Al di là dei “venti di crisi” che attanagliano il Governo guidato da Mario Draghi, nei giorni scorsi alcune notizie degne di nota – seppure sfuggite ai media “mainstream” – hanno caratterizzato lo scenario del sistema mediale e culturale italiano, e meritano una qualche riflessione, che cercheremo di proporre utilizzando ancora una volta una chiave di lettura organica e sistemica (“rara avis”, nella politica culturale nazionale).
Oggi ci concentriamo sulla notizia per alcuni aspetti più importante, ovvero quella che sembra aver appassionato di più la comunità professionale e politica, ovvero lo scontro tra “cinematografari” e “televisivi”, e presto affronteremo in dettagli altre questioni come:
- il convegno promosso dalla Federazione Nazionale della Stampa ed Usigrai sul “contratto di servizio” Rai, documento strategico ancora in misteriosa gestazione tra Mise e Viale Mazzini, tenutosi martedì 12 presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), incontro che pure non ci sembra abbia apportato alcun valore aggiunto in termini concreti (clicca qui per un resoconto sul sito della Fnsi);
- la notizia, emersa ieri mercoledì 13 luglio, che l’evanescente Comitato Media e Minori (ovvero il Comitato di applicazione del “Codice di Autoregolamentazione Media e Minori”) ha finalmente assunto un atto di censura formale nei confronti della Rai, stabilendo che la serie televisiva “911” (specificamente la puntata “Luna piena”) contiene scene di inaudita violenza, ed ha richiesto alla rete Rai 2 di dare entro 10 giorni chiara ed adeguata notizia della risoluzione in un proprio notiziario di massimo ascolto (abbiamo denunciato la incredibile vicenda su queste colonne, vedi “Key4biz” del 28 gennaio 2022, “Rai trasmette in fascia protetta un telefilm raccapricciante: nessuno interviene”);
- la pubblicazione da parte della Corte dei Conti della relazione sull’andamento della gestione di Cinecittà Luce, cui ha dedicato attenzione, finora, soltanto il settimanale “Panorama” diretto da Maurizio Belpietro, nell’edizione in edicola ieri 13 luglio, con un articolo critico dal titolo polemico “Brutto film a Cinecittà”. Eloquente il sottotitolo dell’articolo firmato da Fabio Amendolara, “Incarichi facili (e d’area Pd), costi che lievitano e produzioni in calo. Il progetto di rilancio fortemente voluto dal Ministro della Cultura Dario Franceschini resta un’ambizione. In compenso i bilanci non tornano”; clicca qui per la Delibera n. 69/2022 ovvero la “Determinazione e relazione sul risultato eseguito sulla gestione finanziaria dell’Istituto Luce-Cinecittà s.r.l. per l’esercizio 2020”, pubblicata il 15 giugno 2021;
- la presentazione, questa mattina al Collegio Romano, del 18° Rapporto Federculture edizione 2022, “Impresa Cultura. Lavoro e innovazione: le strategie per crescere” (clicca qui per alcune sintesi dello studio, sul sito web della Federazione), che, ancora una volta, propone una serie di saggi ed interventi che vorrebbero analizzare lo stato di salute del sistema culturale italiano, ma che – ancora una volta – non consentono purtroppo una vera fotografia/radiografia, a causa di dataset che continuano ad essere deficitari, parziali, frammentari; tra l’altro Federculture utilizza dati di indagini campionarie Istat, rispetto al crollo della fruizione di cultura in Italia nel 2021, mentre si resta ancora in attesa dell’edizione 2021 dello storico “Annuario dello Spettacolo” della Società Italiana Autori Editori (Siae), unica fonte in Italia che fornisce dati censuari, ovvero sull’intero universo…
Notizie queste, tutte di indubbio interesse, sulle quali sarà opportuno presto tornare approfonditamente, tentando giustappunto una lettura sistemica, e non parcellizzata.
Anec vince su Apa: 90 giorni di finestra temporale obbligatoria per i film che escono nei cinema
Apparentemente esplosiva, ma sostanzialmente insignificante (a parer nostro), la notizia di ieri pomeriggio, ovvero che lo scontro tra due “lobby” dell’esercizio cinematografico e della produzione televisiva – l’Anec (Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici) e l’Apa (Associazione Produttori Audiovisivi)– si è concluso, registrando la vittoria della prima sulla seconda: anche a seguito di una stimolazione da parte del Parlamento, il Ministro della Cultura Dario Franceschini ha confermato che il Governo intende agire sulla leva delle “window”, ovvero delle “finestre temporali” tra l’utilizzazione di un film cinematografico in un medium piuttosto che l’altro, privilegiando la fruizione nella sala cinematografica.
In sostanza, il sistema cosiddetto delle “finestre” sarà esteso a tutti i film, italiani e stranieri, non più solo alle opere audiovisive beneficiarie del finanziamento pubblico.
