Nei prossimi giorni Facebook consentirà di nuovo agli utenti in Australia di leggere e condividere le news. Sembra una buona notizia, ma leggendo l’accordo raggiunto tra la società (è intervenuto Mark Zuckerberg in persona) e il ministro delle Finanze, Josh Frydenberg, si comprende che né il governo di Canberra né gli editori nazionali e locali sono i vincitori della battaglia per obbligare le big tech a pagare nel Paese un equo compenso agli editori per le news condivise sui social o utilizzate dai motori di ricerca.
Perché Facebook ha accettato di ripristinare le news in Australia?
Facebook ha accettato di togliere il ban alle news, scattato la scorsa settimana, perché ha ottenuto dal governo australiano l’eliminazione di un punto dolente dal disegno di legge che punta ad introdurre, entro questa settimana, il codice di contrattazione dei media.
Ecco il compromesso, sarà Facebook a decidere gli editori da pagare e a definire il prezzo. Prendere o lasciare. È stato, quindi, cancellato il ricorso a un arbitro terzo per decidere l’equo compenso in assenza di accordo con gli editori.
Il compromesso
“Abbiamo concordato una soluzione che ci permetterà di sostenere gli editori che noi scegliamo, inclusi quelli minori e locali. Il governo ha chiarito che noi potremo mantenere la capacità di decidere quali notizie compaiono di Facebook, quindi non saremo automaticamente soggetti a negoziati obbligatori”, ha spiegato, con soddisfazione, il vicepresidente di global news partnership di Facebook, Campbell Brown.
L’accordo è favorevole agli editori?
E gli editori sono, invece, soddisfatti?
In questo video il ministro delle Finanze, Josh Frydenberg, afferma che “Facebook si è impegnata ad avviare negoziati in buona fede con le aziende dei media australiani per raggiungere accordi per il pagamento dei contenuti”.
I negoziati che Facebook avvierà con gli editori saranno caratterizzati dalla buona fede?
Come riportato da Sidney Morning Herald, gli emendamenti alla proposta di legge consentirebbero di non applicare la nuova norma a Facebook e a Google, qualora le società siano in grado di dimostrare al governo di aver raggiunto abbastanza accordi con gli editori.
Stessa norma della Francia, editori preoccupati: “Senza arbitrato, non abbiamo la forza di spuntarla negli accordi con Google e Facebook”
La norma che l’Australia si appresta ad approvare è la stessa in vigore in Francia, dove Google ha raggiunto un accordo con l’Apig, l’Alleanza della stampa francese.
Ma gli stessi editori francesi, aderenti al deal con Google, riporta la CNN, temono, che senza un meccanismo di arbitrato, la stampa “non possa avere la forza economica per negoziare accordi equi ed equilibrati con queste società tecnologiche gatekeeper, che altrimenti potrebbero minacciare di abbandonare i negoziati o uscire completamente dai mercati”.
Big Tech ancora più potenti, decidono quali notizie mostrare agli utenti: saranno editori senza responsabilità
Dunque in Australia e in Francia Facebook e Google dovranno pagare per utilizzare le news sulle loro piattaforme. Ma acquisiranno ancora più potere. Saranno loro a scegliere le notizie, e il relativo prezzo, da mostrare sui social e nei risultati del motore di ricerca.
Saranno editori senza responsabilità. I giornali che non giungeranno ad un accordo scompariranno da Facebook, Google, Twitter. E per evitare questo ban saranno costretti ad accettare il prezzo imposto dai Big Tech.
E in Italia?
Nel nostro Paese non sono stati definiti accordi tra Big Tech ed editori come precede la direttiva europea sul copyright, perché il nostro Parlamento ancora non l’ha recepita. L’Italia deve recepirla entro il 7 giugno 2021. Nel frattempo la vicepresidente dell’Ue e commissaria alla concorrenza, Margrete Vestager, ha smentito, nell’intervista a la Repubblica, di snaturare il Digital Service Act per introdurre una legge come quella australiana.
Vestager: “Il DSA senza norme per far pagare le news ai Big Tech. C’è già la direttiva copyright”
“Abbiamo già trattato questo argomento nella direttiva sul copyright. È importante disporre di questa direttiva ed è importante che gli Stati membri la recepiscano nella legislazione nazionale…Ma non ha senso affrontare di nuovo il tema con una legge completamente diversa”, ha affermato Vestager.