I confini tra privacy, sicurezza e nuove tecnologie sono sempre più sfumati, come dimostra il ben noto caso Apple vs. FBI. Ma non è quello l’unico caso in cui una società hi-tech finisce nel mirino per il rifiuto di fornire dati degli utenti agli inquirenti. Spesso però si tratta, come abbiamo visto nel caso di Apple e come vedremo per Facebook, di quelle stesse aziende che con i dati degli utenti fanno soldi a palate, collezionandoli e rivendendoli a terzi per fini pubblicitari.
Ma veniamo alla cronaca: è notizia delle ultime ore che in Brasile il vicepresidente di Facebook per l’America Latina, Diego Dzodan, è stato arrestato per non aver eseguito l’ordine di un tribunale volto a ottenere la collaborazione della società in un’indagine su un traffico di stupefacenti che coinvolge un utente Whatsapp. Comportamento encomiabile, di sicuro, ma in capo alla stessa società (anche se Whatsapp è operativamente separato da Facebook) che in Germania è accusata di “illecita imposizione di condizioni inique agli utenti”, in un’indagine che per la prima volta è condotta non dal garante privacy ma dal Bundeskartellamt, ossia l’Autorità tedesca garante della concorrenza.
In sostanza, secondo l’Antitrust tedesco, i termini e le condizioni che gli utenti sottoscrivono e che permettono a Facebook di collezionare i loro dati per fini pubblicitari, sarebbero troppo complicati da comprendere.
L’Autorità sta quindi cercando di stabilire se esiste un nesso tra questo abuso e il predominio di Facebook sul mercato tedesco dei social media, di cui il gruppo di Zuckerberg controlla l’80%. Se così fosse ci sarebbe non solo una violazione della legge sulla protezione dei dati ma anche una pratica illecita sotto il profilo antitrust.
Un’indagine che segna un netto cambiamento di approccio nell’applicazione delle leggi sulla privacy. Sarebbe infatti la prima volta che si lega il tema della tutela della riservatezza dei dati degli utenti con la posizione dominante di un’azienda sul mercato di riferimento.
Portando il presunto illecito sotto la sfera dell’antitrust l’autorità tedesca spera quindi di aggirare la tesi di Facebook secondo la quale la società è soggetta esclusivamente alla competenza dell’autorità per la protezione dei dati irlandese, dove si trova la sua sede internazionale.
L’Autorità garante della concorrenza gode di poteri sanzionatori e risorse più ampie rispetto al Garante privacy: una multa di quest’ultima potrebbe solo solleticare le casse di Facebook, limitandosi al massimo al 4% del fatturato annuo. L’antitrust può invece arrivare fino al 10%
“Per i servizi internet finanziati dalla pubblicità come Facebook, i dati degli utenti sono una risorsa estremamente importante e per questa ragione è essenziale anche esaminare anche sotto la prospettiva di abuso di potere di mercato se i consumatori sono informati a sufficienza sul tipo e la quantità dei dati raccolti” ha spiegato il presidente del Bundeskartellamt, Andreas Mundt.
Facebook, dal canto suo, si è detto sicuro della liceità del suo operato e pronta a collaborare con le Autorità.
La Germania non è l’unico paese europeo che ha messo Facebook nel mirino, anche se è il primo che ha scelto questo approccio.
In Francia il Garante Privacy ha intimato al social network di conformarsi entro massimo tre mesi alla legge nazionale ‘Informatica e Libertà’: di fermare, cioè, il monitoraggio dei dati di navigazione degli utenti che non hanno un profilo e di bloccare alcuni trasferimenti di dati personali verso gli Stati Uniti.
È stato inoltre richiesto di dare agli utenti la possibilità di opporsi alla combinazione dell’insieme dei loro dati a fini pubblicitari.
Anche il Garante Belga ha intimato alla società di bloccare il monitoraggio degli internauti che non possiedono un profilo, sottolineando che Facebook spia gli utenti al pari della National Security Agency, senza alcuna spiegazione o autorizzazioni sufficienti.