuga di cervelli (e non soltanto) all’estero

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Presentato il 16° Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes (Cei): nel 2020, nonostante la pandemia, oltre 100mila italiani sono emigrati in 180 Paesi nel mondo, ma il 79 % in Europa: sono ormai quasi 6 milioni.

I mesi di ottobre e novembre sono ormai tradizionalmente in Italia periodi durante i quali coloro che si interessano di tematiche migratorie – in modo serio, e non propagandistico – attendono alcuni “rapporti annuali”, che sono divenuti appuntamenti tradizionali delle comunità scientifiche e sociali: se il 14 ottobre scorso è stata presentata l’edizione n° 30 del “Rapporto Immigrazione” curato dalla Fondazione Migrantes e dalla Caritas… se l’indomani 15 ottobre è stato presentato l’11° “Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione” realizzato dalla Fondazione Leo Moressa… se il 28 ottobre è stato presentato  il 31° “Dossier Statistico Immigrazione” curato da Idos (centro studi nato in seno alla Migrantes e poi resosi autonomo ed accolto dalla Tavola Valdese)… questa mattina a Roma è stata presentata la 16ª edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” curato dalla Migrantes.

Torneremo presto sulle prime tre ricerche, ed oggi ci concentriamo su uno studio che guarda agli italiani come “migranti”, tema in qualche modo in controtendenza rispetto al prevalente dibattito pubblico.

La Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Conferenze Episcopale Italiana (Cei), è un laboratorio di osservazione privilegiato, ormai da decenni, delle due dimensioni della migrazione: stranieri che arrivano e vivono in Italia, italiani che emigrano e che vivono all’estero.

L’edizione 2021 del “Rapporto Italiani nel Mondo” (da cui l’acronimo “Rim”) analizza anche le conseguenze della pandemia nel corso dell’anno, e non a caso reca il sottotitolo “Speciale Covid-19”.

Si tratta di un corposo tomo di 568 pagine (20 euro), edito per i tipi della Tau Editrice di Todi (Perugia), alla cui redazione hanno partecipato ben 75 autori, che hanno prodotto 54 saggi (per la prima volta dal 2005 coloro che scrivono dall’estero sono più numerosi di quelli che lo hanno fatto dall’Italia). Si tratta di una redazione, quindi, sempre più transnazionale, multidisciplinare e multisituata. Sono state coinvolte 16 diverse realtà accademiche dell’Italia (da Sud a Nord) e del mondo (Europa, Australia e America del Sud), oltre che molteplici altre realtà, istituti di ricerca, associazioni, strutture istituzionali, pubbliche e private, mondo sindacale e patronati. Un volume veramente corale arricchito dall’analisi di 34 città del mondo e di come gli italiani residenti in queste città, ufficialmente o meno, hanno affrontato l’epidemia mondiale, vivendo l’isolamento, il paradosso di dover essere immobili nella mobilità e l’avvento delle nuove forme di digitalizzazione e virtualità diffusa.

Leggendo i dati sulla mobilità da e verso l’Italia, emerge come la pandemia abbia avuto importanti ripercussioni sulla popolazione italiana e su quella straniera presente nel nostro Paese.

Gli italiani all’estero sono 5,6 milioni per quanto riguarda i soli iscritti all’Aire

li italiani all’estero sono 5,6 milioni per quanto riguarda i soli iscritti all’Aire , l’Anagrafe dei Residenti fuori dai confini nazionali. Ma sono molti di più, se si considera che chi espatria per un periodo, di studio o lavoro, spesso non ufficializza la sua posizione. E neanche la pandemia ha fermato questo esodo, che ha visto in 16 anni aumentare i migranti dall’Italia dell’82 %. Nell’anno del Covid, le partenze sono rallentate, ma comunque in 109.528 hanno lasciato il Paese. Se a questi si aggiungono i nuovi nati da residenti oltreconfine, gli italiani all’estero registrano un aumento del 3 %.

Aumentano le donne, i giovani, le famiglie e non è solo il fenomeno dei “cervelli in fuga”. Molti cercano un lavoro o delle condizioni di vita che l’Italia non è riuscita e non riesce a garantire.

La presentazione del “Rim 2021” è stata organizzata presso l’elegante Auditorium “V. Bachelet” dell’elegante Th Roma Carpegna Palace (in via Aurelia).

