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Facebook, per il Guardian se fosse uno stato sarebbe la Corea del Nord

“Facebook è fuori controllo. Se fosse un paese sarebbe la Corea del Nord”. Questo l’editoriale durissimo pubblicato sul Guardian secondo cui non c’è alcun poter a questo mondo che sia in grado di mettere le briglia a Facebook. Nessuna legge, nessuna agenzia, nessun regolatore. Il Congresso Usa ha fallito, la Ue ha fallito, la Federal Trade Commission (FTC) ha multato per 5 miliardi di dollari il social network, per il suo ruolo nello scandalo Cambridge Analytica, ma il valore del titolo invece di calare è aumentato.

Il boicottaggio  

Ma oggi se il boicottaggio di Facebook da parte di alcuni dei principali brand mondiali – fra cui Unilever, Coca Cola e Starbucks – ci riusciranno, sarà perché avranno colpito l’unica cosa che Facebook capisce: il suo rendiconto economico. Se falliranno, si tratterà di un ulteriore spartiacque. Secondo il Guardian, Facebook non è uno specchio della società, ma una pistola senza licenza – non è soggetta a leggi né controlli – e si trova nelle mani e nelle case di 2,6 miliardi di persone, infiltrate da genti sotto copertura che agiscono per conto di stati nazione, un laboratorio per gruppi che apprezzano gli effetti dell’olocausto e che credono che il 5G   frigga le nostre onde cerebrali mentre dormiamo.  

La gente spesso dice che Facebook, se fosse un paese, sarebbe più grande la Cina. Ma secondo il Guardian l’analogia è sbagliata. Se fosse un paese, sarebbe uno stato  canaglia. Sarebbe la Corea del Nord. E non è come una pistola, ma come un’arma nucleare.

Accuse di dittatura

Il quotidiano accusa il social media di essere una sorta di dittatura, un impero globale in mano ad un singolo uomo. Che ha semplicemente deciso di non ascoltare chi lo critica, continuando a spargere propaganda anche se controlla i principali canali di distribuzione di notizie. E allo stesso modo che gli abitanti della Corea del Nord non sono in grado di agire al di fuori dello stato, sembra quasi impossibile al giorno d’oggi di essere vivi e di condurre un’esistenza senza Facebook, WhatsApp e Instagram.

Dopo il mega boicottaggio subito da 500 fra le maggiori aziende globali a causa della mancata condanna delle parole di Trump sugli scontri razziali in atto negli Usa, pare che il danno per Facebook sia stato alla fine limitato al 5% dei ricavi globali. Tanto che Zuckerberg, che non è il leader nordcoreano Kim Jong-un (è molto più potente) abbia detto che presto le aziende transfughe torneranno- sulla piattaforma. Facebook più grande del capitalismo stesso?

Il caos di Facebook dopo il caso Trump

Facebook è stato pesantemente criticato, anche dai suoi stessi dipendenti, dopo la decisione del suo CEO di non rimuovere alcuni post del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sulle proteste contro il razzismo dopo l’uccisione di George Floyd.

Gli stessi contenuti su Twitter erano stati invece segnalati come inappropriati e pericolosi.

Pubblicità politica al bando sui social media?

La pubblicità politica è messa al bando sulla televisione e la radio tradizionale, e lo stesso divieto dovrebbe vale anche per Facebook a meno che le cose non cambino.

E’ questa la posizione del Guardian, secondo cui da quando Facebook ha cominciato a dominare il panorama della nostra democrazia la compagnia si è sempre schierata dalla parte sbagliata della storia.

Il social media non può essere riformato dall’interno perché il suo business model trae profitto dall’ospitare circhi mediatici che gettano bombe di odio, falsità e non sense.

Il potere dell’algoritmo

L’analisi del Guardian continua imputando alla piattaforma di raccogliere i dati personali degli utenti per raccomandare in base all’algoritmo certi contenuti ma di non fare nulla per impedire ai suoi membri di diffamarsi a vicenda pur tenendo alta la loro attenzione. Il che non è un bene per la società, ma è certamente un bene per Facebook. Di certo, è un bene per il suo fondatore Mark Zuckerberg, un uomo che da solo vale 85 miliardi di dollari.

