Il meccanismo previsto dal Decreto Legge “Rilancio” e dal correlato Decreto del Presidente del Consiglio, approvati domenica 17 maggio, mostra un inceppamento che era perfettamente prevedibile: ancora una volta, il tentativo (burocratico o paternalistico o illuminato che sia) di “normare” ovvero regolamentare e regolare un insieme complesso di attività.
Questa iperproduzione di interventi normativo-regolamentativi rappresenta un tentativo di “regolare la realtà”, realtà che è invece in sé multidimensionale e sfuggente: è come dire “lo spirito del Burocrate” che crede (si illude) di poter intervenire in modo strisciante e pervasivo in processi estremamente complessi.
Milioni e milioni di cittadini, in queste prime ore del nuovo corso, si stanno scontrando con queste logiche rigide, che sono state messe in atto in modo autoritario per alcuni mesi (il “lockdown” e la compressione illiberale di molti diritti fondamentali “in nome” della superiore causa sanitaria), ma che ora cozzano con la logica elementare ed il buon senso, rispetto alla tanto attesa “riapertura”.
Invece di appellarsi al senso di responsabilità del cittadino, al cosiddetto principio di auto-responsabilità, lo Stato, che continua a mostrare sfiducia totale nei confronti dell’individuo, pretende di costruire un castello di regole e regolette, che determinano lacci e lacciuoli in qualsiasi attività della quotidianità.
Alcuni esempi “a caso”: come trovare un senso (logico) alla richiesta, per i ristoratori, di tenere nota della identità dei clienti che vanno a pranzo ed a cena… previa prenotazione? A parte le problematiche di privacy, cosa debbono fare rispetto ai clienti che non prenotano?! Nessuno lo sa, e, anche se lo sapesse, probabilmente sorriderebbe…
E l’italico Stato si è reso conto di cosa significa la logica del “distanziamento sociale” (infelice formula, allorquando sarebbe preferibile utilizzare l’espressione “distanziamento fisico” o “spaziale”), applicata ai trasporti pubblici?! Ieri abbiamo assistito a scene surreali, alla fermata della Metropolitana di Piazza San Giovanni in Laterano, a Roma: centinaia di persone in ordinata fila indiana per entrare, con decine di poliziotti che presidiavano diligentemente… E chi arriva in ritardo sul lavoro – a causa dell’effetto domino dei ritardi dei mezzi pubblici – è giustificato dai protocolli Inail-Iss o dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri?
Riapertura di cinema e teatri dal 15 giugno, ma a quali condizioni?
Affrontiamo la questione della riapertura delle sale cinematografiche.
Come abbiamo già segnalato su queste colonne, il Comitato Tecnico Scientifico della Presidenza della Protezione Civile Consiglio dei Ministri, nelle sue riunioni del 4-5-6 maggio scorso, aveva segnalato al Governo che, a fronte di alcuni vincoli precauzionali, i teatri – e quindi i cinema – avrebbero potuto riaprire dalla prima settimana di giugno, ovvero da lunedì 1° giugno (vedi “Key4biz” del 12 maggio 2020, “Fase 2, quando e come riapriranno cinema e teatri”).
Il Governo ha invece alla fin fine stabilito una nuova data: lunedì 15 giugno.
I vincoli sono rappresentati essenzialmente dal divieto di avere più di 200 spettatori in sala, al chiuso, e più di 1.000 spettatori all’aperto.
Al di là della rigidità del vincolo, che non ha senso se non in rapporto alle superfici e volumetrie correlate (ma nel Comitato Tecnico Scientifico, evidentemente, non siede nessun sociologo e nessun architetto… né certamente imprenditore del settore culturale), il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di domenica 17 ha reso il tutto ancora più “preciso”, e quindi complicato.
Basti osservare che gli “Allegati” al Dpcm in questione constano di ben 120 pagine, e propongono una serie di interventi nei più variegati settori, dall’Allegato 1 che recita “Protocollo con la Conferenza Episcopale Italiana circa la riprese delle celebrazioni con il popolo” (sic… mentre l’Allegato 2 è più semplicemente intitolato, “Protocollo con le Comunità ebraiche italiane”) al controverso Allegato 17, che recita “Allegato 17. Linee guida per la riapertura delle attività economiche e produttive della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 16 maggio 2020”, che è il testo oggetto del confronto/scontro tra Stato Centrale e Regioni…
Quel che qui ci interessa analizzare è l’Allegato 9, che – da quel che si comprende dalle reazioni degli operatori del settore – è il risultato di un processo assolutamente “autocratico” del Governo, che si è limitato a recepire le indicazioni (parrebbe) del Comitato Tecnico Scientifico, regole che vanno ad integrare il divieto a superare i 200 spettatori (per sala di spettacolo) ovvero di 1.000 (per gli spettacoli all’aperto):
« Allegato 9.