Interessante osservare come la presentazione sia stata organizzata senza l’intervento di esponenti istituzionali e politici dello Stato italiano: né un Ministro né un Sottosegretario né un Presidente di Commissione Parlamentare. Una scelta probabilmente non determinata da una volontà di autoreferenzialità ed esclusione, ma sulla quale riteniamo si debba riflettere. Nell’affollata sala (oltre duecento persone), un qualche politico, tra i quali abbiamo notato il senatore Francesco Giacobbe e l’ex parlamentare Luciano Vecchi, entrambi del Partito Democratico, ed il deputato Simone Billi, unico eletto per la Lega Salvini Premier nella Circoscrizione Estero.

Il saluto del Presidente

Da segnalare che sono stati letti messaggi di saluto del Presidente della Repubblica e del Presidente del Parlamento Europeo. In particolare, Sergio Mattarella ha scritto che “la Comunità di italo-discendenti nel mondo viene stimata in circa ottanta milioni di persone, cui si aggiungono gli oltre sei milioni di cittadini italiani residenti all’estero. La portata umana, culturale e professionale di questa presenza è di valore inestimabile nell’ambito del ‘soft power’, che consente di collocare il nostro Paese tra quelli il cui modello di vita gode di maggior attrazione e considerazione”.

David Maria Sassoli ha scritto: “oggi più che mai è necessario valorizzare quell’idea di cittadinanza globale e solidale che sta alla base di una società aperta e inclusiva. Negli ultimi anni, nonostante la pandemia, la mobilità degli italiani all’estero non è diminuita ma anzi, sembra essere addirittura aumentata.Se vogliamo costruire un’Unione più vicina ai cittadini, è necessario rafforzare l’accoglienza nei diversi Paesi europei, ‘prendersi cura’ delle persone in modo sostanziale, mettere in atto misure integrative sociali e, soprattutto, potenziare tutte quelle iniziative a sostegno dei milioni di europei che vivono in condizioni di difficoltà o povertà. Rispetto alle dinamiche migratorie l’Europa non può mostrarsi indifferente e soprattutto deve essere capace di indicare una via diversa rispetto al passato. Per fare questo, servono regole che umanizzino i meccanismi globali. Se vogliamo rendere più unita e coesa la nostra società e se vogliamo davvero contribuire a definire un governo globale delle migrazioni, è necessario rafforzare quelle norme etiche comuni che stanno alla base della convivenza civile”.

Sono intervenuti Stefano Russo, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), Massimo Vedovelli, già Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, Maria Cuffaro, giornalista e conduttrice Rai, Antonio Serra, Coordinatore nazionale delle Missioni Cattoliche in Inghilterra e Galles.

Ha coordinato la Capo Redattrice del “Rim”, la giovane ricercatrice Delfina Licata, che rappresenta il motore centrale dell’articolato progetto di ricerca.

Siamo tornati ad essere un Paese di emigrazione, piuttosto che di immigrazione: quest’anno quasi 250mila persone hanno lasciato l’Italia per lavoro o per studio”, ha evidenziato monsignor Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Presidente della Fondazione Migrantes.

Le parole del Segretario Generale della Cei Stefano Russo e del Presidente della Fondazione Migrantes Giancarlo Perego hanno confermato la sensibilità che la Chiesa Cattolica italiana ha nei confronti dei fenomeni migratori: una sensibilità che riteniamo sia molto più intensa e diffusa di quella mostrata dallo Stato italiano. Sebbene i toni dell’attuale Segretario Generale della Cei siano più moderati – dal punto di vista formale e stilistico – rispetto a quelli dell’impetuoso ed appassionato predecessore (fino al settembre del 2018), Nunzio Galantino, la sostanza non cambia: la Chiesa è dalla parte dei migranti, senza “se” e senza “ma”. D’altronde è lo stesso Pontefice Francesco Bergoglio a ricordare che la società deve svilupparsi in modo sano costruendo “ponti” e non “muri”.

Lo Stato italiano non ha invece una posizione così netta e così chiara, soprattutto a causa di un’attuale maggioranza di governo che ha al proprio interno anime in contraddizione.

Cei supplente dello Stato

Come abbiamo avuto occasione di scrivere in più occasioni anche su queste colonne, ci sembra che la Cei, su alcune tematiche essenziali della vita civile, finisca spesso per assumere una sorta di funzione di “supplenza” rispetto allo Stato italico (su questi temi, vedi anche “Key4biz” del 9 gennaio 2018, “ilprincipenudo. Giornata del migrante, Monsignor Galantino (Cei) ‘Dibattito su migranti ridotto a merce elettorale’”). In materia di migrazioni, non è casuale, per esempio, che sia la Fondazione Migrantes, e non un qualche dicastero dello Stato italiano, a sviluppare in modo serio le attività di ricerca e studio.

