I protagonisti principali sono Oliver Quick (Barry Keoghan), con una famiglia apparentemente povera e disastrata alle spalle e Felix Catton (Jacob Elordi), il classico ragazzo con tanti soldi, un giro di amici e ragazze a volontà. I due si incontrano, grazie ad un fortuito caso, tra una lezione e l’altra nel giardino dell’Università di Oxford. Si instaura quasi subito, un rapporto di grande dipendenza: Felix si compiace ad aiutare e a rendere popolare Oliver, che a sua volta si crogiola in queste attenzioni e preoccupazioni.
Felix invita Oliver a venire da lui, a Saltburn, una nobile villa che appartiene alla sua famiglia da generazioni. Basta una breve scena iniziale con la famiglia di Felix a descrivere le loro caratteristiche base: distaccati dalla realtà, legati alle apparenze ma soprattutto felici di aiutare il prossimo, finché esso non diventa un peso o una vergogna. Ed il “prossimo” in questo caso è proprio Oliver, come ce ne sono stati molti prima di lui.
Tutti noi siamo attratti dalla bellezza, ne desideriamo le sembianze e ne bramiamo la vicinanza.
Il primo ad esserne attratto è Oliver: un cosiddetto nerd, di quelli che al liceo nessuno guarda, se non per deriderlo. Il suo essere servile, mostrandosi debole e bisognoso, attrae coloro abituati al lusso e ad essere viziati e coccolati.
Ciò che è bello, illumina tutto intorno e ci restituisce spesso questo senso di purezza e sincerità che ricerchiamo e Felix impersona questo ideale, che chiaramente si porta dietro anche un senso di vuoto e di appagamento attraverso gli altri.
Elsbeth Catton, interpretata da Rosamund Pike, è la madre di Felix: donna nobile con un instancabile ossessione per la perfezione. Oliver saprà subito fare breccia nel suo cuore, dandole l’importanza e l’ammirazione di cui lei è dipendente. Da lì in poi, ogni componente della famiglia rivelerà le sue debolezze ad Oliver, che diventa indispensabile per la loro cura.
Più ci addentriamo nella villa e nei personaggi, più le perversioni aumentano fino ad entrare in un labirinto di peccati e peccatori. Ed esattamente come Oliver, siamo attratti da quella dimensione di opulenza. Ci appare tutto così perfetto, felice e luminoso che non ci interessa sia vero, basta che sia bello.
La debolezza più grande dell’animo umano passa dalla considerazione che l’altro ha di noi: più ne siamo dipendenti, meno saremo capaci di sfuggire alle manipolazioni di chi ci invidia.
Il film di base ha molto potenziale, il problema sta nella ridondanza: alcune situazioni e depravazioni si ripetono, fino a farti distaccare dalle dinamiche interne ai personaggi. Il tema della lotta di classe è stato trattato affondo in questi ultimi due anni e proprio per questo è molto difficile mantenere nella storia un’originalità.
In ogni caso credo esistano poche registe come Emerald Fennel, in grado di farti provare passione e compassione, in modo così forte e fastidioso, verso ogni suo personaggio.