Alla COP 27 di Sharm el Sheik si affronta il tema della finanza green
Negli ultimi anni in troppi, tra capi di Stato e amministratori delegati di grandi aziende, hanno fatto dichiarazioni di intenti sul contrasto ai cambiamenti climatici, sul taglio delle emissioni inquinanti, sullo sviluppo di un’economia a basso impatto ambientale e sul ruolo della cosiddetta finanza sostenibile.
Al di là delle belle parole, “rimane il problema che i criteri e i parametri di riferimento relativi a questi piani mostrano ancora diversi livelli di rigore e presentano numerose scappatoie, sufficientemente grandi da lasciar passare un camion”, ha dichiarato alla COP27 di Sharm el Sheik il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.
La questione è stata affrontata nel Rapporto del Gruppo di esperti istituito a Glasgow, in occasione della COP26, per affrontare il tema degli impegni e delle azioni per raggiungere le zero emissioni nette da parte di attori non statali come le imprese, le istituzioni finanziarie, le città e le regioni, in cui si è voluto sottolineare proprio la debolezza delle linee guida presentate da ogni organizzazione.
In poche parole, sono state fatte troppe false promesse “net zero” per coprire spesso una massiccia espansione dei combustibili fossili, anche sui mercati finanziari, o per guadagnare con l’inganno la fiducia dei consumatori.
Secondo il documento bisogna invertire subito la rotta ed allineare piani e investimenti al percorso fissato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, che sinteticamente chiede di tagliare del 45% le emissioni climalteranti entro il 2030 e di raggiungere le zero emissioni entro il 2050.
Serve trasparenza prima di tutto, poi possibilità di verifica puntuale e assunzione di responsabilità.
Finanza sostenibile e finanza ingannevole, il greenwashing
La finanza è la chiave di volta per l’attuazione delle azioni per il clima e per aumentare le ambizioni su molti altri settori economici in cui la questione ambientale è forte. I risultati di Glasgow hanno ribadito la centralità degli strumenti finanziari come catalizzatori dei progressi su tutti gli aspetti dell’agenda climatica globale e molti Stati hanno dichiarato la volontà politica di rispettare gli impegni finanziari.
Ma rimane il problema dell’ambientalismo di facciata, della “tinteggiata di verde”, del cosiddetto greenwahsing.
Comunicare il falso comporta grandi danni al mercato come all’ambiente, perché vuol dire camuffare come “verde” qualcosa che è “grigio” tramite pubblicità ingannevole, pratiche commerciali scorrette e atti di concorrenza sleale.
Esiste ad esempio il danno da “alterazione informativa” che si basa su alcuni presupposti, come spiegato in un articolo del Sole 24 Ore: “una società diffonde, od omette di diffondere, informazioni che abbiano un effetto alterativo sul prezzo del titolo; un investitore acquista il titolo a un prezzo maggiorato rispetto a quello che avrebbe pagato in presenza di un corretto quadro informativo; successivamente al disvelamento al mercato delle informazioni occultate, o alla correzione delle false informazioni divulgate, il prezzo del titolo diminuisce e con esso il valore dell’investimento”.
La diffusione di un’informazione non finanziaria non corretta può determinare il deprezzamento del valore dei titoli e causare danni agli investitori e gettare ombre sul lavoro non svolto da parte degli organi preposti al controllo.
Ricordiamo che per verificare, misurare, controllare e sostenere (anche con acquisti e investimenti mirati) gli impegni in chiave ambientale delle organizzazioni c’è l’etichetta ESG, acronimo inglese che sta per Environmental social & Governance.
Da qui nasce il Rating ESG (o Rating di sostenibilità) che è un giudizio sintetico che certifica la solidità di un emittente, di un titolo o di un fondo dal punto di vista degli aspetti ambientali, sociali e di governance.
Dal 2016 al 2020 gli asset di finanza sostenibile sono aumentati di un terzo a 35 trilioni di dollari secondo stime riportate nell’articolo.
La corsa agli investimenti verdi, ma occhio alle false informazioni
Secondo un Rapporto di Allied Market Research, nonostante l’impatto negativo della pandemia di Covid-19, la crisi energetica, la guerra in Ucraina e le tensioni geopolitiche in atto, tali asset potrebbero comunque continuare a crescere per altri 22,5 trilioni di dollari entro il 2031, ad un tasso medio annuo (Cagr) del +20%.
Da un’indagine condotta dalla Commissione europea e dalle Autorità nazionali di tutela dei consumatori dei Paesi dell’Unione, dedicata completamente al greenwashing, attraverso uno screening dei siti web e dei piani di comunicazione delle aziende, è emerso che nel 42% dei casi le Autorità hanno ritenuto ingannevoli e non veritiere le affermazioni, considerandole pratiche commerciali sleali, ai sensi della Direttiva sulle pratiche commerciali sleali.
E ancora, nel 37 % l’affermazione conteneva formulazioni vaghe e generiche e nel 59 % dei casi non venivano fornite prove a sostegno delle affermazioni.
Paradossalmente, la Piattaforma sulla finanza sostenibile, il gruppo di esperti della Commissione europea incaricato di elaborare raccomandazioni tecniche per la tassonomia dell’Unione Europea, ha proposto di inserire tra gli investimenti green anche quelli su gas e nucleare.
Alcune Organizzazioni non governative hanno abbandonato la piattaforma in dissenso con queste linee guida. A detta loro “è stata la Commissione stessa a fare pressioni per inserire queste voci nella tassonomia degli investimenti green”.
La Tassonomia UE è un sistema di classificazione istituito per chiarire quali investimenti sono sostenibili e quali no, con l’obiettivo istituzionale di prevenire il greenwashing e aiutare gli investitori a valutare se gli investimenti sono il linea con le indicazioni dell’IPCC e con gli impegni politici a favore del contrasto ai cambiamenti climatici, come il Green Deal dell’Unione europea.