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Fibra ottica: Renzi rilancia, ma i ricorsi delle telco rischiano di far saltare il banco

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Il 5 ottobre la prima udienza al TAR Lazio del ricorso Fastweb contro i bandi Infratel. A rischi il termine del 17 ottobre per la presentazione delle offerte degli operatori nelle prime sei Regioni oggetto dei bandi Infratel.

Il premier Matteo Renzi è tornato a parlare di fibra ottica e dell’importanza di portare “la velocità della fibra italiana a livelli competitivi, a livelli mondiali”.

Intervenendo alla cerimonia per i 110 anni di Salini Impregilo alla Triennale di Milano, Renzi ha sottolineato la necessità “di una gigantesca operazione di infrastrutturazione della banda larga, perché la rete di domani non è solo l’autostrada o la diga, ma la fibra”. Anche per il Governo italiano, insomma, l’ultrabroadband è un fondamento indispensabile di quella che la Commissione europea ha battezzato ‘gigabit society’.

Affermazioni e obbiettivi sacrosanti, se non fosse che l’elevato livello di conflittualità tra gli operatori italiani, che non ha eguali in Europa, rischia di trasformare anche la partita della fibra ottica in nuova telenovela, ritardata e complicata dai ricorsi delle società coinvolte nell’infrastrutturazione, i quali sembrano più impegnati a farsi la guerra nelle aule di giustizia che sul mercato dei servizi.

Già perché se pensiamo alla fibra ottica, nell’immediato il pensiero non può non andare a due date – quella del 5 ottobre e quella del 17 ottobre – tra loro strettamente legate e indicative di quella che rischia di trasformarsi in una nuova storia infinita.

Il 5 ottobre dovrebbe tenersi infatti al Tar Lazio la prima udienza del ricorso presentato da Fastweb contro i bandi Infratel per la fibra ottica nelle aree a fallimento di mercato. Se le istanze del gruppo telefonico controllato dagli svizzeri di Swisscom fossero accolte, la conseguenza sarebbe lo slittamento del termine del 17 ottobre fissato dalla in-house del Mise per la presentazione delle offerte degli operatori nelle prime sei Regioni oggetto dei bandi Infratel (Abruzzo, Molise, Emilia, Lombardia, Toscana e Veneto).

Fastweb, in particolare, contesta la prenotifica fatta prima di conoscere i bandi e senza la possibilità di apportare modifiche in una fase successiva, principalmente riguardo la possibilità di formare consorzi di imprese.

Ma Fastweb non è la sola azienda ad aver impugnato i bandi di gara Infratel: anche Telecom Italia ha infatti presentato ricorso al TAR contro Agcom, MISE e Infratel, contestando quello che a parere della società potrebbe configurarsi come una discriminazione nei suoi confronti.

Il gruppo contesta in particolare la parte del provvedimento che regola la vendita wholesale indicando che i prezzi devono essere applicati a condizioni eque e non discriminatorie.

La delibera, secondo il ricorso, farebbe sì che a Infratel non siano applicate le stesse regole che valgono per Telecom Italia. In tal modo, la società in house del Mise – che costruirà la rete ultrabroadband per conto dello Stato nelle aree a fallimento di mercato, assumendo in tal modo il ruolo di ‘operatore dominante’, per poi darla in concessione ad altri operatori –  potrà fissare le tariffe senza effettuare i cosiddetti ‘test di prezzo‘ previsti per altro dalle normative europee.

Ecco quindi che la strada verso la gigabyte society si fa in salita. I bandi, certo, riguardano le aree bianche, cosiddette a fallimento di mercato. Quelle cioè in cui il privato non investe non ritenendole remunerative e per le quali il Governo ha previsto un intervento diretto, approvato dalla Commissione europea. Si tratta però di una fetta abbastanza consistente di territorio (4.300 comuni dove risiedono circa 9,4 milioni di persone) che rischia di essere tagliata fuori, e di fondi pubblici già stanziati da una delibera CIPE lo scorso anno e che rischiano di restare inutilizzati. Il tutto mentre si affaccia anche il tema delle aree grigie, tornate alla ribalta in occasione del recente varo del Piano Nazionale Industria 4.0.

Nelle cosiddette aree ‘grigie’ gli operatori hanno realizzato o realizzeranno reti con collegamenti ad almeno 30 Mbps ma le condizioni di mercato non sono sufficienti a garantire ritorni accettabili a condizioni di solo mercato per investire in reti a 100 Mbps. Qui vive il 40% della popolazione: cittadini attivi e con una propensione di spesa medio-alta ed è situato infatti il 69% delle imprese italiane (contro il 23% situato nelle aree bianche el’8% in quelle nere). In un’ottica di ‘Industria 4.0’ sarebbe impensabile lasciare queste aziende sprovviste di fibra ottica a 100 Mbps (obiettivo del Governo è quello di coprire il 100% delle aziende con banda ultralarga a 30 megabit/secondo e il 50% a 100 mega entro il 2020).

In queste aree – si tratta all’incirca di 1.100 comuni – il pubblico può intervenire soltanto se si dimostra che c’è una chiara domanda di connessioni a 100 Mbps che il privato non riesce a soddisfare, pena l’alt della Ue.

Presentando il piano Industria 4.0, il Governo ha rilanciato le risorse per 6,7 miliardi già previste dalla strategia BUL focalizzandosi sulla imprescindibile necessità di portare la connettività ultrabroadband nelle aree grigie. A questo obiettivo potrebbero essere destinati fondi per 3,7 miliardi sotto forma di misure incentivanti quali l’accesso agevolato al credito, assegnazione ai privati della proprietà dell’infrastruttura, voucher per l’attivazione dei servizi di connettività da parte dei privati e defiscalizzazioni sugli investimenti. Misure per le quali è necessario il via libero della Commissione europea.

Intanto, a dicembre, le aree grigie potrebbero subire un ridimensionamento a fronte della  nuova consultazione che terrà conto dei piani di investimento aggiornati degli operatori e che includerà anche quelli di Enel Open Fiber.

Nulla è, ancora una volta, come sembra, insomma, in questo gioco di specchi e di riflessi che rischia di farci accumulare nuovi ingiustificabili ritardi.

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