Le peculiarità di Fintech
Sono lieto di poter svolgere alcune considerazioni su una tematica di grande attualità per lo sviluppo competitivo del nostro Paese quale l’impatto delle nuove tecnologie sui settori finanziario, creditizio e assicurativo.
Come ho avuto modo di evidenziare anche in altre occasioni, la digitalizzazione di beni, servizi e transazioni non è un fenomeno limitato al settore delle telecomunicazioni, dell’informatica e dei contenuti immateriali, ma rappresenta un elemento di discontinuità che sta cambiando la struttura ed il funzionamento di tutti i mercati, i rapporti business-to-business e business-to-consumers come pure i comportamenti dei consumatori. In tale scenario anche l’ecosistema competitivo in cui le banche si sono mosse finora, sta conoscendo una forte trasformazione per cui, se non stiamo assistendo al tramonto del c.d. sistema banco-centrico che a lungo ha contraddistinto la storia del nostro ordinamento finanziario, certamente ci troviamo di fronte ad evoluzioni che lasciano intravvedere un possibile ridimensionamento del ruolo degli intermediari tradizionali.
E’ ben noto che il settore bancario vedeva già una pluralità di tipologie di soggetti operanti nell’esercizio del credito: pensiamo, oltre alle banche tradizionali, ai confidi, agli intermediari speciali, alle società di intermediazione immobiliare, ecc.. Questo processo di pluralizzazione soggettiva del settore, già delineatosi negli anni scorsi, si è nei tempi recenti ulteriormente accentuato per effetto dell’innovazione tecnologica.
Accanto, infatti, alle nuove possibilità di azione ammesse in via normativa sulla spinta del legislatore europeo (con l’emersione di nuovi organismi finanziari e figure intermediatrici che si collocano al di fuori del tradizionale ambito bancario e che purtuttavia sono in grado di soddisfare le variegate esigenze sottese ai processi finanziari)[1] si aggiunge lo sviluppo di nuove forme di attività e di nuovi operatori per effetto dell’evoluzione tecnologica (cd. financial technology o FinTech), che sta radicalmente cambiando la fisionomia del mercato bancario tradizionale, determinando, da un lato, la crescita delle imprese Fintech, dall’altro, la modifica del modello tradizionale di erogazione dei servizi e dei prodotti ed anche un mutamento del rapporto banca-cliente.
E’ molto difficile e finanche ardito provare a svolgere un discorso unitario sulla materia perché – lo sappiamo – il settore FinTech è molto variegato ed eterogeneo: include tutte quelle realtà che attraverso nuove tecnologie rendono più efficienti i servizi finanziari o creano nuovi e più sofisticati prodotti e servizi, comprendendo numerosi segmenti di attività quali pagamenti digitali, gestione automatizzata dei conti correnti, crownfunding, prestiti peer to peer, robot advisor, big data analytics, gestione di valute digitale o cripto-valute ecc.
Ciò non di meno, vi sono alcuni punti comuni e profili trasversali sui quali provare a svolgere alcune riflessioni.
Muoverei dalla considerazione che uno degli effetti più significativi della rivoluzione tecnologica cui stiamo assistendo è che in molti mercati, compreso quello bancario, la tradizionale catena del valore viene a frantumarsi grazie all’emergere di operatori che si focalizzano soltanto su specifici segmenti della filiera.
Da un lato, si stanno affermando banche completamente digitali (“pure digital”), prive di una rete fisica di filiali e con strutture di costo estremamente snelle; e si assiste altresì alla diffusione di nuovi modelli di business che prevedono il ricorso a diverse competenze e soluzioni (anche digitali) e l’integrazione di canali fisici e digitali. Dall’altro lato, aumenta la pressione proveniente da nuovi attori capaci di intercettare parte della clientela, dei margini di intermediazione e della liquidità un tempo di esclusiva competenza delle banche.
Dinanzi a tali dinamiche evolutive quale giudizio possiamo esprimere? Certamente, le imprese Fintech rappresentano “un’opportunità per l’intera economia: per i consumatori, che potranno ottenere servizi di alta qualità a basso costo; per le imprese, soprattutto quelle di minore dimensione, che potranno più facilmente accedere a una più vasta gamma di fonti di finanziamento; per gli stessi intermediari tradizionali, che attraverso il ricorso alla tecnologia potranno accrescere la propria efficienza e offrire servizi finanziari digitali innovativi”[2].