Spettacoli dal vivo e cinema »
1. Mantenimento del distanziamento interpersonale, anche tra gli artisti.
2. Misurazione della temperatura corporea agli spettatori, agli artisti, alle maestranze e a ogni altro lavoratore nel luogo dove si tiene lo spettacolo, impedendo l’accesso in caso di temperatura > 37,5 °C.
3. Utilizzo obbligatorio di mascherine anche di comunità per gli spettatori.
4. Utilizzo di idonei dispositivi di protezione individuale da parte dei lavoratori che operano in spazi condivisi e/o a contatto con il pubblico.
5. Garanzia di adeguata periodica pulizia e igienizzazione degli ambienti chiusi e dei servizi igienici di tutti i luoghi interessati dall’evento, anche tra i diversi spettacoli svolti nella medesima giornata.
6. Adeguata aereazione naturale e ricambio d’aria e rispetto delle raccomandazioni concernenti sistemi di ventilazione e di condizionamento.
7. Ampia disponibilità e accessibilità a sistemi per la disinfezione delle mani. In particolare, detti sistemi devono essere disponibili accanto a tastiere, schermi touch e sistemi di pagamento.
8. Divieto del consumo di cibo e bevande e della vendita al dettaglio di bevande e generi alimentari in occasione degli eventi e durante lo svolgimento degli spettacoli.
9. Utilizzo della segnaletica per far rispettare la distanza fisica di almeno 1 metro anche presso le biglietterie e gli sportelli informativi, nonché all’esterno dei luoghi dove si svolgono gli spettacoli.
10. Regolamentazione dell’utilizzo dei servizi igienici in maniera tale da prevedere sempre il distanziamento sociale nell’accesso.
11. Limitazione dell’utilizzo di pagamenti in contanti, ove possibile.
12. Vendita dei biglietti e controllo dell’accesso, ove possibile, con modalità telematiche, anche al fine di evitare aggregazioni presso le biglietterie e gli spazi di accesso alle strutture.
13. Comunicazione agli utenti, anche tramite l’utilizzo di video, delle misure di sicurezza e di prevenzione del rischio da seguire nei luoghi dove si svolge lo spettacolo.
Le reazioni degli operatori del settore non si sono fatte attendere: la gran parte degli organizzatori di concerti ha dichiarato che, a queste condizioni, non ci sarà certamente stagione estiva di eventi musicali; altri hanno sostenuto che si potrà invece cercare di organizzare comunque una qualche iniziative.
Per quanto riguarda i teatri (inclusi gli enti lirici), considerando che peraltro la stagione verso giugno tende a concludersi, le reazioni non sono univoche, ma la gran parte ha annunciato che i sipari resteranno abbassati fino all’autunno. E sul web fioriscono infiniti commenti ironici sull’obbligo degli attori di salire in scena con la mascherina.
Lorini (Presidente degli esercenti cinematografici): “Norme irricevibili”
Per quanto riguarda specificamente i cinematografi, Mario Lorini, il Presidente dell’Anec (l’associazione nazionale degli esercenti) ha dichiarato che, a queste condizioni, la riapertura dal 15 giugno è impraticabile, perché la riduzione del numero di posti disponibili ed i vincoli introdotti determinano una anti-economicità dell’intrapresa, “ab origine”. Si tratta di “norme irricevibili”, che prefigurano una insostenibilità economica ed operativa delle imprese, sostiene Lorini.
Peraltro, nello specifico del cinema, il congelamento delle uscite “theatrical” per due o tre mesi determina che tutte le pianificazioni di marketing siano saltate, e quindi si corre il rischio di un effetto perverso: distributori che non vogliono immettere titoli in un mercato che si prevede esangue; esercenti che non sanno cosa fare (riapro? non riapro? e con quali titoli? attendo settembre?!); e sulla scena, si registrano estemporanee sortite “salvifiche”, alcune ridicole, come quelle di chi pensa che non le “arene” bensì i “drive in” possano salvare la stagione estiva del cinema italiano.
La domanda essenziale è: perché il Governo ha deciso di rimandare al 15 giugno le attività di spettacolo, che, con tutte le precauzioni del caso, potevano ripartire dal 18 maggio?
C’è una logica? No, perché evidentemente le norme di distanziamento potevano valere, da ieri, e non tra un mese, anche per i luoghi di pubblico spettacolo. Aver rimandato di un mese significa affossare ulteriormente le chance di un riavvio delle attività, con l’estate incombente.
Prudenza eccessiva ed irrazionale, non basata su un attento studio delle fenomenologie sociali.
