Le fake news, o bufale online, le conoscono tutti. O almeno così si sente dire in giro. Se ne parla da tempo, è successo a tanti di aver condiviso una notizia falsa sui social network più popolari e purtroppo continua ad accadere. Un problema mondiale, tanto che recentemente il fondatore di Wikipedia, Jimmy Wales, ha lanciato un modello ibrido di community driven, con giornalisti e volontari che avranno il compito di andare a caccia di fake news.
C’è poi la stratup britannica Factamata che sfruttando l’intelligenza artificiale è in grado di eseguire sistemi di error checking (controllo e rilevazione degli errori) e fact checking (che nel giornalismo è la semplice e fondamentale “verifica dei fatti”) per sottoporre a verifica ogni possibile bufala del web (soprattutto nel caso che contenga dei numeri nel titolo).
Anche nel nostro Paese, dove il 4 marzo si vota per il rinnovo del Parlamento e in molti temono l’impatto e le ricadute delle fake news sulla tornata elettorale, il Ministero dell’Interno è corso ai ripari (o almeno ci ha provato), offrendo agli utenti di rete, tramite il Commissariato di Polizia di Stato online, canali per segnalare la presenza di false notizie su internet.
E proprio per le elezioni politiche del 4 marzo, particolarmente critiche per l’Italia, sotto diversi punti di vista (come conferma la cronaca, col tragico evento di Macerata di sabato), la Commissione europea ha deciso il mese scorso di fare del nostro Paese una sorta di case study, applicando il suo piano anti fake news con la nascita di una prima task force europea che avrà il compito inizialmente di monitorare la situazione.
Rimanendo in Italia, oggi sappiamo che oltre il 50% dei nostri concittadini ammette di essere caduto nel tranello delle fake news, “almeno una volta nell’arco dell’ultimo anno”.
Addirittura il 13% confessa di aver ‘abboccato’ a più di 5 notizie costruite ad arte.
Il potere persuasivo delle bufale (della cosiddetta post verità) è riconosciuto dalla maggioranza degli intervistati: per l’80% di questi le fake news condizionano l’opinione pubblica, mentre solo l’1,4% ritiene che non abbiano alcun tipo di influenza.
L’indagine, condotta da Findomestic, cerca di capire anche quale sia allora la fonte ritenuta più sicura dagli utenti di rete. Ne risulta che i siti internet sono considerati i mezzi di informazione più attendibili da quasi tre persone su dieci (29,4%); seguono la televisione (26,5%), i blog e i forum (18,1%) e i quotidiani (10,1).
I social network (7,7%), invece, sono reputati più veritieri delle radio (6,3%).
Sono soprattutto i più giovani a fidarsi dei siti Internet: quasi il 36% nella fascia tra i 18 e i 24 anni. I quotidiani, invece, registrano il massimo tasso di credibilità (20,5%) tra gli over 60.
Cosa fare allora per evitare di rimanere imbrigliati nella rete dei generatori di bufale online? Per mettere in pratica il cosiddetto ‘fact checking’, il 71,2% controlla se la notizia è riportata anche su altre fonti e il 66,6% valuta la fonte da cui proviene la notizia.
In linea generale, un intervistato su 2 si esprime a favore di un ‘controllo’ che certifichi che cosa è vero e che cosa no (meglio se ad opera di un ente imparziale), ma il 39% si dice contrario all’introduzione di controlli troppo severi, affermando di voler evitare ‘censure’ e di preferire che sia il cittadino a sviluppare e/o rafforzare la capacità di saper distinguere cosa è attendibile da cosa non lo è.