Proprio per questi benefici che si possono produrre su molteplici versanti, l’attenzione sulle potenzialità del FinTech è molto alta anche a livello europeo: la Commissione ha pubblicato proprio a marzo 2018 un Piano di azione, articolato in 23 iniziative, su come sfruttare al meglio le opportunità offerte dall’innovazione nei servizi finanziari resa possibile da fintech[3]. L’idea dalla quale l’iniziativa muove, che ha trovato ampia conferma dagli esiti della consultazione pubblica, è che le tecnologie finanziarie, e l’innovazione tecnologica in generale, sono stati (e saranno) i motori dello sviluppo del settore finanziario, schiudendo enormi possibilità in termini di accesso ai finanziamenti, efficienza operativa, riduzione dei costi e concorrenza.
Poiché la strategia della Commissione è volta a rendere più competitivo e innovativo il mercato finanziario, l’Autorità non può che guardare con favore all’iniziativa intrapresa, tanto più che tra i contenuti c’è anche una opportuna iniziativa regolamentare a sostegno del crowfunding[4]: fonti di finanziamento alternative come il crowfunding (o prestiti peer to peer) facilitano, infatti, l’accesso al mercato da parte di imprenditori innovativi, startup e piccole imprese con ripercussioni positive in termini di crescita e sviluppo del sistema.
Dico subito che per il futuro è bene che sempre più normative incoraggino lo sviluppo e la crescita di startup fintech perché questi nuovi strumenti finanziari possono sostenere le imprese e aiutare i risparmiatori, come in prospettiva potrà fare la direttiva Payments Services Directive n. 2 (Psd2, del 2012).
E’ noto che tale Direttiva, al fine di assicurare una concorrenza equa tra vecchi e nuovi operatori nei servizi di pagamento (quello dove Fintech si è finora maggiormente affermato)[5], definisce le possibilità operative dei nuovi entranti, ossia i TPP – Third Party Providers, e prevede una ripartizione delle responsabilità tra i soggetti coinvolti, disegnando il perimetro di interazione tra vecchi e nuovi operatori sul mercato.
In questo quadro, la spinta decisiva ad una maggiore concorrenza nel settore proviene dal fatto che, con la nuova direttiva, i conti correnti vengono aperti anche alle non banche: cioè il cliente potrà autorizzare una “terza parte” ad accedere al proprio conto e dare disposizioni, senza che la banca possa intervenire. Questo significa, ad es., che potremo avere collegato al conto corrente un bancomat diverso da quello del nostro istituto[6]; significa soprattutto circolazione dei dati dei clienti che lo autorizzino espressamente.
Quale l’impatto di una simile rivoluzionaria innovazione? Il consumatore avrà la possibilità di beneficiare di nuovi servizi finanziari erogati dai TPP, in quanto la direttiva impone alle banche di mettere a disposizione la propria infrastruttura a chi contribuisce al processo innovativo. Sul piano pratico, qualunque innovatore potrà dunque creare e definire nuovi servizi e proporli sul mercato, facendo leva sui sistemi e sulle infrastrutture bancarie già esistenti. L’impatto in termini di abbattimento delle barriere all’entrata è sostanziale: si potrà inviare denaro via chat, avere un’app che gestisce le finanze accedendo ai conti e alle carte di credito, avere un’ampia scelta rispetto alle modalità di pagamento online.
Accanto alla citata direttiva PSD2, vi sono poi anche altri snodi regolatori da citare, come la Direttiva Mifid 2 (entrata in vigore il 3 gennaio 2018) che, con l’obiettivo di offrire maggiore protezione ad investitori e risparmiatori, introduce nuovi vincoli per la vendita dei prodotti finanziari, contribuendo ad elevare la trasparenza del mercato e gli standard qualitativi con cui i concorrenti devono confrontarsi; come pure il nuovo Regolamento europeo sulla privacy.
Per comprendere il significato e l’impatto di tali sviluppi, basti considerare che la vera miniera, o meglio, il carburante da cui trae alimento il Fintech è l’acquisizione e l’elaborazione delle informazioni: parliamo infatti di imprese che fanno sì concorrenza agli intermediari tradizionali perché sono più agili e snelle, ma non hanno la struttura e il contatto con il cliente che ha l’operatore tradizionale: per questo diventa centrale acquisire altrimenti l’informazione ed elaborarla: di qui il ruolo centrale della nuova direttiva che consente la circolazione dei dati.
D’altra parte, il nuovo Regolamento sulla privacy detta norme che protegge i dati del conto corrente, e vieta anche alla banca di intervenire se la citata “terza parte” accede al conto del cliente (che dovrà, dunque, ben valutare ciò che autorizza). In questo senso, il nuovo Regolamento serve a stabilire le regole del gioco in modo più puntuale sì da proteggere i dati, senza però impedire, laddove vi sia il consenso del cliente, l’accesso ai dati stessi da parte di terzi.
