Sotto attacco da parte dei concorrenti, che chiedono uno scorporo della rete telecom per migliorare i servizi broadband, l’operatore storico britannico BT passa al contrattacco e promette nuovi investimenti per circa 1 miliardo di sterline nella fibra ottica nei prossimi 5 anni.
I concorrenti l’accusano BT di conflitto d’interessi per il controllo di OpenReach (la divisione attraverso cui fornisce ai rivali accesso ai servizi in rame e fibra). BT promette allora prontamente di apportare migliorie alla velocità e alla qualità della rete: più copertura nelle aree rurali, aumento della velocità minima delle connessioni a 5-10 megabits al secondo, potenziamento della fibra ottica.
I piani del governo UK prevedono la copertura totale di tutti gli edifici a 2 megabits al secondo dal prossimo anno e la copertura in fibra ottica del 95% delle abitazioni entro il 2017.
BT intende andare oltre gli obiettivi fissati da Governo per la fibra e fissare nuovi standard di velocità minima, grazie anche alle nuove tecnologie e al satellite. (A chi non sarà raggiunto dalle connessioni terrestri, BT intende regalare le apparecchiature per la banda larga satellitare).
I rivali si lamentano che la struttura di controllo di OpenReach permette di abusare della sua posizione dominante e disincentiva gli investimenti? Il Ceo Gavin Patterson non è di questo parere. BT, sostiene Patterson, ha già contribuito a fare del Regno Unito la principale economia digitale del G20 e “vuole creare un futuro ultraveloce per il Paese, aiutando il governo a garantire i servizi broadband più moderni come lo streaming in alta definizione e il cloud computing”.
Entro il 2020, assicura Patterson, la banda larga superveloce (G.Fast) arriverà a 10 milioni di edifici.
Ma per raggiungere questi obiettivo c’è bisogno “di un maggiore sforzo collaborativo da parte dell’industria e del governo”.
Il tema dello scorporo della rete ha tenuto banco per molto tempo anche in Italia. Per garantire la parità di accesso alla rete fissa di Telecom Italia da parte degli operatori alternativi (Olo), il nostro Paese ha deciso di applicare la cosiddetta equivalence of output, a differenza di OpenReach che invece ha scelto l’equivalence of input. Entrambi i modelli, al di là dei tecnicismi, non sono stati evidentemente in grado di abbattere la conflittualità del mercato e di incrementare gli investimenti nella rete. Difficilmente, tuttavia, il passo successivo sia lo scorporo, perché si correrebbe un forte rischio di riportare la rete sotto il cappello dei governi. E la rinazionalizzazione non sarebbe ben vista né dagli ex monopolisti né dagli operatori alternativi.