In tutto questo gioco, come si comporteranno i nuovi “attori”, ovvero i Presidenti delle singole Regioni, che potranno gestire a fisarmonica le nuove “norme”? Attraverso “linee guida” e “protocolli” variegati, i Governatori possono aprire “di più” o semmai chiudere “di più”, secondo la loro discrezionalità (ma – sia ben chiaro – sempre sotto l’occhio vigile del Ministero della Salute, grazie ad un tardivo quanto efficacissimo “monitoraggio quotidiano”).
Si ricordi l’ambigua formulazione del Decreto Legge “Quadro”: “la Regione, informando contestualmente il Ministro della Salute, può introdurre, anche nell’ambito delle attività economiche e produttive svolte nel territorio regionale, misure derogatorie, ampliative o restrittive”.
In argomento, oggi sul “Corriere della Sera”, il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia racconta a Marco Cremonesi cosa è avvenuto nella notte tra venerdì e sabato: “venerdì le Regioni avevano chiuso un accordo con il premier Conte. Poi, sabato sera abbiamo detto di no, visto che il ruolo delle Regioni era una cosa tra le mille. Abbiamo dunque chiesto un incontro urgente, che si è concretizzato all’una del mattino. Poi, pochi minuti prima delle 3.30 di domenica, abbiamo chiuso nuovamente l’accordo con il fatto che le linee guida delle Regioni fossero un allegato del Dpcm. Peraltro, non nego sia stato un calvario avere il testo del Dpcm”. Per capirci, la querelle è stata determinata dalla esigenza di innestare nel Dpcm giustappunto… un “allegato” o meno, che interpretasse la linea delle Regioni (della maggioranza delle Regioni) “versus” quel che il Governo proponeva (forte dei pareri del Comitato Tecnico Scientifico?!).
Uno scontro epocale tra Stato centrale e Regioni, nell’imporre regole e regolette, più rigide o più lasche. Regole che si scontrano spesso – ribadiamo – con la logica elementare e con il senso comune.
Rigidità e confusione sono i concetti essenziali di questa “Fase 2” di riapertura.
Il sistema culturale boccheggia ed il Ministero della Cultura inietta sostegni assistenziali
Nel mentre, tutto il sistema culturale boccheggia, dall’industria libraria all’industria fonografica.
Tutti chiedono “aiuto” allo Stato. E va dato atto che lo Stato interviene.
Il 13 maggio 2020 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il Decreto Legge cosiddetto “Rilancio”, che contiene tra l’altro un cosiddetto “pacchetto” di norme destinate specificamente al turismo e la cultura, tra le quali il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini ha voluto segnalare due linee di intervento:
– “Fondo emergenza spettacolo, cinema e audiovisivo” aumentato a 245 milioni di euro per il 2020: le risorse dei fondi di emergenza per lo spettacolo introdotti dal decreto “Cura Italia” vengono aumentate da 130 a 245 milioni di euro. Previsto un incremento di ulteriori 50 milioni per il 2020;
– “Cinema e Audiovisivo. Sostegno all’industria cinematografica”: si potranno assegnare stanziamenti anche in deroga alle percentuali previste per i crediti d’imposta derivanti dal “tax credit” cinema, pur nel limite delle risorse individuate dalla legge di disciplina del cinema e dell’audiovisivo. Allo stesso modo, potranno essere finalizzate anche le risorse individuate per i contributi automatici e selettivi…
Come dire?! Una senza dubbio utile iniezione di danari è stata messa in atto, ovvero, per ora, annunciata, perché il Ministero dovrà presto produrre una serie di interventi, ovvero concreti decreti di attuazione, e temiamo che la macchina amministrativo-burocratica possa presto andare in tilt, per overstress di impegni regolamentativi e per overdose di istanze dei postulanti.
Torneremo presto su queste materie, ma va lamentato che non sembra che l’emergenza sia stata colta nelle sue potenzialità strategiche: poteva essere (potrebbe ancora essere) una occasione per avviare una riflessione critica sull’intervento dello Stato nel settore culturale.
Ancora una volta, invece, ci sembra finisca per prevalere la logica del “contingente” (nel caso in ispecie giustappunto l’emergenza), con interventi assistenzialistici (pur necessari, ma non sufficienti) con un “governo del sistema” piuttosto miope, di breve periodo, allorquando i processi di scardinamento provocati dai nuovi mercati digitali delle industrie culturali e creative richiederebbero una riflessione profonda e radicale su nuove “politiche pubbliche” per la cultura…
La direttiva Copyright e la campagna Siae “#404COPYRIGHT”
Una riprova della visione piuttosto miope è data da una vicenda che sta appassionando buona parte dell’industria culturale italiana, in sana effervescenza: il recepimento nelle normative italiane della discussa direttiva europea sul copyright.
