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Facebook, come cambiano le campagne social con le Conversion API

L’offerta pubblicitaria di Facebook, negli scorsi mesi, è stata oggetto di una vera e propria tempesta perfetta.
Da un lato, Apple a partire dal suo sistema operativo iOS14 ha introdotto la richiesta di consenso agli utenti perché possa essere tracciato il loro comportamento con il risultato che, allo scorso giugno, solo il 25% dei possessori di iPhone ha manifestato la propria disponibilità.

Dall’altro, dopo una continua perdita di efficacia per via di adv-blocker e cookie-blocker, la progressiva deprecazione, da parte dei browser, dei cookie di terze parti, è volta ad impoverire la capacità del pixel fornito da Facebook ai propri inserzionisti di riconoscere gli utenti che ne hanno visitato i siti per tracciare le conversioni e quindi attribuirle alle campagne pubblicitarie acquistate sul proprio Gestione Inserzioni.

Gli effetti ne sono derivati sono molteplici:

Per correre ai ripari, Facebook ha reso disponibili le cosiddette “Conversion API”, un sistema di comunicazione che si affianca al pixel e che comunica ai server di Facebook l’avvenuta conversione originata da una campagna pubblicitaria pianificata sulla base non del cookie rilasciato dal pixel, ma direttamente dai server dell’azienda.

Il suggerimento che emerge sia dagli input forniti da Facebook che dal dibattito in corso fra i professionisti è però far convivere pixel e conversion API per massimizzare il tracciamento dei dati e approfittare della deduplicazione degli eventi operata dal social network: il fatto che, durante l’estate, questa tecnologia possa essere implementata attraverso Google Tag Manager la rende non solo uno strumento efficiente, ma anche a portata di tutti.   

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