Forse anche l’ultima copia del New York Times sarà ricordata come l’età dell’oro dei giornali. L’accordo che sta stringendo Facebook con i grandi quotidiani americani, insieme ai maggiori integratori di notizie come Buzzfeed, sembra chiudere la partita della stampa tradizionale (www.mediasenzamediatori.org).
Oltre a modificare anche la meccanica storica della navigazione in rete. Non è più il link l’atto che guida la nostra attività. Un atto per quanto indotto e stimolato che rimane di nostra esclusiva sovranità. Forse troppo sovrano. Facebook lo sostituisce con un ulteriore automatismo che ci dispensa dallo scegliere, dal cliccare, pensa tutto l’algoritmo. Che seleziona e aggancia i contenuti trasferendoli, automaticamente sulla nostra pagina. Ma questo nuovo modello è spinto da un altro fenomeno che trasformerà l’ecosistema dell’informazione.
Il social network di Mark Zuckerberg piomba sulla crisi dell’editoria globale e si candida a diventare l’unica grande edicola del pianeta, una grande postino che ci recapiterà sui nostri device la rassegna delle notizie del mondo. Uno ad uno. Ad ognuno la sua.
Facebook, automaticamente, come abbiamo detto, ci proporrà una combinazione di informazioni, commenti, filmati, approfondimenti, che appariranno sul lato destro della nostra pagina, mentre commentiamo o dialoghiamo con un nostro amico. In quel momento lampeggeranno le notizie, che si intrufoleranno nelle nostre chiacchiere.
Ma quali notizie saranno distribuite? Quelle dei giornali e dei siti che aderiranno all’intesa, si risponde. Ma tutte quelle dei giornali e delle Tv? No, impossibile, solo quelle che corrisponderanno al profilo che Facebook si è fatta di noi. Ancora più dettagliatamente: solo quelle che potranno coincidere con il nostro stato d’animo, con il sentiment, che è stato colto e percepito dal social network.
L’informazione non sarà più identità, o opinione condivisa, ma flusso personalizzato, separato, occasionale.
In sostanza ognuno di noi leggerà un proprio giornale, unico e diverso da tutti, composto secondo quello che Facebook riterrà essere il nostro gusto e bisogno. Ognuno leggerà quello che in qualche misura già sa, o si attende. Non ci sarà più quel sortilegio che crea la magia dei media: io scopro, inciampo, sono sorpreso da qualcosa che non immaginavo. Non ci sarà più la serendepity.
Il Grande Fratello al confronto è Madre Teresa di Calcutta.
Certo che i giornali continueranno ad esistere, e che anche le Tv continueranno a trasmettere i propri programmi. Ma chi li vedrà o leggerà? Chi si staccherà dalla rete per investire tempo e attenzione per sfogliare 44 pagine o guardarsi per un’ora un talk in tv? Chi uscirà dalla piazza virtuale per isolarsi in una pagina?
Mentre invece aumenterà la pervasività dei social. Ognuno di noi trasferirà nelle pieghe della rete altre porzioni del proprio tempo vitale, cercheremo sempre più di ottimizzare il tempo produttivo incastrandolo con sprazzi di tempo formativo. E’ questo lo scenario che attende e promuove Facebook. In questo ambiente dove la velocità di relazione in rete non consentirà di scendere dalla giostra, si formerà una domanda di integrazione totale di tutti i contenuti su una sola pagina.
Del resto il trend è già sotto i nostri occhi. Gli integratori di notizie superano i singoli media.
Google News per questo è esploso, e per questo Buzzfeed surclassa i singoli quotidiani? Cambia la dinamica del consumo di notizie, cambia perfino la modalità di acquisizione l’atto stesso del leggere, che viene sostituito dal frenetico compulsare degli occhi delle bacheche laterali alle pagine che stiamo “trattando”.
Su questo scenario bisognerebbe ragionare. Ricordiamoci che la storia ci dice che la stessa idea di stato e di democrazia occidentale prende corpo proprio con la diffusione del giornale come veicolo, separato e complesso, delle opinioni. Opinioni che formano poi quel senso comune che anima l’identità nazionale e la stessa dialettica democratica. Se mutano gli strumenti non potrà non mutare l’ambiente e la conseguenza istituzionale.
La tendenza è inesorabile, l’epilogo forse meno scontato.
Pensiamo ad eventuali alternative.
Buzzfeed, mentre aderisce all’intesa con Facebook, si organizza per la sopravvivenza. E ci propone, non so quanto volontariamente, uno spiraglio.
La sua nuova divisione Distribuited Content annuncia che lavorerà trasversalmente su tutte le piattaforme, smistando i suoi pacchetti di contenuti e di spigolature d’attualità lungo tutta la rete. Inseguendo i suoi utenti attraverso il browsing quotidiano. Una formula che potrebbe essere localmente dettata ai media nazionali: quotidiani o televisioni potrebbero, da subito, imboccare la strada di Buzzfeed, affinando formule di interoperabilità delle piattaforma nazionali.
In caso contrario vincerà la directory unica. Sarà Facebook a decidere le combinazioni e le impaginazioni dei contenuti che rimarranno di proprietà dei giornali, ma che verranno prestate al social network per fornirci continue rassegne stampa, a condizione che veicolino anche la pubblicità dei giornali.
In questo accordo sulla pubblicità rintracciamo una chiave di lettura del nuovo accordo: Facebook rinuncia al cash della pubblicità, lasciandola ai moribondi media tradizionali perché gioca tutto sul big data individuale dei suoi centinaia e centinaia di milioni di utenti. Big data che le permetteranno di attivare una sorta di telepatia mondiale: interpretando, decifrando, anticipando persino le nostre intenzioni.
Siamo proprio nel centro del Cerchio di Eggers, il romanzo che ha spopolato negli Usa l’anno scorso e che racconta l’ossessivo controllo della vita sociale da parte di un unico social network che ingoia tutti gli altri.
Chi grida il Re è nudo?