Non mi dilungo oltre su tale terreno se non per aggiungere che l’insieme delle richiamate novità sta già cambiando lo scenario competitivo, favorendo l’azione delle Fintech su tale terreno[7] e accrescendo altresì l’importanza per gli operatori tradizionali di ricercare alleanze (non a caso, oggi una grande banca su due ha già una partnership importante con una fintech in Europa e, secondo Accenture, in tre anni saranno l’80%).
Fintech e concorrenza
Se è auspicabile che sul piano della regolazione si tenga sempre più conto delle enormi potenzialità racchiuse nelle imprese fintech e se ne agevoli l’affermazione (con una equilibrata valutazione, però, in sede di regolamentazione degli interessi generali suscettibili di essere incisi nei diversi segmenti)[8], quali valutazioni è possibile fare sul piano strettamente tecnico da parte di un’Autorità di concorrenza?
Da un punto di vista concorrenziale, l’impatto dell’azione delle imprese FinTech sul settore non può che sollecitare un giudizio di apprezzamento: in conseguenza della trasformazione digitale, ciò a cui stiamo assistendo è una intensificazione della concorrenza (tanto all’interno dell’industria bancaria quanto all’esterno) ad opera di soggetti non tradizionali che stanno disintermediando la filiera su segmenti specifici della catena di valore. E questo non può non avere un benefico effetto sul tono competitivo del settore (per lunghi anni percepito come sorta di foresta pietrificata) poiché le nuove imprese Fintech, inasprendo la concorrenza nel mercato dei servizi finanziari ed erodendo i margini di profitto, fungono da stimolo per gli operatori tradizionali e per lo sviluppo di importanti segmenti del settore finanziario.
Secondo un rapporto presentato qualche giorno fa al convegno Fintech Innovation che si è svolto a Roma, sono 235 le startup che stanno innovando il mondo del credito e della finanza in Italia in un’ottica fintech: dall’app per i pagamenti Satispaty alla Borsa del credito, dalla piattaforma per finanziare i crediti commerciali Credimi a Moneyfarm per le scelte di investimento. Le startup censite sono più che raddoppiate rispetto al 2015 e le contraddistinguono l’applicazione di tecnologie digitali come big data, Internet delle cose, blockchain e intelligenza artificiale al settore bancario e assicurativo.
Pensiamo anche alla direttiva che citavo prima, la PSD2, che sta stimolando la nascita di nuovi operatori specializzati in assemblaggio di informazioni dai conti correnti e di nuovi operatori in grado di gestire pagamenti elettronici, addebitando direttamente i conti. Pensiamo ancora al fatto che tale direttiva (insieme alla MIFID 2) aprirà le porte del credito ai grandi operatori del web e già oggi i colossi del tech, da Amazon ad Alibaba fino a Paypal, Google e Facebook si stanno facendo largo nel mondo delle banche e della finanza, rivoluzionando in prospettiva le dinamiche competitive e soprattutto i rapporti di forza nel settore[9].
E’ evidente, insomma, che stiamo vivendo una trasformazione epocale per effetto della quale si assiste alla nascita di nuovi operatori, alla nascita di nuovi prodotti e servizi (ad es. sofort per inizializzazione dei pagamenti online tramite bonifico; gestione automatizzata dei dati contenuti nei conti corrente), oppure, attraverso l’adozione di nuove tecnologie (come ad es. la cd. Blockchain) ad un miglioramento ed efficientamento di quelli esistenti, alla nascita di nuove opportunità. Tutto ciò si traduce in maggiore concorrenza ed efficienza, espressa in termini di maggiore varietà, minori costi, e altri benefici (promozioni, sconti, cashback ecc..).
D’altro canto, c’è anche un altro dato che vale la pena richiamare perché costantemente messo in luce da tutte le analisi di settore (da ultimo, da un’Indagine condotta da Banca d’Italia e pubblicata a dicembre 2017): esso attiene al ritardo dei player esistenti che “in molti casi non stanno ancora al passo con questa ondata di investimenti in innovazione, a causa in particolare dei retaggi tecnologici (le c.d. legacy technologies”), della scarsa rapidità con cui le banche sono in grado di far proprie le nuove tecnologie”[10]. La sfida, dunque, che simili processi pongono tocca da vicino gli istituti di credito in quanto le dinamiche descritte hanno un effetto altamente destabilizzante sugli equilibri storicamente prevalenti in un dato settore.