Ricavi salvi

L’ultimo spiacevole episodio nella storia di Facebook riguarda il boicottaggio nei suoi confronti da parte di alcuni dei brand più importanti del mondo, che hanno abbandonato la piattaforma rea di essersi rifiutata di mettere al bando contenuti razzisti e violenti. L’azienda se l’è poi cavata con la solita rassicurazione al bromuro che la questione è stata presa sul serio. Internamente le cose sono andate diversamente. I boicottatori, ha detto Zuckerberg, ritorneranno e per questo Facebook “non avrebbe cambiato le nostre policy…a causa di una minaccia a una minima percentuale dei nostri ricavi”.   

Per inciso, gli italiani sono favorevoli al boicottaggio di Facebook. Secondo una ricerca di Kantar per Iab, il 79% di chi naviga in Rete e ha sentito parlare del boicottaggio è favorevole. Intanto, le aziende che hanno sospeso la pubblicità sul social sono più di 500.

In America

In America, continua il Guardian, c’è l’idea che il capitalismo sistema le cose. Nel Regno Unito, di solito interviene il governo. La camera dei Lord ha selezionato un comitato sulla democrazia e le tecnologie digitali la scorsa settimana secondo cui è corretto dire che è un errore consentire alle compagnie di social media di crescere scevre da vincoli regolatori.  Servono regole e paletti, secondo i pari d’Inghilterra, per arginare i social media a maggior ragione dopo il Covid-19. Durante la pandemia le fake news hanno rappresentato una minaccia non solo alla nostra democrazia ma anche alle nostre vite.

Vincoli necessari

A Facebook non si può quindi permettere di restare al di sopra dei vincoli validi per tutto il resto della società.

Il messaggio della Camera dei Lord è arrivato all’autorità britannica per la concorrenza, che ha proposto di dare ai consumatori una scelta se accettare la pubblicità profilata e targettizzata, suggerendo inoltre di cancellarla.  

Il comitato scelto della Camera dei Lord ha inoltre elogiato il governo per aver proposto un framework giuridico sul danno online, richiedendo ai social media di proteggere gli utenti e sanzionando coloro che non lo fanno, punendo così chi ad esempio ci mette troppo tempo a rimuovere materiale offensivo.

Decisioni tardive

Tuttavia, i ministri sono stati tardivi nel portare avanti l’iter legislativo e perciò non ci sono norme che impongono alle piattaforme social l’obbligo di proteggere da campagne di disinformazione gli utenti che voteranno.

Un provvedimento del genere sarebbe in conflitto con la “neutralità” di Facebook. L’approccio pratico dell’impresa significa che non prosciugherà la sua palude di razzismo, misoginia e cospirazione.

In un discorso dello scorso mese di ottobre, Zuckerberg aveva segnalato in maniera controversa che gli interessi di Facebook sono in linea con quelli di Donald Trump. Il fondatore di Facebook aveva detto che non è giusto censurare i politici e Trump è sempre stato più morbido con Facebook rispetto ai suoi concorrenti.

Ma questo giochino si sta svelando

Di fronte al crescente malcontento nei confronti della retorica accesa di Trump, il social network ha rimosso una pubblicità di Trump che usava un simbolo dell’era nazista.

Inoltre, Facebook comincerà a permettere agli utenti di rifiutare con l’’opt out’ la visione di pubblicità politiche. Nel Regno Unito Facebook viene ancora utilizzato per diffondere false notizie politiche. E lo fa nella consapevolezza che gli algoritmi del network risputano fuori, usando le parole dei suoi stessi ricercatori, “contenuti sempre più divisivi in uno sforzo di guadagnare l’attenzione degli utenti e di aumentare il tempo speso sulla piattaforma”.

Per questo c’è una facile soluzione. Il Regno Unito mette al bando tutta la pubblicità politica da televisione e radio. E a meno che aziende come Facebook non cambino radicalmente, dovrebbe essere tempo di estendere il divieto ai social media.

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