Facebook sta indagando su una potenziale fuga di dati personali di 267 milioni di utenti.
A riportare la notizia sono la società Comparitech e il ricercatore Bob Diachenko, che hanno individuato un database contenente ID Facebook, numeri di telefono e nomi di utenti del popolare social network.
Facebook: i dati di 267 milioni di utenti finti nel dark web
Secondo il blog della società di sicurezza informatica, nickname, i nomi e i numeri di telefono di 267 milioni di utenti, per lo più statunitensi, sono finiti sul dark web, dove sono stati utilizzati in vaste operazioni di spam.
La notevole mole di informazioni personali poteva essere consultata liberamente in rete, senza necessità di inserire password o di ricorrere ad altri strumenti di autenticazione.
“Stiamo analizzando il problema, ma pensiamo che si tratti di informazioni ottenute prima delle modifiche effettuate negli ultimi anni per proteggere meglio i dati delle persone”, ha dichiarato un portavoce del social network all’agenzia French Press.
Ma come i criminali sono riusciti ad entrare in possesso di questa enorme mole di dati? Molto probabilmente – suggeriscono i ricercatori – con un’azione (illegale, naturalmente) di web scraping, estraendo dati da un sito con software ad hoc. Un’altra strada per impadronirsi di questo databese potrebbe essere quella di un hacking delle API di Facebook.
Facebook e il Caso Schrems
Per Facebook la privacy a quanto pare è sempre un grosso problema. Ma intanto ieri, la società di Mark Zuckerberg, ha ottenuto una prima “simbolica” vittoria.
Per l’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue sono valide le ‘clausole contrattuali tipo’ per il trasferimento di dati personali a incaricati del trattamento in Paesi terzi.
Il giudizio riguarda il caso di Max Schrens, lo studente di diritto austriaco che era riuscito a far invalidare l’accordo Ue-Usa sul trasferimento di dati dei cittadini europei, costringendo Facebook a rivedere le sue norme.
Le clausole – spiega l’avvocato generale delle Corte di giustizia Ue – sono state stabilite da una decisione della Commissione Ue (2010/87).
Stavolta la Corte è chiamata a giudicare nell’ambito di un nuovo procedimento intentato da Schrems. Lo studente ha chiesto a Facebook Ireland di individuare i fondamenti giuridici su cui riposano i trasferimenti di dati personali degli utenti di Facebook dall’Ue verso gli Usa. Facebook Ireland ha fatto riferimento ad un accordo di trasferimento e di trattamento dei dati (data transfer processing agreement) concluso con Facebook Inc., e si è richiamata alla decisione 2010/87 della Commissione Ue.
Ma Schrems sostiene che le clausole non sono conformi e che non potrebbero in ogni caso fungere da fondamento al trasferimento verso gli Stati Uniti dei dati personali perché nessun mezzo di ricorso consente alle persone interessate di far valere negli Usa i loro diritti al rispetto della vita privata. Nelle sua conclusioni, che spesso rispecchiano le sentenze della Corte, l’avvocato generale Henrik Saugmandsgaard propone alla Corte di giustizia di rispondere che l’analisi delle questioni “non ha evidenziato elementi atti ad inficiare la validità della decisione 2010/87“.
Facebook non si ferma più: pensa pure ad un sistema operativo
Facebook sta lavorando ad un suo sistema operativo per affrancarsi da Android. Sarà usato sui visori per la realtà aumentata Oculus e sull’altoparlante intelligente Portal, rivale di Amazon.
A riportare la notizia, un cambio di non poco conto nelle strategie del social, è il sito The Information. Una parte di questi sforzi per il nuovo corso dell’azienda, sarebbe l’investimento nel nuovo ufficio che si occupa di realtà aumentata e virtuale, a Burlingame, 15 miglia a nord della sede di Facebook.
Lo spazio è progettato per ospitare circa 4.000 dipendenti, dalla seconda metà del 2020. Ma ci saranno anche altri uffici in California, a Washington, New York e anche all’estero. Non è il primo tentativo di Facebook nel settore. Nel 2013 ha cercato di costruire un proprio software per i telefoni in collaborazione con l’azienda Htc, ma l’esperienza è fallita. Ma ora la società di Mark Zuckerberg fa sul serio: ha affidato il compito a Mark Lucovsky, un ex sviluppatore di software per Microsoft.
Facebook non è l’unica azienda a pensare ad un suo sistema operativo per rendersi indipendente da Android. Huawei, per effetto dei dazi Usa, sta lavorando ad un suo software che rimpiazzi quello dell’americana Google.