Non a caso sono sempre più diffuse le tesi di chi ritiene (nella migliore delle ipotesi) che le banche siano destinate a perdere l’esclusiva delle transazioni; di chi sottolinea che prima o poi saranno costrette a “cambiare mestiere”, dato che le fintech stanno attaccando ogni segmento dell’attività tradizionale (dai pagamenti ai prestiti, agli investimenti, alla consulenza ecc.) o, ancora, che la fine di questa storia sarà “che gli istituti di credito più innovativi e avanzati compreranno le società del Fintech oppure che le Fintech compreranno loro” (così Panetta).
Sul punto, mi limito a rilevare un dato che può finanche apparire ovvio (ma che non lo è fino in fondo): per gli intermediari tradizionali (come negli altri settori investiti dalla rivoluzione digitale) la vera prova non è quella di resistere ai cambiamenti tecnologici, ma di percorrere i sentieri da questi tracciati: sentieri che conducono spesso verso nuovi equilibri e lungo i quali mutano anche le relazioni competitive tra le imprese, per cui gli operatori devono affrontare il più classico dei processi di “distruzione creatrice” connesso all’evoluzione tecnologica: un processo tutt’altro che facile, dal momento che genera inevitabili tensioni tra gli operatori “tradizionali” e i nuovi operatori attivi nell’ecosistema digitale[11].
Ma si tratta di processi che, oltre agli inevitabili elementi di rischio, dischiudono anche nuove opportunità che bisogna saper cogliere e sfruttare.
Non a caso si sta via via prendendo consapevolezza, ad es., che le startup fintech possono diventare degli importanti alleati anche duraturi degli operatori tradizionali o fornitori, tanto che c’è già chi le alleva (Banca Sella ha promosso il Fintech District a Milano), chi vi investe (Intesa, attraverso il fondo Neva Finventures), chi firma joint venture (Unicredit ha partnership con sei fintech attraverso Unicredit Evo). Vi è poi Mediolanum che è entrata con Intesa e Unicredit nel consorzio R3 per lo sviluppo delle blockchain.
In definitiva, dal Fintech potranno nascere nuovi filoni di business per le banche che oggi si trovano dinnanzi ad un bivio: o la disintermediazione le spingerà progressivamente ai margini del mercato oppure decidono di partecipare alle novità, di attrezzarsi e competere, per esempio attraverso la strada che alcuni grandi operatori nazionali stanno già percorrendo, cioè quella delle alleanze.
Se gli operatori tradizionali sono posti dalle innovazioni disruptive di fronte alle sfide di una più agguerrita competizione (inimmaginabile soltanto fino a ieri), non meno densi e difficili da sciogliere sono gli interrogativi che esse pongono al legislatore, tenuto conto che i nuovi modelli di business che vanno diffondendosi erodono riserve legali e diritti speciali, e abbattono le tradizionali barriere all’ingresso.
Qui mi limito a dare un’ultima suggestione, esemplificativa dei nuovi scenari competitivi innescati dall’innovazione tecnologica: non solo l’attività del credito è esposta ai venti della concorrenza, ma anche un settore tradizionalmente e gelosamente riservato alle banche e ai controlli delle banche centrali come la moneta è oggi costretto a rivedere il proprio profilo. Faccio riferimento al fenomeno delle cripto-valute (bit-coin, ecc.) che consentono di effettuare pagamenti online. Si tratta, dunque, di sistemi alternativi, che riducono i costi di transazione.
I problemi nascono dal fatto che sono transazioni caratterizzate da un certo grado di anonimato: quindi, c’è un problema di tracciabilità e di utilizzo per fini illeciti (riciclaggio) ed anche di tutela di chi ne fa uso, cioè dei clienti (perché la moneta virtuale ha un prezzo che varia continuamente). Tuttavia, il fenomeno è di assoluto rilievo se consideriamo che anche il bene più esclusivo e storicamente monopolistico quale la moneta è insidiato dallo sviluppo di forme di valuta alternativa.
L’esempio delle cripto-valute è utile a capire meglio che gli sviluppi tecnologici pongono, dunque, anche il tema delle regole da applicarsi e quello ad esso associato dell’adeguatezza delle regole tradizionali: un tema molto complesso – peraltro analogo a quello esistente in altri settori investiti dalle nuove tecnologie (pensiamo solo al caso di Uber) che impone un’attenta riflessione sulle esigenze di tutela di altri interessi pubblici che hanno giustificato l’adozione di regole specifiche da introdurre nei singoli settori coinvolti dal processo di distruzione creatrice trainato dai nuovi modelli di business on line.
