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Fibra, roaming, net neutrality: vittorie e sconfitte della lobby delle tlc

Connettività wireless nei centri nevralgici di città e dei piccoli comuni e un piano d’azione per partire col 5G nel 2018, come le altre maggiori economie mondiali. Sono questi alcuni fra i pilastri della riforma Ue delle norme sulle tlc, che prevede tra l’altro un nuovo codice delle comunicazioni elettroniche che introduce una sostanziale riduzione degli obblighi normativi nel caso in cui operatori concorrenti coinvestano in reti ad altissima capacità e facilita la partecipazione dei piccoli operatori a progetti di investimento grazie alla condivisione dei costi, al superamento di barriere di scala ecc.

La riforma, quindi, prevede anche l’estensione della regolamentazione che grava sulle telco anche alle web company che offrono servizi equivalenti.

L’idea della Commissione è di incoraggiare gli investimenti sia degli operatori storici – i cosiddetti incumbent – sia delle società che hanno fatto il loro ingresso nel mercato al momento della liberalizzazione, cercando di superare la contrapposizione tra chi possiede la rete, ereditata dall’era monopolista, e i cosiddetti new entrant: tutti sono considerati potenziali investitori nelle nuove tecnologie di comunicazione, essenziali per rilanciare la competitività europea. Tutti, quindi, devono essere incoraggiati a investire.

La riforma è stata presentata il 14 settembre ed è stata accolta con generale entusiasmo dalle telco – cosa, questa, non sempre scontata o automatica. Secondo molti esponenti dell’industria, l’alleggerimento delle regole per accelerare lo sviluppo della fibra unitamente alla spinta al coinvestimento potrebbe realmente cambiare le carte in tavola, a vantaggio dell’industria e dei cittadini.

Bruxelles, insomma, dà un colpo al cerchio e uno alla botte, ponendo tra le priorità l’offerta ai cittadini di servizi internet più performanti, ma tendendo la mano anche agli operatori, stavolta.

Sì perché gli operatori negli ultimi tempi stanno facendo sentire abbastanza spesso e in modo molto chiaro la loro voce a Bruxelles, non riuscendo però sempre a ottenere i risultati sperati nonostante la potenza di tiro e le forti pressioni.

Come nel caso del roaming dove a un passo dalla metà – con la proposta della Commissione di abolire le tariffe solo per 90 giorni invece che definitivamente – ecco arrivare come un fulmine a ciel sereno la decisione di Jean-Claude Juncker di ritirare il testo della Commissione con l’obiettivo di mantenere la promessa iniziale. Che la lobby dei pensionati – soprattutto quelli dei paesi del nord Europa che trascorrono oltre la metà dell’anno nei paesi del sud – sia più forte di quella delle telco, come ha azzardato qualcuno?

E ancora, una sonora batosta è arrivata nel caso della net neutrality. A fine maggio, la Ue ha infatti adottato rigide norme a tutela della neutralità della rete che impediscono agli operatori di offrire capacità di rete dedicata per la fornitura di servizi specializzati (leggi: a pagamento) in ambito sanitario, delle auto connesse o dell’internet delle cose.

Un ‘affronto’ a cui le telco europee – BT, Deutsche Telecom, Telecom Italia, Vodafone – hanno risposto compatte con un manifesto in cui neanche troppo velatamente minacciavano il blocco degli investimenti nel 5G se il quadro regolamentare non fosse stato alleggerito, richiamando quindi il regolatore ad adottare un approccio positivo riguardo l’innovazione.

Altro tema molto discusso è quello del consolidamento nazionale, ossia le fusioni tra operatori dello stesso paese, spesso i due più piccoli che non riescono a stare al passo con la concorrenza di quelli più importanti. Per gli operatori tlc, anche o soprattutto quelli non coinvolti nelle operazioni di concentrazione, la riduzione del numero di player rappresenta l’opportunità di ridurre la concorrenza, ritoccare al rialzo i prezzi e, quindi, accrescere i margini per potere – a loro dire – investire e innovare.

Ma l’Antitrust europeo, soprattutto da quando al timone c’è la danese Margrethe Vestager, non è affatto dello stesso parere e in diverse occasioni ha già mostrato il pollice verso. Il timore è che la riduzione del numero di operatori sia deleteria per la scelta dei consumatori, la concorrenza e l’innovazione.

Proprio per evitare questo tipo di conseguenze, la Ue ha fissato obblighi così restrittivi da indurre Telenor e Teliasonera ad archiviare il loro progetto di fusione in Danimarca, mentre nel caso di 3Uk e O2 c’è stata proprio la bocciatura tout court da parte della Vestager, ma anche dei regolatori nazionali.

Unico progetto finora approvato dalla Vestager è stato quello di Wind e 3 Italia a patto, però, che le due società cedano spettro e siti in misura tale da consentire la creazione di un quarto operatore che vada a riempire il vuoto che si creerà sul mercato mobile.

Di fronte a questo muro, gli operatori alzano regolarmente la voce, ma finora con scarsi risultati. Il consolidamento orizzontale – diceva lo scorso anno l’ad di France Telecom, Stéphane Richard – “è una necessità economica basata sul bisogno di investire nella fibra, nel 4G, nelle frequenze…”.

Ma la Ue, da questo orecchio non sembra sentirci…

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