Facebook non produce e non produrrà contenuti. Si limita – e continuerà a farlo – a “creare gli strumenti” che consentono ai suoi utenti di avere l’esperienza informativa più adatta alle loro esigenze private e di business. È quanto ha affermato ieri Mark Zuckerberg davanti agli studenti della LUISS, intervenendo su una questione che ha fatto molto discutere nei mesi scorsi e che ha avuto nuovi risvolti nelle ultime ore, con il licenziamento dell’intero team editoriale – una quindicina di persone – che si occupava di scrivere i testi che descrivono le notizie che compaiono nella sezione Trending Topics. Persone che, dunque, sostiene Facebook, non si occupavano di ‘scegliere’ i contenuti da fa comparire (o scomparire) nella sezione, essendo questo compito svolto da un apposito algoritmo e mai determinato da una vera o presunta linea editoriale dettata dall’alto.
Nel team dei Trending Topics, quindi, resteranno ora solo tecnici che si occuperanno di controllare che le notizie estrapolate dall’algoritmo siano rilevanti per gli utenti.
Un compito non facile, come dimostra il caso scoppiato nelle ultime ore da una falsa notizia sulla giornalista Fox News Megyn Kelly apparsa e poi subito rimossa dai Trending Topics.
Come non facile è il compito di veicolare informazioni degne di nota in maniera del tutto neutrale senza farsi ‘tentare’ – anche nel corso della programmazione ‘umana’ di un algoritmo – dalla voglia di eliminare qualche contenuto o farne salire qualcun altro in alto nella classifica delle notizie di tendenza.
Quel che è certo, ha ribadito ieri Zuckerberg, è che il social network non ambisce a diventare produttore di media. Affermazione che comunque non può non farci pensare a quanta influenza abbia il social network sul nostro modo di informarci e, quindi, sulle conseguenze di questa influenza. Già adesso Facebook è un mezzo determinante per la fruizione dei contenuti prodotti dai media tradizionali e sono sempre di più le persone che si informano quasi esclusivamente attraverso il social network. La piattaforma, lo ricordiamo, raggiunge ogni giorno un pubblico di oltre 1 miliardo e 600 milioni di persone e non può quindi essere paragonata per portata mondiale a nessun altro media.
In Italia più di 28 milioni di persone usano Facebook ogni mese. Questo significa che più dell’80% delle persone con accesso ad Internet in Italia è presente sul social network, così come sono presenti con le loro news tutti i principali quotidiani e mezzi di informazione non solo italiani.
E’ per questo che hanno fatto tanto discutere le indiscrezioni – diffuse da Gizmodo – secondo cui non sarebbe un algoritmo a decidere quali news debbano comparire nella sezione notizie popolari di Facebook, ma una vera e propria redazione – ormai licenziata – che avrebbe eseguito le scelte (o le imposizioni) della società.
Eventualità prontamente negata dallo stesso Mark Zuckerberg che in un post sulla vicenda ha spiegato che “non ci sono prove della veridicità” di queste affermazioni.
“Prima di internet, i media erano la stampa, la tv…i giornali avevano diverse visioni e ognuno faceva le sue scelte. Ora potete connettervi dai quattro angoli del mondo e molti amici su Facebook condivideranno la vostra opinione o no, a seconda delle loro idee o del loro background. Una prospettiva diversa rispetto a un canale tv. Il mondo ha bisogno dei media ma anche di Facebook e del suo ruolo sociale”, ha detto ieri Mark Zuckerberg che ha anche annunciato che Facebook donerà 500.000 euro alla Croce Rossa sotto forma di ADS che potranno essere utilizzate sulla piattaforma per promuovere le attività di cui c’è maggiore bisogno: ricerca di volontari, richiesta di donazione di sangue, mettersi in contatto per le persone che hanno bisogno di un posto in cui stare. Una decisione – quella di non donare soldi ma spazi pubblicitari – che ha fatto storcere il naso anche se non tutti i media l’hanno riportata in questo senso, soffermandosi soltanto sulla cifra che in apparenza sarebbe stata donata. Ma tant’è, non era né scontato né obbligatorio un simile passo. Quindi, comunque, onore al merito.
Nessun accenno, invece, alla polemica – dai risvolti ben più ‘pesanti’ – sull’acquisizione da parte di Facebook dei dati di Whatsapp, in primis contatti e numero del cellulare, per scopi pubblicitari.
Un annuncio che ha messo in guardia anche il Garante privacy italiano ma che certo non arriva inatteso. Era inevitabile infatti che prima o poi Facebook decidesse di monetizzare l’investimento di 19 miliardi di dollari in Whatsapp. Certo è che questo la dice lunga sul potere di Mark Zuckerberg, ragazzo in apparenza dimesso che ha fatto del jeans&maglietta la sua divisa e che nel suo viaggio in Italia accompagnato dalla moglie è stato accolto con tutti gli onori prima da Papa Francesco poi dal premier Matteo Renzi. Un ragazzo che – lasciato libero di farlo – è in grado di conoscere veramente ogni minimo dettaglio delle nostre vite.