Uso della firma digitale per i referendum, la richiesta al Governo
Una reale transizione digitale della nostra Pubblica Amministrazione non può trascendere dall’utilizzo dei più moderni ed avanzati sistemi e strumenti di semplificazione e da impiegare in chiave digital trust service. Tra questi c’è la firma digitale, che il ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione digitale, Vittorio Colao, vorrebbe promuovere maggiormente e per diversi scopi.
Uno di questi è l’uso della firma digitale per raccogliere le sottoscrizioni su proposte di iniziativa popolare legislativa e referendaria, su cui però né il ministro Colao, ne la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, sembrano propensi ad una risposta positiva, almeno nel breve periodo.
L’Associazione Luca Coscioni a giugno aveva incontrato il ministro Colao per chiedere l’anticipo dell’utilizzo della firma elettronica qualificata per i referendum alla data del 1° luglio 2021, invece che dal 1° gennaio 2022.
Da fonti parlamentari, però, sembrerebbe che il tentativo sia caduto nel vuoto.
La lettera-appello di protesta
Per questo, come annunciato dal tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, stamattina è stata inviata alla Cartabia una lettera-appello per chiedere un ripensamento sulla decisione di eliminare l’emendamento al decreto semplificazioni che avrebbe consentito fin da subito l’utilizzo della firma digitale per i referendum.
Questo nonostante un testo concordato tra il gabinetto Colao e i promotori del referendum eutanasia legale, si legge in un comunicato dell’Associazione Coscioni.
Da qui la lettera-appello alla ministra, “perché se confermata, la sua sarebbe una scelta grave che in piena pandemia diventa scellerata. La Ministro ha poche ore per rimediare. Quanto al Ministro Colao auspichiamo che mantenga gli impegni per consentire anche attraverso modalità digitali l’esercizio dei diritti di iniziativa popolare previsti della Costituzione già da questo luglio”.
Il tradimento della transizione digitale
Una soluzione che, a detta dell’Associazione, “tradirebbe anzitutto ogni proposito di transizione digitale della democrazia” e “proprio nel momento in cui la firma con spid o altre modalità digitali è utilizzata per i più comuni adempimenti burocratici e l’Italia investe miliardi nella digitalizzazione del paese con il PNRR”.
Così facendo si costringe la gran parte dei cittadini italiani ad accedere agli strumenti di partecipazione previsti dalla Costituzione attraverso una legge di 51 anni fa, è specificato dall’Associazione: “che prevede ancora moduli timbrati, autentiche e certificazioni vessatorie”.
“Ostacoli irragionevoli che violano il Patto Internazionale Sui Diritti Civili e Politici e dunque la Costruzione, e che da oltre un anno l’Italia ha l’obbligo di rimuovere ai sensi della decisione del Comitato Diritti Umani dell’ONU, frutto della lunga lotta politico-giudiziaria di Mario Staderini”, è precisato nel documento.