Non è un modo per mostrarsi più trasparente e collaborativo con gli Stati in cui elude le tasse, ma Facebook ha annunciato che dal 2018 inizierà a pagare le tasse nei Paesi in cui guadagna dalle inserzioni pubblicitarie (non per tutti i ricavi, quindi), perché è costretta. Infatti, come scrive Bloomberg, negli Stati Uniti la società è alle prese con una causa legale intentata dall’Internal Revenue Service (Irs), l’equivalente dell’Agenzie delle Entrate italiana, che le contesta di aver trasferito nel 2010 tutte le operazioni globali in Irlanda. Questa ‘mossa’, in caso di condanna del giudice, potrebbe costare alla compagnia più di 5 miliardi di dollari.
Ma il social network più popolato al mondo è alle strette anche in Italia, dove è quasi imminente l’approvazione della web tax, bisogna solo attendere l’approvazione definitiva entro Natale della Legge di Bilancio 2018 per conoscere l’entrata in vigore della norma, dal 2019, come è stato votato in prima lettura dal Senato o dal 2018, come si augura Francesco Boccia (PD), che ha così commentato la decisione di Facebook: “Bene che ha deciso di passare con una decisione globale ad una ‘struttura di vendita locale’, iniziando così a contabilizzare i ricavi pubblicitari nel Paese in cui li realizza. Auspico che questo accada per tutti i ricavi; è l’accettazione, nei fatti, del concetto di stabile organizzazione che, al tempo dell’economia digitale resta la strada maestra per garantire equità fiscale tra mondo online e offline”. “In sede di legge di Bilancio”, ha concluso il presidente della commissione Bilancio della Camera, “ci adopereremo per dare maggiori strumenti per accertare la stabile organizzazione di tutte quelle multinazionali del web che continuano a dichiararsi nel nostro Paese non stabile organizzazione, continuando ad eludere il fisco italiano”.
E in attesa di conoscere bene il perimetro della web tax all’italiana c’è chi ipotizza già la nuova pratica che Facebook potrebbe utilizzare per realizzare un’elusione fiscale: attraverso il cosiddetto “transfer pricing”. Come scrive il Post potrebbe accadere questo: “Visto che le imposte si pagano sugli utili, cioè su quanto una società guadagna tolte le spese, tramite i “transfer pricing” si cerca di eliminare completamente questa voce dal bilancio. Per farlo, sarà sufficiente che la società che ha sede nel paese con alta imposizione fiscale (ipotizziamo che sia Facebook Italia) acquisti dalla società che ha sede nel paese con tasse basse (Facebook Ireland) servizi per un importo pari agli utili che ha raccolto in Italia. In questo modo l’utile, cioè il guadagno, viene completamente spostato in Irlanda, dove sarà tassato in base all’aliquota locale”.
Non sappiamo ora se la società del social network blu ricorrerà a questo stratagemma, nel caso non passerebbe inosservato agli occhi di Lady Antitrust, il commissario Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager, che sta vincendo il braccio di ferro con Apple e l’Irlanda e, di recente, ha avvertito anche l’Ocse: “Se non darà una risposta entro la prossima primavera faremo da soli sulla web tax”.
Facebook, quindi, con la sua decisione di iniziare dal 2018 a pagare le tasse nei Paesi in cui guadagna dalle inserzioni pubblicitarie si sta semplicemente preparando in anticipo a mettersi in regola.