Se all’estero vivono circa 6 milioni di italiani, più o meno pari è il numero di immigrati che vivono in Italia: eppure “si fatica a condividere. Si preferisce distinguere tra ‘noi’ e ‘gli altri’, più che di parlare solo di noi, in termini di diritti, opportunità, cittadinanza”, hanno sottolineato monsignor Gian Carlo Perego e don Giovanni De Robertis, rispettivamente Presidente e Direttore della Fondazione Migrantes.

Abbiamo apprezzato che Stefano Russo abbia chiuso il suo intervento citando Frida Kahlo: “io ancora vedo orizzonti dove tu disegni confini”. Altresì dicasi per Gian Carlo Perego, che ha citato Giorgio Gaber per invocare la necessità di combattere i confini che abbiamo “dentro” di noi, oltre a quelli che sono fuori (la citazione è tratta da “Io come persona”).

Le due facce della migrazione: stranieri in Italia ad inizio 2021 poco più di 5 milioni; italiani all’estero oltre 5,6 milioni

Secondo l’Istat, a inizio 2021, gli stranieri residenti in Italia ammontano a poco più di 5 milioni: dopo un ventennio di crescita ininterrotta, anche la popolazione straniera si ridimensiona e non compensa l’inesorabile inverno demografico italiano.

Considerando i diversi mesi di “lockdown” vissuti a livello nazionale, europeo e internazionale, per molti è stato praticamente impossibile spostarsi e questo ha inciso fortemente sui dati relativi all’andamento migratorio italiano, sia interno che verso l’estero.

L’Italia, in sintesi, è oggi uno Stato in cui la popolazione autoctona e la popolazione immigrata non crescono.

L’unica Italia a crescere è quella che mette radici (e residenza) fuori dei confini nazionali in modo ufficiale – e quindi iscrivendosi all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Aire) – o in modo ufficioso non ottemperando all’obbligo di iscrizione.

A partire, sempre più numerosi sono gli italiani di nascita e quelli per scelta, quindi naturalizzati, coloro che chiedono di diventare italiani e che, una volta ottenuta la cittadinanza, tecnicamente vengono chiamati “nuovi” italiani. Questi italiani, in realtà, di “nuovo” non hanno nulla, in quanto, per l’Italia e gli italiani le persone di origine non italiana arrivati nel nostro Paese o nati e cresciuti in Italia non sono né una realtà recente né appena conosciuta.

L’unica Italia che continua a crescere è quella che risiede strutturalmente all’estero

Al 1° gennaio 2021 la comunità strutturale dei connazionali residenti all’estero è costituita da 5.652.080 unità, e corrisponde al 9,5 % degli oltre 59,2 milioni di italiani residenti in Italia.

Mentre l’Italia ha perso quasi 384mila residenti sul suo territorio (dato Istat), la presenza all’estero è aumentata del 3 % nell’ultimo anno.

La Sicilia, con oltre 798mila iscrizioni, è la Regione con la comunità più numerosa di residenti all’estero.

La seguono, a distanza, la Lombardia (561mila), la Campania (quasi 531mila), il Lazio(quasi 489mila), il Veneto (479mila) e la Calabria (430mila).

Sono 3 le grandi comunità di cittadini italiani iscritti all’Aire: nell’ordine, Argentina (884.187 cittadini, il 15,6 % del totale), Germania (801.082 cittadini, 14,2 %), Svizzera (639.508 cittadini, 11,3 %). Seguono a distanza le comunità residenti in Brasile (poco più di 500mila, 8,9 %), Francia (circa 444mila, 7,9 %), Regno Unito (oltre 412mila, 7,3 %) ed Usa (quasi 290mila, 5,1 %).

2020: oltre 109mila le partenze nonostante la pandemia globale

La mobilità degli italiani con la pandemia, quindi, non si è arrestata, ma ha subito un ridimensionamento che non riguarda, però, le nuove nascite all’estero da cittadini italiani, ma piuttosto le vere e proprie partenze, il numero cioè dei connazionali che hanno materialmente lasciato l’Italia recandosi all’estero da gennaio a dicembre 2020.

In valore assoluto, si tratta di 109.528 italiani, oltre 21mila persone in meno rispetto all’anno precedente, ma una quantità di cittadini comunque impressionante.

Di questi quasi 110mila italiani, il 54,4 % (59.536 persone) sono maschi, il 66,5 % (72.879) celibi o nubili, il 28,5 % (31.268 persone) coniugate/i, il 2,2 % divorziate/i (2.431 persone).

Nel generale calo delle partenze (-16,3 % rispetto all’anno precedente), le diminuzioni maggiori si riscontrano per gli anziani (- 27,8 % nella classe di età 65-74 anni e -24,7 % in quella 75-84 anni) e per i minori al di sotto dei 10 anni (- 20,3 %).