La riteniamo una vittoria di Pirro, perché non è la costrizione per via normativa a determinare un processo di costruzione di un “sentiment” (come s’usa dire ormai, nell’epoca dei “social media”) positivo rispetto all’immagine del cinema in sala: è invece proprio questo attuale “immaginario” negativo, polveroso e passatista, a far sì che la popolazione non senta attrazione alcuna ad andare a chiudersi in un cinematografo, a fronte di una fluviale offerta di immagini audiovisive offerte dall’apparecchio televisivo (che siano film offerti da emittenti gratuite, a pagamento, o piattaforme…).
Ieri pomeriggio (mercoledì 13 luglio), il Ministro Dario Franceschini ha così commentato: “è importante che l’aula del Senato abbia dato un impulso forte e determinato all’azione del governo sul tema della crisi delle sale cinematografiche: i cinema sono importanti presìdi culturali che è giusto tutelare. È inoltre significativo che ci sia stata una sostanziale condivisione nelle diverse mozioni sul fatto che vada migliorata la regolamentazione delle finestre temporali, ossia di quanto i film devono restare in sala prima di andare su una piattaforma, e che ci sia un’indicazione molto chiara, di cui il Governo terrà conto, di equiparazione tra film italiani e di film stranieri per non avere disparità di trattamento”.
Questa dichiarazione è stata manifestata al termine della discussione generale delle “mozioni” parlamentari sulla crisi delle sale cinematografiche, a Palazzo Madama.
Il dibattito si è concluso con un voto favorevole sulle mozioni che cercano di contemperare le diverse esigenze dell’intera filiera dell’industria cinematografica e che prevedono tutte la determinazione, da parte del Ministero della Cultura con proprio decreto, delle “finestre temporali” di permanenza in sala, per i film italiani e stranieri, di almeno 90 giorni, con l’eccezione delle cosiddette “opere difficili” (sic), non destinate al vasto pubblico, per le quali potranno essere valutate delle finestre temporali più brevi.
Le finestre temporali di permanenza in sala dei film riguarderanno pertanto tutte le produzioni, italiane e straniere, e non più solo quelle sostenute dallo Stato.
Esulta l’associazione presieduta da Mario Lorini (Presidente dell’Anec), che addirittura parla di “norma storica”, e diversi politici hanno subito messo la… bandierina sulla grande “battaglia”, per rivendicare il proprio ruolo fondamentale.
Commenti da parte del Presidente dell’Apa Giancarlo Leone? Non pervenuti.
E curiosamente tace anche l’Anica (che ormai si autodefinisce “Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Digitali”) di Francesco Rutelli, ma d’altronde essa si scontra – al proprio interno – con la vocazione ecumenica rutelliana, che ha messo sotto lo stesso ombrello soggetti che sono sempre in latente conflitto tra loro (sono ormai associati all’Anica anche “player” invadenti e potenti come Netflix) …
Tanti partiti rivendicano il proprio ruolo determinante nell’imposizione della novella “finestra”
La mozione in questione, firmata trasversalmente da senatori di Forza Italia (Maurizio Gasparri e Andrea Cangini), Partito Democratico (Luigi Zanda, Andrea Marcucci, Roberto Rampi, Vanna Iori, Francesco Verducci e Roberta Pinotti), Ipf-Insieme per il Futuro (Primo Di Nicola e Leonardo Donno), Leu (Loredana De Petris) e Iac-Coraggio Italia (Gaetano Quagliariello), è stata approvata con 219 voti favorevoli, 15 astenuti e nessuno contrario.
Federico Mollicone (Fratelli d’Italia, Responsabile Cultura di FdI), a sua volta, dichiara che “con l’approvazione della nostra mozione a prima firma Iannone il Governo ha ora il chiaro indirizzo per la tutela delle sale cinematografiche e il sostegno all’esercizio cinematografico”. Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri ha dichiarato “sono molto lieto che sia stata approvata la mozione che ha avuto adesioni trasversali molto importanti con le firme dei senatori Zanda, De Petris, Quagliariello, Di Nicola, Cangini, Marcucci, Rampi, Iori, Verducci, Donno e Pinotti, che difende il cinema in sala dallo strapotere delle piattaforme”. La Lega, a sua volta, rivendica anch’essa che l’Aula del Senato ha approvato con 231 voti favorevoli, 5 astenuti e nessuno contrario la mozione sulla crisi delle sale cinematografiche presentata dalla Lega, prima firmataria la senatrice Maria Saponara (Capogruppo in Commissione Cultura a Palazzo Madama)… Altresì dicasi per il Movimento 5 Stelle, che rivendica che l’Aula del Senato ha approvato con 231 voti favorevoli, 5 astenuti e nessuno contrario la mozione sulla crisi delle sale cinematografiche presentata dal M5s, prima firmataria la senatrice Danila De Lucia…
Rivendicazione multipla e variegata, plurale e trasversale, da partiti grandi e piccini…
Il tutto è stato “ricomposto” dalla Sottosegretaria alla Cultura, la leghista Lucia Borgonzoni, che ha proposto una riformulazione a cura del Governo: “prevedere, adottando i necessari provvedimenti normativi, la fissazione con decreto del ministro della Cultura per tutti i film italiani e stranieri, anche non destinatari di benefici statali, di una finestra di almeno 90 giorni, fatta salva la possibilità di deroga sulla base della peculiarità di specifiche tipologie di opere, opere difficili o non destinati a un pubblico vasto”.