È di questa mattina il comunicato diramato dall’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), presieduta da Francesco Ranieri Martinotti, che ha deciso di sottoscrivere un appello promosso dal Presidente della Siae Mogol nei confronti del Governo, per accelerare e migliorare il recepimento della direttiva europea: “come Associazione Nazionale Autori Cinematografici e ancora prima, individualmente, come autori e creatori, abbiamo deciso di sostenere, sottoscrivere e diffondere l’appello del Presidente della Siae Mogol del 6 maggio scorso, per sollecitare e rendere più efficace il recepimento della normativa europea sul “Diritto d’autore nel mercato unico digitale” senza sovrapporne uno più specifico del settore dell’audiovisivo”.
Le ragioni di questa condivisione di intenti sono basate da una sorta di “appello all’unità” del variegato mondo degli autori e creativi italiani: “riteniamo che su questo cruciale tema si debba far arrivare alle Istituzioni una voce unica e forte di tutti i creativi: dagli autori, agli adattatori, ai traduttori, agli artisti della musica, del balletto, del canto, del cinema, del teatro, della letteratura, della recitazione”. La linea è la stessa messa in atto nell’aprile del 2019, quando si votò la direttiva a Strasburgo e fu rivolto un appello a tutti gli eurodeputati italiani, al quale aderirono un gran numero di autori e attori italiani. Conclude l’Anac: “a maggior ragione, in un momento estremamente difficile come quello che stiamo vivendo, siamo fermamente convinti che per affrontare i giganti della Rete, sia più importante unire le forze per raggiungere al più presto il non facile obiettivo dell’approvazione delle nuove norme che l’Europa ha stabilito a tutela del lavoro degli autori”.
Nei giorni scorsi, le altre due più importanti associazioni degli autori italiani, 100autori e Writers Guild Italy (Wgi) avevano anche loro indirizzato una lettera a Conte e a Franceschini per stimolare il recepimento della Direttiva, ed hanno poi deciso di aderire all’appello promosso dalla Siae.
L’espressione “affrontare i giganti della Rete” sintetizza la querelle in atto: li si sta affrontando adeguatamente, in Italia, questi giganti? È sufficiente il recepimento della Direttiva (intesa dagli autori come “minimo comune denominatore” di interessi complessi), o, anche su questa tematica, sarebbe opportuna una riflessione organica complessiva, e strategica, sulle future “politiche pubbliche” per la cultura?! Una riflessione che porti ad un rinnovamento, ad una innovazione, ad una rigenerazione di queste politiche…
È partita comunque ieri anche la campagna promossa dalla Società Italiana Autori Editori (Siae) per il “sì” alla Direttiva Ue. Da Al Bano a Claudio Baglioni, da Milena Canonero ad Andrea Bocelli a Rosario Fiorello, da Paolo Sorrentino a Giuseppe Tornatore, da Carlo Verdone a Paolo Virzì: sono decine gli artisti, autori e personaggi della cultura che hanno firmato la “lettera aperta”, sul sito https://www.404copyright.it/, attivo dalle ore 12 di lunedì 18 maggio, con cui il Presidente della Siae Giulio Rapetti alias Mogol ha rivolto un appello al premier Giuseppe Conte, al Ministro per i Beni e le Attività culturali e il Turismo Dario Franceschini e al Sottosegretario con delega all’Editoria Andrea Martella “affinché venga recepita al più presto nel nostro ordinamento la direttiva europea sul copyright”. È “quello strumento che con tanta fatica noi autori abbiamo ‘conquistato’ a Bruxelles e poi a Strasburgo, strappando un testo nuovo, fondamentale, contro i giganteschi players della rete – scrive Mogol – Dal primo giorno, mi sono precipitato nelle euro-stanze a gridare: loro hanno i miliardi, noi abbiamo ragione. Perché la cultura è moltissimo nella nostra vita – e ce ne siamo accorti in questi tremendi mesi – ma la cultura, se non è ricompensata, muore”. A distanza di 24 ore dalla messa online del sito web dedicato, sono stati superati i 9.000 firmatari.
Anche questa dinamica merita essere approfondita, perché notoriamente esiste, all’interno del Governo Conte 2, una discreta asintonia tra l’approccio del Partito Democratico (favorevole alla Direttiva) e quello del Movimento 5 Stelle (tendenzialmente contrario), nella solita dialettica tra necessità di regolazione del web ed apologia di un internet miracolistico, tra contrari e favorevoli al paradigma della “disruption” che sta sconvolgendo anche gli storici assetti del sistema culturale.