Dopo lo scoppio del caso Google, anche Facebook decide di invertire la marcia e accogliere la richiesta di dichiarare nel Regno Unito i ricavi pubblicitari fatturati grazie ai clienti britannici.
Il gruppo lo ha annunciato oggi, spiegando che dal mese prossimo le revenue non saranno più traghettate in Irlanda, come accadeva finora, per avvantaggiarsi di una tassazione molto più soft (12,5% circa l’imposta sulle società contro il 20% previsto nel Regno Unito).
Il social network più popolare del mondo aveva sollevato una forte protesta quando era emerso che nel 2014 aveva pagato in UK solo 4.327 sterline di imposte (5600 euro), vale a dire molto meno rispetto alla quantità media di tasse e contributi previdenziali versati da un solo lavoratore britannico.
Facebook non ha tuttavia precisato l’ammontare delle somme che saranno tassate. Il dato certo si avrà solo nel 2017. Secondo la BBC si tratterebbe di milioni di sterline.
Tra i clienti britannici di Facebook ci sono grandi brand come i supermercati Tesco e Sainsbury’s, ma anche il gigante dell’agroalimentare Unilever e il gruppo pubblicitario WPP.
Le nuove misure non comprenderanno invece i marchi più piccoli per i quali Facebook continuerà a fatturare in Irlanda.
La decisione di Facebook arriva sulla scia dello scoppio del caso Google in Gran Bretagna.
A fine gennaio la compagnia di Mountain View ha, infatti, annunciato d’aver raggiunto un accordo da 172 milioni di euro col fisco britannico.
Una somma che il partito laburista e parte dei conservatori hanno definito irrisoria, rispetto ai grandi profitti che Google genera nel Paese e l’Antitrust Ue ha deciso di indagare per escludere che si tratti di un aiuto di Stato illegale.
La Francia ha preferito la linea dura e, secondo indiscrezioni, il fisco d’oltralpe avrebbe chiesto a Google 1,6 miliardi di imposte non versate.
Google, come Facebook, riesce a ‘ottimizzare’ grazie alla sue sede in Irlanda. Non a caso questo Paese è indagato dalla Ue per gli accordi fiscali stretti con una altra web company, Apple.
La Commissione Ue ha da tempo lanciato un’offensiva contro questi sistemi furbetti che permettono di eludere il fisco.
Dopo la presentazione del piano antievasione a fine gennaio, è arrivata un’ulteriore stretta. Stando ad alcune fonti interne, la Ue ad aprile potrebbe presentare nuove misure che costringerebbero le multinazionali a rendere completamente trasparenti i propri bilanci.
In Italia invece si è agito diversamente. E’ di questa settimana la notizia che la Procura di Milano ha chiuso le indagini su Google, sostenendo che il gruppo tra il 2009 e il 2013 non avrebbe pagato 98,2 milioni di euro di imponibile Ires (Imposta sul reddito della società).
Si prospetta quindi il possibile rinvio a giudizio per ‘omessa dichiarazione dei redditi’ per i cinque manager indagati che lavorano o lavoravano nella sede italiana e irlandese della compagnia.
Proseguono intanto le trattative con l’Agenzia delle Entrate dopo che la Guardia di Finanza, a fine gennaio, ha notificato a Google un verbale di accertamento per una presunta evasione da 227 milioni di euro.