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L’aumento del costo dell’energia e l’incertezza dei mercati non frena la crescita del fatturato delle aziende italiane. Nei primi mesi del 2022 infatti il 62,3% delle imprese registra un aumento delle vendite rispetto allo stesso periodo del 2021. La parte del leone la fanno le imprese del comparto tessile, con il 75% di aziende che registra un aumento dei ricavi che, per una su tre, è superiore al 25%. A metterlo nero su bianco è la Banca d’Italia attraverso i risultati del Sondaggio congiunturale sulle imprese industriali e dei servizi con almeno 20 addetti. Precisamente il sondaggio di Bankitalia analizza questi andamenti; variazione del fatturato, variazione del fatturato atteso, scostamento degli investimenti rispetto ai programmi, variazione dell’occupazione e risultato d’esercizio. Nel grafico in apertura, in percentuale, i risultati delle aziende relativamente ai punti sopra delineati sia per l’anno 2022 che per il 2021.
Costo dell’energia, il 46% delle imprese risponde aumentando i prezzi di vendita
Come anticipato in apertura, in piena crisi, la redditività dell’industria italiana è rimasta elevata, principalmente attraverso una strategia: l’aumento dei prezzi di vendita adottata dal 46% delle imprese del manifatturiero, seguita dalla riduzione dei margini di profitto, strategia scelta dal 27% delle aziende. Il 20% invece ha preferito rivedere i contratti di fornitura, il 17% ridurre il funzionamento degli impianti, il 16% ha sfruttato fonti energetiche alternative o autoprodotte e il 14% ha realizzato investimenti in macchinari a minor consumo energetico.
Assunzioni nel 2023, il 40,5% delle aziende prevede di aumentarle
Per il 40% delle aziende i primi nove mesi del 2022 hanno registrato un aumento delle ore lavorate rispetto allo stesso periodo del 2021. Tuttavia il 45% delle imprese non prevede che questo aumento porterà a un aumento delle assunzioni, cosa che invece progetta il 40,5% delle aziende, mentre il 14,5% opterà per una riduzione. Per quanto riguarda il reperimento delle nuove figure un’azienda su quattro ha avuto difficoltà nel trovare risorse con le competenze richieste e prevede di avere la stessa difficoltà nel 2023.
Investimenti, il 63% delle aziende li ha realizzati secondo il piano di sviluppo
Nel 2022 il 63% delle aziende ha realizzato investimenti in linea con quelli programmati alla fine dell’anno precedente. Il 19% ha investito più del previsto, mentre la percentuale dei gruppi che hanno rivisto al ribasso la spesa è del 18%. Come accennato in apertura è il settore tessile ha registrare le performance migliori, mentre la riduzione degli investimenti ha riguardato principalmente il settore dei trasporti e della logistica, comparti che hanno sentito in modo particolare il rialzo del prezzo dei carburanti. Tuttavia si registra una diminuzione anche degli investimenti delle imprese attive nel settore della comunicazione principalmente per motivi legati all’andamento della domanda.
Prestiti bancari, per il 68% delle imprese la domanda di liquidità rimane stabile
Nel primo semestre dell’anno la domanda di prestiti bancari è rimasta stabile per il 68% delle imprese mentre è cresciuta per il 19% per lo più sospinta da esigenze di finanziamento del capitale circolante e per investimenti fissi. Per quasi la totalità delle imprese le attuali disponibilità riusciranno a soddisfare le necessità operative fino alla fine dell’anno, il 71% le considera addirittura più che sufficienti.
L’impatto del Pnrr, il 57% delle aziende beneficia dei fondi “transizione 4.0”
Nel favorire l’andamento positivo degli investimenti un ruolo determinante è giocato dagli incentivi del Pnrr. Per la precisione il 57% delle imprese sta ricevendo incentivi per gli investimenti in beni strumentali afferenti al programma transizione 4.0 mentre il 53% per investimenti volti ad aumentare l’efficienza energetica e l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili. Per quanto riguarda la transizione 4.0 l’ammontare dei bonus erogati è stato di 2,2 miliardi per un importo medio di 46mila euro.
Focus costruzioni, per il 20% le linee di credito sono inadeguate
Il report di Bankitalia infine offre un focus sul settore delle costruzioni. L’indisponibilità di beni intermedi, i rincari energetici, i ritardi nelle forniture e i problemi logistici hanno interessato il 61% delle imprese del comparto edile mentre per il 20% il problema principale, nel far fronte alla crisi, è derivato dall’inadeguatezza delle linee di credito accordate e dai nodi irrisolti legati al Superbonus: come il blocco della cessione dei crediti che ha coinvolto 60mila imprese, bloccato 150mila cantieri e congelato complessivamente 100 miliardi di euro nei cassetti fiscali.
Superbonus al 90%, ecco cosa cambia con il Decreto aiuti quater
Superbonus ridotto al 90% dal prossimo anno, accesso alla agevolazioni da parte delle villette ma solo se si tratta della prima casa e con limiti di reddito. E poi tre mesi di tempo in più per finire i lavori nelle unifamiliari per chi ha raggiunto almeno il 30% dei lavori a settembre 2022, previsto anche l’intervento del governo per ridar fiato alle banche ma solo per la cessione dei crediti già in portafoglio. Questi in sintesi gli interventi del Governo Meloni con riferimento al superbonus 110% che dal 2023 con il Decreto aiuti quater passa al 90%. Queste le motivazione del presidente Giorgia Meloni: primo la distorsione sul mercato a beneficio prevalentemente dei redditi medio alti, secondo la “deresponsabilizzazione” di chi usata la copertura al 110%. Perché? Se una persona non sborsava di tasca sua non si chiedeva se il prezzo era congruo.
I dati si riferiscono al: 2021-2022
Fonte: Bankitalia