Crescono, invece, i giovani tra i 18 e i 34 anni (42,8 %): nell’anno della pandemia, il protagonismo dei giovani italiani in mobilità aumenta, ma il “rischio” di uno spostamento è stato volutamente evitato dai profili più fragili, anziani e bambini.

Nel loro complesso, le destinazioni scelte sono state 180 Paesi

Dei quasi 110mila connazionali che hanno spostato la loro residenza dall’Italia all’estero lungo il corso del 2020, il 78,7 % lo ha fatto scegliendo l’Europa come continente.

Nel loro complesso, le destinazioni scelte nell’ultimo anno sono state 180, ma, tra le prime 10, ben 7 sono nazioni europee.

Tuttavia, l’unica nazione con saldo positivo, rispetto all’anno precedente, è il Regno Unito: + 8.358 iscrizioni in più rispetto al 2020, + 25,1 % di variazione dal 2020 che diventa un aumento, in un anno, del 33,5 %.

Delle oltre 33 mila iscrizioni nel Regno Unito, il 45,8 % riguarda italiani tra i 18 e i 34 anni, il 24,5% interessa i minori e il 22,0 % sono giovani-adulti tra i 35 e i 44 anni.

Si tratta, quindi, della presenza italiana tipica per il Regno Unito: giovani e giovani adulti, nuclei familiari con minori che la Brexit ha obbligato a far emergere – da qui la spiegazione dell’incremento registrato anche nell’ultimo anno nonostante la pandemia – attraverso la procedura di richiesta del “settled status”, un permesso di soggiorno a tempo indeterminato per chi può comprovare una residenza continuativa su territorio inglese da 5 o più anni, arco temporale che non deve essere stato interrotto per più di 6 mesi su 12 all’interno del quinquennio di riferimento.

Gli italiani, quindi, durante l’“annus horribilis” della pandemia si sono trovati costretti a dover decidere se partire o no, se affrontare o meno i rischi di un’emergenza sanitaria globale raggirando gli ostacoli imposti dai protocolli rigidi attuati dalle diverse nazioni e relative ai limiti di spostamento intra ed extra un determinato territorio.

Una parte ha preferito procrastinare il progetto migratorio – e da questo deriva la riduzione del numero complessivo delle partenze – e un’altra parte ha deciso comunque di non rinviare la decisione e, quando possibile, rispettando le disposizioni limitanti gli spostamenti, ha scelto di “restare vicino” – e quindi in Europa – più che andare oltreoceano.

Le conseguenze sul sistema pensionistico: il 2,4 % delle pensioni Inps è per italiani all’estero

Nel corso del 2020, l’Inps ha pagato in tutto 13.816.971 pensioni: quelle all’estero sono state 330.472, e rappresentano circa il 2,4 % del totale. Si tratta di una percentuale che può sembrare poco significativa, ma per l’Inps ha un valore molto importante, perché si è ben consapevoli che si tratta di un fenomeno in continua espansione, considerando il costante aumento di partenze di italiani per l’estero. Questo trend genererà nuove pensioni da liquidare in regime di “totalizzazione internazionale” e da erogare non solo per chi torna in Italia dopo l’esperienza maturata altrove, ma anche a favore di chi decide di rimanere nel Paese estero che l’ha ospitato. Non si tratta di una previsione a lungo termine: molti degli attuali emigrati, infatti, rientrano nella fascia d’età 40-50 e 50-60 anni. Ciò significa che il numero delle pensioni interessate dalla totalizzazione internazionale è destinato molto presto ad aumentare in maniera considerevole.

Aumentano, inoltre, i pagamenti attribuiti a coloro che decidono di emigrare in altri Paesi da pensionati (negli ultimi 5 anni, + 21,1 %), scelta motivata da differenti obiettivi: seguire i figli che hanno trovato lavoro fuori dall’Italia, oppure beneficiare dei vantaggi fiscali offerti da altri Stati, oppure, semplicemente, godere di un clima o di un ambiente differente da quello che si è lasciato alle spalle.