Si ripropone, insomma, qui il tema tradizionale di come regolamentare l’innovazione senza limitarla, ma anche quello, non meno importante sul piano competitivo, dell’applicazione uniforme delle regole: tanto più in un ambito delicato e fortemente regolamentato quale il settore bancario, dove – è bene non dimenticarlo – dietro ogni regola c’è un interesse pubblico rilevante ritenuto meritevole di tutela (tutela del risparmio e della fiducia della clientela, stabilità del sistema bancario e del sistema economico tutto, sicurezza del sistema dei pagamenti, ecc..), sì da giustificare l’adozione di quella specifica regola.
*Per leggere la relazione completa in PDF
Le note
[1] Pensiamo alla concessione di credito da parte delle imprese di assicurazione, ad alcuni particolari tipologie di fondi di investimento quali gli OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio) o i Fondi di investimento alternativi (FIA) come pure ai moduli alternativi di gestione collettiva del risparmio.
[2] Così F. Panetta, L’innovazione digitale nell’industria finanziaria italiana, Intervento in occasione della inaugurazione del Fintech District, Milano, 26 settembre 2017, reperibile su www.bancaditalia.it.
[3] Il piano nasce dalla consultazione pubblica che si è conclusa a giugno 2017.
[4]In tal senso è stata presentata una Proposta di regolamento per le imprese che operano nell’ambito del crowfunding con lo scopo di migliorare l’accesso ai finanziamenti per le startup e le piccole imprese.
[5] Cfr. I. Visco, Digital transformation of the retails payments ecosystem, relazione presentata in occasione della Conferenza congiunta BCE/BdI, organizzata a Roma in data 30 novembre 2017 (reperibile su www.bancaditalia.it).
[6] La norma dovrebbe diventare operativa nella seconda metà del 2019, ma ci sono due problemi: queste “terze parti” non sono ancora regolate e la piattaforma per dialogare con le banche non è pronta dappertutto.
[7] Per esempio, l’idea alla base della start-up lanciata di recente da R. Nicastro (RNK) è proprio questa: credito alle imprese in cambio di accesso completo ai dati bancari dell’impresa finanziata. Non so se questo esempio specifico è pubblico e si può riferire perché deriva da un contatto personale.
[8] Per esempio, un documento del 19 febbraio 2018 predisposto dal Comitato di Basilea per la vigilanza finanziaria sottolinea come le innovazioni fintech offrono potenziali vantaggi per tutti gli utenti in termini di accesso ai servizi personalizzazione dei prodotti, riduzione dei costi, efficienza nei processi, stabilità finanziaria e aumento della concorrenza, ma i benefici che esse arrecano non possono essere realizzati a scapito della sicurezza e della solidità. Di qui l’importanza di mantenere alta l’attenzione sulla gestione dei rischi e sul sistema dei controlli. In particolare, per le banche assume rilevanza il rischio strategico, quello di perdere parte sostanziale della quota di mercato o dei margini di profitto, nel caso in cui i nuovi entranti sfruttino le innovazioni per fornire servizi meno costosi e che soddisfino meglio i clienti. Per tutti gli operatori sono poi rilevanti i rischi operativi e il cyberisk; nuovi pericoli possono scaturire dall’adozione di tecnologie avanzate quali l’intelligenza artificiale, il machine learning, l’analisi avanzata dei dati, il cloud computing, senza considerare il crescente ricorso alla esternalizzazione di parte dei servizi relativi alle attività di back office e nelle funzioni di supporto che espongono le banche a nuovi rischi e nuove minacce. Sono tutti aspetti che, secondo il Comitato, necessitano di essere affrontati sul piano della regolamentazione: la sfida è proteggere il sistema senza creare ostacoli che frenino l’innovazione e la crescita.
[9] “Con un aumento di capitale (per loro) limitato potrebbero acquisire l’intero sistema bancario italiano”: così F. Panetta, I nostri istituti fuori gioco se non innovano. Amazon può diventare big del credito, intervista a La Stampa, 2 gennaio 2018.
[10] Rapporto I-COM 2016, cit. Cfr. anche C. Barbagallo, Il sistema bancario italiano: situazioni e prospettive, 24 marzo 2018, reperibile su www.bancaditalia.it
[11] Da un lato, infatti, questo tipo di evoluzione si scontra spesso con una certa inerzia degli operatori tradizionali ad adattarsi alle nuove opportunità tecnologiche, potenzialmente idonee a destabilizzare consolidati assetti di mercato e a mettere in discussione storiche fonti di ricavo. Dall’altro lato, si tratta di una evoluzione che tende a portare a una riallocazione dei ricavi e del valore aggiunto, spesso a vantaggio degli operatori ed intermediari che costituiscono i nuovi protagonisti delle filiere digitali in grado di esercitare un potere di mercato significativo.