Questa la riformulazione proposta nell’Aula del Senato dalla Sottosegretaria Borgonzoni, ai firmatari delle 4 mozioni sulla crisi delle sale cinematografiche.
Ogni mozione conteneva una precisa indicazione di giorni relativa alle finestre per i film, ma il Ministro Dario Franceschini ha chiesto un’indicazione generica “dentro la quale il governo potrà trattare con le parti perché bisognerà arrivare a una soluzione il più possibile concordata con i distributori, gli esercenti e i produttori”.
I senatori Gasparri (Fi), Iannone (Fdi), De Lucia (M5s) e Saponara (Lega), primi firmatari delle mozioni, hanno accettato la riformulazione proposta dal Ministro della Cultura.
Al di là del nuovo obbligo 90 giorni, viene annunciata una chiara regolamentazione sulle “uscite evento” di 3 giorni che, in mancanza di regole chiare, sono state utilizzate per aggirare il periodo di tempo fissato dalle finestre, e finire in tempi brevi sulle altre forme di distribuzione.
Il Governo ha assunto anche altri impegni, a parte quello delle rafforzate “windows”: prolungare il “tax credit” al 60 per cento alla distribuzione, al fine di agevolare investimenti in materia di promozione e conseguente visibilità dei prodotti; rimodulare il “tax credit” alla produzione al 40 per cento per opere con prioritario sfruttamento cinematografico, al 30 per cento per quelle destinate ad altri circuiti e modalità di fruizione; promuovere iniziative a tutela e sostegno del comparto cinematografico in tutta la sua evoluzione tecnologica…
La questione è complessa e delicata, ma ribadiamo il convincimento che non si può agire su un fattore soltanto, a fronte delle caratteristiche multidimensionali e multifattoriali della crisi acuta in atto (vedi quel che scrivevamo da ultimo su queste colonne, vedi “Key4biz” del 1° luglio 2022, “#soloalcinema: riparte la mini-campagna per il cinema in sala. Ma non basta”; ed ancora “Key4biz” dell’8 luglio 2022, “Tra ‘pubblico’ e ‘privato’ le contraddizioni interne della politica culturale italiana”).
Rimandiamo, su questi temi, all’accurato e gustoso articolo redatto da un esperto appassionato, qual è Robert Bernocchi sul sito web specializzato “Cineguru. Cinema 2.0, innovazione e business”, per una lettura critica lungimirante: vedi “Due o tre cose che ho capito a Ciné”, su “Cineguru / Screenweek” di lunedì scorso 11 luglio. Scrive Bernocchi: “possiamo essere fiduciosi sulla ripresa del cinema americano. Ma sinceramente anche molto preoccupati per la produzione italiana…”.
Francesco Verducci (Pd): agire sulla leva del prezzo: “una card per il cinema italiano… lo strapotere delle multinazionali non può fagocitare il cinema italiano”
Da segnalare, nel corso del dibattito, la proposta manifestata dal senatore “dem” Francesco Verducci, ovvero l’esigenza di agire sulla leva del prezzo: “serve una card per il cinema italiano che permetta di tornare in sala alle famiglie, ai giovani che ora non possono farlo. A questo si lega il disegno di legge per il cinema indipendente e per il riconoscimento di produttore indipendente che abbiamo presentato e che stiamo discutendo in Senato. Lo strapotere delle multinazionali non può fagocitare il cinema italiano”.
Torneremo presto, su queste colonne, anche sulla proposta normativa promossa dal senatore Verducci (disegno di legge n. 2147, “Norme per il riconoscimento e il sostegno delle imprese cinematografiche e audiovisive indipendenti”, comunicato alla presidenza del Senato il 23 marzo 2021 (clicca qui per il testo, qui per l’iter), che indubbiamente interviene su alcuni fattori importanti, ma ci sembra anch’essa – come buona parte dei provvedimenti finora assunti dal Ministro Franceschini – ancora “sganciata” da quella prospettiva di “decision making” organico, sistemico, strategico che tante volte abbiamo invocato su queste colonne.
Manca ancora una “vision” d’insieme, e quindi una “visione strategica” del sistema culturale e mediale italiano.
E quindi anche le politiche pubbliche sono inevitabilmente parcellizzate e parziali, impostate con una logica da compartimenti stagni anzi – come si direbbe oggi – da “silos”…