Già oggi si assiste ad un primo passaggio di consegne: la platea dei pensionati all’estero che deriva da migrazioni del passato, viene integrata da quella che appartiene ad una nuova e più recente ondata migratoria. Questa si differenzia dalla prima sotto vari aspetti: le destinazioni di pagamento, le tipologie di pensione e, non da ultimo, la nazionalità dei percettori. Mentre, infatti, le migrazioni più antiche stanno dando luogo principalmente al pagamento di pensioni ai superstiti, soprattutto a donne di origine italiana e in Paesi quali Nord America, Argentina, Brasile, Australia, ma anche Francia, Germania, Belgio e Svizzera, quelle più recenti si caratterizzano per essere riscosse presso nuovi Stati di destinazione, sia in Europa, in particolare nell’Est europeo, sia nel continente africano e asiatico, luoghi che, fino a qualche tempo fa, non erano registrati negli archivi Inps.

Chi è rientrato in Italia: italiani in mobilità precaria, recente, non ufficiale

A metà settembre 2020, secondo i dati del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci), la Farnesina aveva ricondotto in patria quasi 111mila connazionali attraverso oltre 1.000 operazioni terrestri, aeree e navali che avevano interessato ben 180 Paesi del mondo. Un’operatività che ha richiesto un impegno senza precedenti da parte delle sedi diplomatiche in coordinamento col Maci, sorprese dal virus come tutti e interessate esse stesse da possibili contagi.

Il quadro dei rientri è molto complesso ed è possibile individuare diversi profili. Il blocco totale degli spostamenti ha fatto collassare il settore turistico soprattutto per quei luoghi che vivono, quasi esclusivamente, della presenza di viaggiatori e turisti come il Marocco, la Spagna e diversi altri. Gli italiani residenti più ufficiosamente che ufficialmente all’estero e occupati nei settori connessi al turismo – agenzie di viaggi, tour operator, ma anche il mondo alberghiero e della ristorazione – sono stati travolti dall’emergenza sanitaria che per loro è diventata anche emergenza di sopravvivenza. Moltissimi italiani proprietari di ristoranti nel mondo sono riusciti a resistere, alcuni si sono dovuti reinventare l’attività oltre la riconversione verso l’asporto come tutti, ma chi lavorava come dipendente in questo settore specie se da poco tempo perché di recente arrivo all’estero o inserito con contratto a tempo determinato, o non regolare, o a nero, non ha avuto scampo ed è stato falcidiato dall’epidemia. In tantissimi hanno perso il lavoro e l’unica strada percorribile era fare ritorno a casa.

In generale, comunque, il progetto migratorio acerbo unito a un inserimento occupazionale non certo, instabile o irregolare sono state due delle caratteristiche che hanno spinto fortemente al rientro sia dall’estero sia per chi si trovava in un’altra Regione d’Italia rispetto a quella di origine. Al ritorno dei lavoratori precari che si trovavano nella condizione di mobilità interna, si è unito quello dei lavoratori pendolari e la grande questione dei “frontalieri”…

Conclusivamente, dati che dovrebbero stimolare profonde riflessioni: a fronte di 1,9 milioni di calabresi che vivono in Calabria, ce ne sono 430mila che vivono all’estero (il 23 %)

Da segnalare, in particolare, la gravità della situazione degli italiani che lavorano nel Regno Unito dopo la “Brexit”, descritta con efficacia (e tristezza) da Antonio Serra, Coordinatore nazionale delle Missioni Cattoliche in Inghilterra e Galles.

La messe di dati ed analisi proposti dalla Fondazione Migrantes richiede un’attenzione particolare, e dovrebbe stimolare un dibattito ampio con le istituzioni italiane e con i partititi politici.

Ci limitiamo ad estrapolare uno dei tanti (tantissimi) dati che dovrebbero essere oggetto di una riflessione attenta: non è impressionante osservare che i cittadini di una Regione come la Basilicata siano 547.579 residenti nella regione e ben 136.668 residenti all’estero? Si tratta di una percentuale del 25 % nel 2021, a fronte del 24,0 % del 2020 e del 23,4 % nel 2019…

Percentuale ancora più inquietante quella del Molise: 31,2 % (anch’essa in crescita di 1 punto percentuale l’anno).

La Calabria è a quota 22,9 %: a fronte di una popolazione di 1.887.728 cittadini, ce ne sono ben 430.383 che sono iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero (Aire), e rappresentano giustappunto un 22,9 %…

Da segnalare infine che dal pomeriggio di oggi 9 novembre (fino a venerdì al 12 novembre), la Migrantes ha promosso il convegno “Gli italiani in Europa e la missione cristiana”, che vedrà la partecipazione, tra gli altri, del Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Cei.

Torneremo presto su queste tematiche.

Clicca qui, per leggere la Sintesi del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes (Cei) presentato a Roma il 9 novembre 2021

Clicca qui, per leggere la Presentazione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes (Cei), a cura della Capo Redattrice e Coordinatrice del “Rim” Delfina Licata, Roma il 9 novembre 2021

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