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Festival del Cinema di Roma, “Il ragazzo e l’airone”

FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA AUDITORIUM

La sesta giornata della Festa del Cinema di Roma si apre con il film di Hayao Myazaki Il ragazzo e l’airone. I fan più accaniti, ed io tra questi, hanno fatto carte false pur di accaparrarsi un biglietto per la sua proiezione.

Mahito, un ragazzo di all’incirca dodici anni, è in lutto per la morte della madre.

Rimasto solo, si trasferisce a casa della zia, dove abita anche il padre. Mentre gira per il giardino vede un airone cenerino, che lo osserva insistentemente ed un castello nel bosco, di proprietà del suo prozio, che sembra nascondere molti segreti. L’airone proverà più volte ad avvicinarsi e a parlare con Mahito, che però, diffidando di lui, lo allontanerà. Dopo un litigio con i compagni di scuola, feritosi alla testa, Mahito è a letto. Quando, guardando fuori dalla finestra, intravede la zia allontanarsi nel bosco. Da quel momento, inizia il viaggio di Mahito che, accompagnato dall’airone cenerino, andrà alla ricerca della zia. 

Una volta superato il passaggio con su scritto “Fecemi la divina potestate”, Mahito entra nel castello e scende in quello che potremmo chiamare inferno. Ritrovatosi di fronte alla riva di un fiume, una traghettatrice di anime lo trasporta fino all’altra sponda. I richiami alla Divina Commedia sono molteplici, eppure gli spiriti e i paesaggi seguono lo stile myazakiano.

Una tra le cose più emozionanti è stata proprio quella di entrare nuovamente nell’universo di Hayao Myazaki: un mondo dove i bambini sono i protagonisti, gli spiriti sono sempre molto affamati e i momenti di filosofia continui.

In uno dei primi scambi di battute tra Mahito e la traghettatrice, quest’ultima dice che il nome Mahito significa persona sincera.  Myazaki, infatti, spesso sceglie come protagonisti delle sue storie dei bambini, probabilmente poiché rappresentano la purezza d’animo.

Un altro must dei film di Hayao Myazaki sono le “vecchine”: donne anziane dalla testa e i nasi sproporzionati, pronte a proteggere il protagonista o a dargli una lezione di vita.

Gli spiriti hanno le sembianze degli animali, ma i modi di fare degli umani, quasi come se lo fossero stati in precedenza.

Fa da cardine nelle sue storie la perdita dei genitori, il momento in cui diventiamo davvero adulti, in cui dobbiamo abbandonare la nostra infanzia e affrontare un dolore insolvibile. All’inizio, accettare che non ci saranno più loro a tenerci la mano, sembra impossibile e saremmo disposti a tutto pur di non perdere quella parte di noi: l’origine di tutto. Myazaki ci insegna a combattere quel senso d’incompiutezza, ci fa capire che, così come nei film, tutto ha un inizio e una fine.

Quest’opera di Hayao Myazaki sembra quasi un testamento del regista stesso e senza dubbio è un capolavoro. Nel film ritroviamo la sintesi stilistica e tematica di tutto ciò che abbiamo visto fino ad ora nei suoi racconti: l’equilibrio tra mondo dei vivi e mondo dei morti, tenuto in piedi attraverso delicatissimi sistemi… e basta un soffio di vento a farli precipitare.

E forse sarà un po’ come perdere un padre, il suo mondo, le sue storie ci hanno plasmato tanto da farci sentire a casa quando le rivediamo.

Questo dialogo penso sintetizzi l’idea esistenziale di Hayao Myazaki. La prima notte di Mahito all’inferno la traghettatrice di anime e Mahito guardano delle piccole anime volare verso l’altro:

Traghettatrice: Quando maturano, volano.

Mahito: E che fanno?

Traghettatrice: Nascono.

Forse è proprio questa la magia dei film di Hayao Myazaki, nonostante tutta la sofferenza, senti sempre una rinascita interiore: un nuovo te è finalmente pronto a volare.

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