Il completamento del mercato unico digitale è un’opportunità per crescita e occupazione e l’Italia intende spingere perché i temi del digitale siano una priorità non solo nel suo semestre di presidenza, ma anche per i prossimi 5 anni di mandato della nuova Commissione.
Lo ha sottolineato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Sandro Gozi oggi a Roma a un convegno sulle competenze digitali, nell’ambito della campagna europea ‘eSkills for jobs’.
Perché è importante il mercato unico
“Occorre un mercato unico digitale e quando sarà completato ci sarà più potenzialità per la crescita, per le imprese e per l’occupazione”, ha detto Gozi, spiegando che per raggiungere questo obiettivo, saranno messe in campo “nuove risorse, come prevede il piano di investimenti pubblico-privato di Juncker”.
Il Governo – che ieri ha incassato l’Ok di Bruxelles al piano spesa per il periodo 2014-2020 – dal canto suo utilizzerà una parte cospicua dei 43 miliardi dei fondi europei “per lo sviluppo dell’Agenda digitale e per portare la banda larga ovunque entro il 2020”.
Da quanto emerso dall’accordo di partenariato che ieri ha ricevuto l’imprimatur della Commissione europea, il contributo della politica di coesione allo sviluppo digitale nel suo complesso sarà di 2,1 miliardi di euro di cui, il grosso (1,84 miliardi) dal FESR (Fondo europeo di sviluppo regionale) e 257,9 milioni di euro di FEASR (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale).
La carenza di competenze digitali
Nel documento viene tra l’altro sottolineato che l’economia digitale italiana è ancora lontana dai target dell’Agenda digitale europea non solo per l’ancora carente copertura infrastrutturale in banda, ma “soprattutto per una generalizzata debolezza della domanda a sua volta dovuta, almeno in parte, a competenze digitali ancora insufficienti per garantire quella massa critica indispensabile a imprimere un’accelerazione sull’offerta di servizi digitali”.
Secondo un recente studio della Commissione, l’Italia rientra negli 11 Paesi Ue in cui oltre la metà della popolazione – il 60% per l’esattezza – non possiede le necessarie competenze digitali richieste dall’attuale mondo del lavoro, rispetto a una media Ue del 47%. Maggiore è il gap delle persone svantaggiate (tra 55-77 anni, meno istruite, disoccupati, pensionati o inattivi), mentre per quanto riguarda le persone occupate, il 50% possiede competenze basse o nulle, contro il 39% di media Ue. La quota di specialisti in ICT sul totale degli impiegati italiani era del 2,4% nel 2012, in linea con il 2,8% della Ue. Il 37% delle famiglie che non ha connessione a internet riporta la mancanza di competenze digitali come ragione primaria di questa scelta.
Un deficit che parte dalla scuola, che continua a presentare “importanti fabbisogni in termini di adeguamento e potenziamento infrastrutturali, in relazione sia al patrimonio edilizio sia alla dotazione tecnologica”, ma che interessa anche le imprese, la gran parte delle quali impreparate alle sfide digitali.
Per questo motivo, anche le competenze digitali e gli interventi complementari a loro sostegno occupano un ruolo centrale nella strategia complessiva del ciclo di programmazione 2014-2020, articolata in più Obiettivi Tematici: le azioni di alfabetizzazione e di inclusione digitale rientrano nella mission dell’Obiettivo Tematico 9 (promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà e ogni discriminazione) mentre l’Obiettivo Tematico 8 (promuovere un’occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori) include interventi riguardanti l’acquisizione di eSkills per le nuove professioni legate al digitale. Non meno rilevante, inoltre, è il sostegno alla diffusione della società della conoscenza nella scuola e nella formazione, nonché all’adozione di strumenti didattici innovativi anche on line (e-Learning), entrambi previsti nell’OT10 (investire nell’istruzione, formazione e formazione professionale, per le competenze e l’apprendimento permanente).
L’Europa non sta meglio
La carenza di competenze digitali non riguarda soltanto l’Italia, ma tutta l’Europa visto che nel 2015 saranno 500 mila le posizioni vacanti in campo tecnologico a livello Ue, che lieviteranno fra 730 mila e 1,3 milioni di posti vacanti nel 2020. Sempre a livello europeo soltanto l’1,7% delle imprese con meno di dieci dipendenti è al passo con l’uso delle tecnologie (big data, cloud, mobile e social solutions) e sono 4 su dieci le aziende ancora analogiche.