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Fintech. L’importanza degli open data nel settore bancario

Fintech

Se si guarda a ciò che accade in campo Fintech – attualmente il settore più caldo del rinnovamento economico di alcuni paesi – è impossibile non inciampare in qualche notizia o commento inerente l’utilizzo delle c.d. API (Application Programming Interface), o interfaccia di programmazione di una applicazione, nello sviluppo dei nuovi servizi bancari.

 

 La rubrica Fintech, in collaborazione con l’Avv. Giulia Aranguena di ADLP Studio Legale e la redazione del blog Iuslab, approfondisce i temi dell’innovazione tecnologica in ambito bancario e finanziario e le nuove tendenze di mercato in questo settore. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Pensiamo ad esempio allo scalpore destato da Fidor Bank, l’innovativa web bank tedesca specializzata in crypto-currencies che – nell’offrire al mercato propri data-set attraverso le API per  sollecitare sviluppatori esterni – ha spinto alcuni osservatori a riconsiderare “strategicamente” la sfida competitiva della “bank disruption”, mossa verso i vecchi “incumbent” attraverso forme di attacco meno frontale ma molto più efficaci.

Oppure si consideri quel che sta accadendo in Gran Bretagna, soprattutto a Londra, dove, non certo per pura casualità, la City è in fase di ripopolamento e ci si allena a brandire di nuovo lo scettro della finanza mondiale.

Qui addirittura il governo di sua Maestà, nell’ambito delle politiche di sostegno dell’emergente settore Fintech, lo scorso 28 gennaio ha sollecitato il mercato con una “call for evidence” che invita tutti a fornire la loro opinione sui benefici di una maggiore condivisione dei dati e dell’utilizzo di open data nel settore bancario.

Anche se a molti di noi italiani sembra un linguaggio extra-terrestre, i policy makers inglesi partono dal presupposto – lì più che sondato e sperimentato – dei molteplici vantaggi del riutilizzo economico dei dati, ad esempio, nell’ambito dei loro servizi pubblici, sanità, e istruzione.

Ed ora, mentre da noi sia il rilascio che gli accessi ai data-set delle pubbliche amministrazioni si contano con il lumicino e non v’è traccia alcuna della disponibilità dei privati ad aprire i dati, la politica inglese sale letteralmente in cattedra mostrando a tutti la propria bravura e fermezza nel cavalcare la tigre dell’innovazione tecnologica.

Tale azione pubblica “made in U.K.” è palesemente rivolta a comprendere se gli open data e le forme di condivisione di essi attraverso le API aiutino effettivamente “a scatenare una maggiore concorrenza nel settore bancario” attraverso l’offerta di servizi migliori e più efficienti per i clienti; e si inquadra, perfettamente, in un lucido e quanto mai originale piano di rilancio economico a lungo termine già elaborato e da qualche tempo in piena fase realizzativa.

Tra l‘altro, parte della call for evidence lanciata al governo britannico è dedicata, addirittura, a sollecitare un ausilio per realizzare uno standard pubblico di API liberamente accessibile che serva a sviluppare software in grado di consentire ai clienti la condivisione volontaria dei loro dati bancari allo scopo di utilizzare anche altri prodotti o servizi, facilitare i pagamenti o ottenere offerte speciali, ad esempio.

Secondo il gabinetto del Ministero del Tesoro, driver dell’iniziativa pubblica in questione, poiché le Application Programming Interface (API) consentono a due applicazioni software separate o “apps” di interagire tra loro per lo scambio diretto e sicuro di informazioni, la creazione di uno standard aperto per le API di sviluppo potrebbe servire ad incoraggiare sia le banche tradizionali che i nuovi sfidanti Fintech a lavorare insieme per “inventare” nuovi modi di utilizzare i dati bancari a beneficio dei clienti.

Ad esempio, uno sviluppatore potrebbe progettare una app che lavori su uno smartphone di un cliente utilizzando i suoi dati GPS ed i suoi dati bancari allo scopo di fornirgli consigli sui prodotti o servizi da acquistare in una determinata area, prevedendo anche la possibilità di individuare dove prendere il caffè più economico, in quale supermercato siano le offerte migliori per quel mese o dove sia più facile e conveniente spostare il proprio conto corrente.

Nel lanciare questa iniziativa, ha dichiarato senza ombra di incertezza Andrea Leadsom, Segretario economico del Tesoro, per il blog del governo britannico: “la chiave del nostro programma economico a lungo termine sta facendo della Gran Bretagna il centro globale per la tecnologia finanziaria, o FinTech, e dell’innovazione. Utilizzare i dati bancari in modo più efficace e creativo può aiutare a raggiungere questi obiettivi e pensiamo che i benefici e le opportunità per i clienti possano essere enormi”.

Peraltro, questa azione pubblica inglese non nasce alla cieca, ma è il prosieguo di una rotta tracciata da tempo, lungo la quale l’azione politica del governo inglese ha già avuto modo di acquisire delle assumptions univoche sulle quali muovere ulteriori passi avanti.

Infatti, la call for evidence lanciata il 28 gennaio scorso è l’ulteriore tappa di un percorso supportato da un rapporto ufficiale pubblicato dal governo il 3 dicembre del 2014, denominato “Condivisione dei dati e open data per le banche”, ed elaborato in autunno dall’Open Data Institute e dalla Fingleton Associates, società privata di consulenza strategica.

Nel rapporto viene posto in luce in maniera netta e chiara quali siano i vantaggi competitivi dell’utilizzo e della condivisione dei dati nel settore bancario e come, di converso, le “asimmetrie informative” nel settore siano produttive di un’alta concentrazione del mercato e del poco sviluppo dello stesso, e di quanto ciò comprometta l’accesso al credito, soprattutto da parte delle piccole e medie imprese, e, conseguentemente, determini una scarsa se non povera risposta economica complessiva del sistema.

La call for evidence durerà per 4 settimane, ed al termine (25 febbraio prossimo) il governo U.K. deciderà quale sia il modo migliore per produrre i risultati positivi della condivisione dei dati e dei dati aperti del settore dei servizi finanziari e bancari.

E staremo a vedere se la scelta inglese andrà a segno e riuscirà a stimolare definitivamente l’economia della Gran Bretagna e se, del caso, tale rotta non possa, eventualmente, essere di esempio per altri paesi.

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