Sanzione dimezzata per Facebook. Non 10 milioni di multa, come decisa dall’Antitrust a fine 2018 per due violazioni del Codice del consumo, ma di 5 milioni per non aver comunicato chiaramente agli utenti l’uso commerciale dei dati. Invece, non è scattata la seconda multa di altri 5 milioni sul meccanismo di trasmissione dei dati degli utenti dalla Piattaforma ai siti web/app di terzi e viceversa.
Multa a Facebook da 10 a 5 milioni
L’ha deciso il Tar del Lazio con due sentenze di accoglimento parziale di altrettanti ricorsi proposti da Facebook Ireland e della sua controllante Facebook.
Perché la multa di 5 milioni? Per l’ingannevole mancata informazione agli utenti delle finalità commerciali dei dati
La prima pratica – sanzionata con 5 milioni di euro dall’Antitrust e confermata oggi dal Tar – riguarda la fase di registrazione dell’utente e consisteva nel rilascio di un’informativa ritenuta poco chiara e incompleta, giacché, fino al 15 aprile 2018, l’utente che accedeva alla homepage di Fb per registrarsi, a fronte di un claim sulla gratuità del servizio offerto, non trovava un evidente e chiaro richiamo sulla raccolta e uso a fini commerciali dei propri dati.
Il Tar ha, infatti, ritenuto che “il provvedimento ha fornito una puntuale motivazione, supportata da un’adeguata istruttoria, sulla carenza di sufficienti informazioni, nel processo di registrazione, circa il valore commerciale dei dati e allo scopo commerciale perseguito”; il giudizio di ingannevolezza della condotta, quindi, “si sottrae ai vizi denunciati, risultando corretta la valutazione della Autorità circa l’idoneità della pratica a trarre in inganno il consumatore e a impedire la formazione di una scelta consapevole, omettendo di informarlo del valore economico di cui la società beneficia in conseguenza della sua registrazione al ‘social network'”. Per questi motivi il Tar ha confermato la sanzione di 5 milioni.
Perché non confermata la seconda multa di 5 milioni
Quanto alla seconda pratica, invece, per i giudici “la ricostruzione del modello di funzionamento del meccanismo di integrazione delle piattaforme riportata nel provvedimento sconta dei travisamenti in punto di fatto che inficiano la correttezza del percorso motivazionale seguito dall’Autorità”; e, alla fine, il provvedimento Antitrust “si palesa illegittimo in ragione di vizi di cattiva ricostruzione del funzionamento dell’integrazione delle piattaforme e dell’assenza di elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza di una condotta idonea a condizionare le scelte del consumatore”.
La conclusione è che il provvedimento sanzionatorio è stato annullato limitatamente alla seconda pratica contestata, con la conferma per la prima pratica commerciale, e quindi con la sola sanzione di 5 milioni di euro.
“Quella del Tar è una pronuncia di assoluto rilievo perché afferma in modo esplicito il valore economico del dato personale ed il fatto che esso possa rappresentare la controprestazione di un contratto. La sentenza riconosce che i servizi ‘gratuiti’ della società dell’informazione sono in realtà pagati con i nostri dati, con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo della tutela del consumatore. Si tratta di un provvedimento che riconosce, sia pure parzialmente, che l’intuizione, apparsa a molti ardita, che ebbe la nostra autorità Antitrust era giusta: una pratica commerciale scorretta può avere ad oggetto la raccolta di dati personali. Il Tar non ha riconosciuto invece sussistente l’aggressività della pratica rispetto alle modalità con cui Facebook preautorizzava il trasferimento dei dati ad applicazioni terze sulla base del fatto che l’utente conservava comunque un controllo sufficientemente informato”, ha spiegato a Key4biz l’avv. Marco Scialdone, docente di diritto e mercati dei contenuti e servizi online presso l’Università Europea di Roma.